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7.0/10

Garrett Bradley, classe 1986 e originaria di New York City, ha esordito alla regia nel 2014 con il film "Below Dreams". In seguito è stata responsabile di seconda unità in "When They See Us", serie televisiva presente nel catalogo Netflix riguardante anch'essa un caso di malagiustizia statunitense a sfondo razziale, per poi realizzare alcuni cortometraggi tra i quali spicca "Alone", avente come argomento l'alta percentuale di incarceramento degli afro-americani negli U.S.A. e le conseguenze di questa piaga sociale sui nuclei familiari dei detenuti. Questo corto ha vinto un premio presso il Sundance Film Festival, lo stesso che nel 2020 ha conferito al lungometraggio qui recensito il riconoscimento di miglior regia di un documentario.

La regista si interessa al caso della famiglia Richardson nel 2016: per due anni li segue e riprende le loro vicende, fino all'agognato ricongiungimento con Robert. Garret Bradley li filma mentre vivono la quotidianità delle loro vite, concentrandosi in particolare su Sibil, sua madre e due dei suoi sei figli, i gemelli Justus e Freedom. Ne registra lunghe interviste e li pedina durante il lento scorrere delle loro esistenze: viene immortalata la cerimonia di diploma di uno dei figli, i discorsi pubblici di Sibil e, in particolare, la si mostra durante le estenuanti conversazioni telefoniche che intrattiene con gli uffici dei giudici incaricati di decidere la sorte carceraria del marito.
Queste riprese vengono montate insieme ai filmati familiari realizzati dalla protagonista del film: un corpus costituito da circa cento ore realizzato lungo i diciotto anni precedenti, a partire dall'incarcerazione. Il documentario è quindi costituito dalla compresenza di materiali eterogenei, differenti sia da un punto di vista estetico che relativamente al periodo in cui sono stati realizzati. Se i filmati familiari presentano una qualità molto bassa, tipica della loro origine amatoriale (non è minimamente curata l'illuminazione e spesso le immagini tremano dato che sono state realizzate usando una videocamera a mano) e della tecnologia usata (sono caratterizzati da bassa risoluzione e dalla presenza esibita delle iconiche "righe orizzontali", tipiche del nastro magnetico), le riprese realizzate dalla regista si segnalano invece per l'alta definizione e la cura formale, soprattutto a livello fotografico. Queste due tipologie di materiale vengono sapientemente amalgamate da vari espedienti formali: in primo luogo il ricorso al bianco e nero, scelta estetica capace di rendere omogenea questa commistione di elementi differenti; inoltre la musica di accompagnamento, un unico brano di un pianoforte usato per commentare alcune scene e per consentire con maggiore facilità il passaggio fra piani temporali differenti; infine la voce fuori campo dei protagonisti che raccontano la loro storia e argomentano le proprie riflessioni relative al loro doloroso vissuto. Sibil, soprattutto, ma anche sua madre e i figli gemelli vengono ripresi mentre parlano e la loro voce viene mantenuta mentre altre immagini, appartenenti tanto al passato dei filmati familiari quanto al presente delle riprese della regista, scorrono e illustrano la storia personale e i pensieri dei parlanti.
I piani cronologici che corrispondono alle due tipologie di materiali usati dalla regista, dunque, vengono costantemente accavallati e mischiati in modo da costruire una profonda riflessione sul tempo e, soprattutto, sulla sua percezione da parte degli esseri umani. Ciò che emerge è una concezione di quest'ultimo come carcere mentale, un tempo bloccato, ripiegato su se stesso, popolato da individui condannati a vivere e rivivere un eterno presente, i quali non riescono, per quanto tentino, di uscire da una logica che li vede condannati a ripetere se stessi all'infinito, come se fossero dei moderni Sisifo, imprigionati nell'eterno ritorno dell'identico. Tale concezione del tempo permea tanto il contenuto delle immagini, quanto il rapporto che le due tipologie di materiali intrattengono, oltre a, infine, poter essere esteso all'intera condizione sociale degli afroamericani negli Stati Uniti.

In primo luogo, per quanto riguarda il contenuto dei materiali d'archivio, Sibil filma la storia della propria famiglia usando la macchina da presa come fosse una sorta di diario personale in cui include gli avvenimenti quotidiani, come i viaggi in macchina e le feste di compleanno dei figli. Ciò viene realizzato al fine di mantenere, per se stessa e per i suoi bambini, vivo e presente il rapporto con Robert, perennemente ricordato durante le riprese e destinatario ultimo di questi filmati, costituendone dunque una sorta di immaginifica figura paterna e maritale. Tanto i figli che la madre indugiano in sguardi in macchina e in discorsi rivolti a lui, finendo con l'usare la macchina da presa per sopperire alla sua reale mancanza. Un padre-marito che quindi è continuamente presente in senso fantasmatico e in assenza: lo testimoniano i dialoghi con la macchina da presa e le inquadrature che ritraggono sedie vuote simbolicamente dedicate a Robert, in modo da creare l'illusione di una presenza grazie alla soppressione del tempo resa possibile dal nastro registrato (che verrà visto un giorno dal padre e che, così, potrà vivere, seppur in parte, quei momenti). Tale mancanza e il conseguente, feroce ed estenuante desiderio di colmarla si estende dai filmati di Sibil all'intera esistenza familiare e, dunque, al lungometraggio stesso. Infatti, le riprese della regista indugiano di tanto in tanto su cartelloni in scala 1:1 rappresentanti Robert, oltre a riportare le parole della protagonista, che racconta di come i figli abbiano celebrato l'inizio di ogni anno attendendosi la scarcerazione del padre.
In secondo luogo, per quanto riguarda le modalità attraverso cui la regista manipola e incrocia i vari materiali, è possibile notare come le due tipologie di filmati intrattengano fra loro un rapporto di avvicinamento tanto da un punto di vista estetico che nell'uso che ne viene fatto ai fini del racconto. Nel primo caso, se un fattore di diversificazione è dato dalla differente qualità delle immagini, che contribuisce a segnalarne la diversa provenienza e quindi l'appartenenza a piani temporali diversi, tuttavia l'uso del bianco e nero, oltre che degli altri espedienti formali poco sopra elencati, porta tali formati a omogeneizzarsi e, dunque, a convergere verso una stessa unità sia estetica che temporale. Nel secondo caso, invece, le due tipologie di materiale vengono adoperate per descrivere e aumentare vicendevolmente le informazioni del racconto: i filmati familiari (rappresentanti il passato) vengono dunque montati con le riprese realizzate dalla regista (il presente) al fine di illustrare le riflessioni contenute in queste ultime o, al contrario, vengono mostrate in se stesse, al fine di fornire allo spettatore le informazioni necessarie per ricostruire la storia nella sua interezza. Al contempo, la regista distribuisce le informazioni nel racconto diluendole pian piano, in un processo circolare di progressivo avvicinamento al nocciolo della questione (la prigionia e la lotta), non immediatamente affrontato e dichiarato ma, bensì, accarezzato a piccoli passi e inserito all'interno di una graduale scoperta del vissuto dei personaggi dei quali, in particolare, la regista ha cura di mostrare il senso di attesa e l'osceno meccanismo circolare di speranza-delusione-posticipazione del desiderio che ne attanaglia le esistenze. Anche la narrazione, dunque, non procede in modo lineare, ma per continue flessioni su se stessa, attraverso avvicinamenti e ripartenze, eternamente attratta da quell'unico evento traumatico da cui è impossibile evadere e che talvolta porta il racconto a fermarsi insieme alle riprese. Ne sono esempi le scene in cui Sibil telefona all'ufficio del giudice per conoscere la sua decisione di quest'ultimo relativa all'istanza di scarcerazione: mentre attende l'ennesima risposta infruttuosa (le dicono di richiamare la settimana successiva) la macchina da presa indugia sul suo volto inquadrandola in primissimo piano, talvolta procedendo con uno zoom molto lento che la isola progressivamente dall'ambiente circostante. Per qualche secondo il tempo della visione si blocca, appeso al filo di una labile speranza destinata a spegnersi rapidamente, nell'attesa di una decisione continuamente procrastinata da una burocrazia opprimente, rendendo così lo spettatore partecipe di un’attesa senza fine, dunque di un tempo immobile e, al contempo, sempre identico a se stesso.

La conclusione del film esemplifica magistralmente questi concetti, ponendosi contemporaneamente come liberazione da tale carcere esistenziale e cronologico: dopo che Sibil e suo marito finalmente si riuniscono, la regista monta al contrario alcune scene tratte dai filmati familiari e mostrate all'inizio del lungometraggio. Questo riguarda sia i singoli eventi filmati, ad esempio vediamo il tuffo in piscina di un bambino al contrario (quindi lo osserviamo saltare fuori dall'acqua), sia la disposizione delle scene fra loro, montate secondo un arco cronologico che va dal presente al passato (dunque ci vengono mostrati i protagonisti che piano piano ringiovaniscono). È l'illustrazione visiva di un tempo che si ritorce e che converge su se stesso, essendo percepito e vissuto come non lineare ma circolare. Al contempo, è la conclusiva liberazione della condanna (penale ed esistenziale) che ha gravato per ventun anni sulla famiglia Richardson.
Infine, la condizione temporale che determina l'esistenza dei protagonisti è la stessa che caratterizza la condizione degli afroamericani negli Stati Uniti d'America. In entrambi i casi si tratta di un tempo bloccato che, per questo, continua a ritorcersi su se stesso esasperandosi sempre più. Sono i protagonisti del film e le loro riflessioni che suggeriscono questo collegamento: in particolare, è la madre di Sibil che parla esplicitamente del legame fra schiavitù e prigionia, istituendo così un collegamento con "13th" di Ava DuVernay, un documentario molto interessante su questa tematica.
Dunque, il sogno americano di un futuro migliore, caratterizzante tanto l'immaginario nazionale, quanto la vicenda individuale (il desiderio di elevare la propria condizione economica aprendo un negozio), viene così piegato e deformato verso la speranza della scarcerazione e, per quanto riguarda la minoranza afroamericana, della parificazione sociale.


18/04/2021

Cast e credits

cast:
Robert G. Richardson, Sibil Fox Richardson


regia:
Garrett Bradley


distribuzione:
Amazon


durata:
81'


produzione:
Garrett Bradley, Kellen Quinn, Lauren Domino


fotografia:
Zac Manuel, Justin Zweifach, Nisa East


montaggio:
Gabriel Rhodes


musiche:
Jamieson Shaw, Edwin Montgomery


Trama
Sibil Fox Richardson combatte per ottenere la scarcerazione del marito Richard, condannato a sessant’anni di prigione per una rapina a mano armata.