Ondacinema

recensione di Domenico Ippolito
8.0/10

Todd Haynes e la musica. Il cinema e i Velvet Underground. Che il regista californiano sarebbe approdato, prima o poi, dalle parti di Lou Reed, John Cale, Nico e Andy Warhol era tutto sommato prevedibile. Tuttavia, restava aperto il modo in cui Haynes avrebbe approcciato la band e il suo mito, specie se consideriamo l’ecletticità della sua filmografia, nonché la presenza di almeno altre due opere ad ambientazione musicale, come "Velvet Goldmine" e "Io non sono qui". Presentato all’ultimo Festival di Cannes, il documentario "The Velvet Underground" non è, però, un ritratto agiografico, né una ricostruzione fiction e nemmeno un racconto lineare dei trascorsi del gruppo; invece, mediante il magnifico, stordente uso-abuso dello split screen, associato a un altrettanto ipnotico utilizzo di filmati e musiche del periodo – è ricco il materiale recuperato dalla Factory warholiana –, Haynes ha provato a tradurre in cinema l’essenza della musica del combo di New York, giungendo a una sorta di copia carbone filmica del suo allucinato sound.

Protagoniste assolute del documentario non sono, dunque, solo le canzoni dei Velvet Underground, ma anche, soprattutto, l’avanguardia artistica newyorkese, nella quale, in modo del tutto coerente, Haynes ha collocato il sound del gruppo, in presa diretta dentro il suo ambiente, per così dire, perché irriproducibile altrove. Ed è proprio la variopinta comunità di artisti, fioriera di rotture con la tradizione e nuovi slanci in materia di cinema, pittura, videoarte, poesia e musica, il sostrato a cui si è appoggiato il regista per il suo lavoro, sposando l’oggetto del suo racconto col montaggio di un documento molto affine alle intenzioni di tali correnti, collocandolo così, simultaneamente, dentro e fuori dal tempo.

La musica dei Velvet Underground nasce, sostanzialmente, dalla fusione fredda di due composti con sensibilità solo in apparenza molto lontane: quella di Lou Reed, chitarrista newyorkese, studente di letteratura prestato al rock, e di John Cale, polistrumentista di formazione classica, originario del Galles, che giunge nella Grande Mela per avvicinarsi all’avanguardia musicale. Il sound così particolare e inclassificabile degli autori di "Venus in Furs", "Sunday Morning" e "Sister Ray" trova una giunzione nelle liriche estreme e anticonvenzionali di Reed – che da vero poeta maudit di città racconta di rapporti sadomaso, bassifondi urbani e dipendenza dalle droghe pesanti – con la viola elettrica e psichedelica di Cale, alle quali si accompagnano i ghirigori chitarristici di Sterling Morrison e la batteria tribale di Maureen Tucker. La collaborazione con Andy Warhol, "produttore" del primo disco e creatore della celebre copertina (che identificherà lo stesso come il Banana Album), nonché con la cantante, attrice e modella Nico, rappresenterà per i Velvet Underground l’occasione per l’esordio discografico e gli stralunati concerti della Exploding Plastic Inevitable, lo show ideato dal celebre fondatore della pop-art.

Nel documentario, la presenza di persone legate in modo diverso ai Velvet Underground, come Merrill Reed Weiner, sorella di Lou, l’attrice Mary Woronow, musa di Warhol, o del musicista Jonathan Richman, fondatore dei Modern Lovers, permettono il racconto di aneddoti pubblici e privati, nonché di scandagliare le incomprensioni tra i membri del gruppo, fino al definitivo addio alle scene. Infiacchita dallo scarso seguito commerciale, dalla rottura con Warhol, nonché dai dissapori tra Reed e Cale – il primo propenso a una svolta pop, l’altro irremovibile prosecutore della vena più sperimentale –, la band si sfalderà una prima volta con l’allontanamento di Cale, "licenziato" da Reed per interposta persona (il malcapitato messaggero è l’altro chitarrista, Morrison), poi, con l’ingresso nel quartetto di Doug Yule, fino all’abbandono dello stesso Lou Reed, qualche anno prima di lanciarsi nella sua avventura solista.

Todd Haynes sceglie di presentarci la storia del gruppo e dei suoi componenti cadenzandola attraverso il recupero di filmati in bianco e nero – noti come gli Audition Tapes – girati nella Factory di Warhol, in cui i musicisti sono ripresi in primo piano, con sguardo immobile in camera, contrappuntati dagli spezzoni delle interviste ai superstiti della band, cioè Cale e la Tucker, nonché di altri artisti e musicisti, come Jonas Mekas, storico regista sperimentale scomparso nel 2019, a cui il documentario è dedicato, e La Monte Young, fondatore dei Dream Syndacate. È un tentativo di estrapolare l’anima dei protagonisti dal flusso di note, video, colori che impazza sullo schermo, frammentato e ricomposto come uno psichedelico puzzle. La rinuncia al materiale live della band, invece, è dovuta non solo alla limitata disponibilità delle riprese dei concerti dei Velvet Underground – però durante i titoli di coda assisteremo al duetto tra Reed e Cale in "Heroin", con una silente (e bruna) Nico in ascolto – ma anche dalla volontà di Haynes, appunto, di lasciare all’avanguardia newyorkese la partitura principale. Aiutato, tra gli altri, dai film di Stan Brakhage e Maya Deren, infatti, Hayes scaraventa lo spettatore dentro il crogiolo crossover delle arti sperimentali della New York di metà anni Sessanta, in cui tutto sembra avvenire e riavvolgersi dentro un unico momento artistico, altrimenti intraducibile.

 


26/01/2022

Cast e credits

cast:
Jonas Mekas, Barbara Walters, Lou Reed, Mary Woronov, Maureen Tucker, John Cale, John Waters


regia:
Todd Haynes


distribuzione:
Apple TV+


durata:
110'


produzione:
Todd Haynes, Christine Vacho, Julie Goldman, Carolyn Hepburn, Christopher Clements, David Blackman


sceneggiatura:
Todd Haynes


fotografia:
Edward Lachman


montaggio:
Affonso Gonçalves, Adam Kurnitz


Trama
La storia del leggendario gruppo di Lou Reed e John Cale vista all'interno dell'avanguardia newyorkese di fine anni Sessanta
Link

Sito italiano