"Sei un uomo d'onore."
In un confronto con la visione patriottica e macchiettistica dello spionaggio che il cinema hollywoodiano commerciale da tempo adotta, il mondo che si staglia dai romanzi dello scrittore britannico John le Carré è sapientemente ripulito da cliché e stereotipi di genere.
Se la concezione standard (a cui modello si erge la saga cult di 007) è caratterizzata da una visione del mondo spionistico eroica, con protagonisti virtuosi, inseguimenti, sparatorie e complessi intrighi carichi di colpi di scena, i racconti di le Carré viaggiano in direzione contraria, tentando di creare un'atmosfera cupa all'interno della quale agiscono personaggi comuni, quasi mai lodevoli eroi senza macchia e senza paura.
"Il traditore tipo", decimo adattamento cinematografico tratto dall'opera del padre della
spy-story (ricordiamo solo gli ultimi: "
La talpa" e "
La spia - A Most Wanted Man"), si pone esattamente in questo quadro già nella caratterizzazione del protagonista: il professore di poetica Perry (Ewan McGregor), che ci si mostra da subito come un uomo semplice e ingenuo. Un intellettuale naïf senza conoscenze militari o strategiche (ben distante dalla figura marmorea di James Bond) che si ritrova trascinato in un mondo che non gli appartiene. In vacanza in Marocco assieme alla fidanzata Gail, verrà infatti avvicinato da un corpulento omone di nome Dima: riciclatore di denaro per la mafia russa in pericolo di vita, intenzionato a collaborare con l'intelligence inglese in cambio di un rifugio per lui e per la sua famiglia.
La sceneggiatura dell'iraniano Amini (reduce da un'altra spy-story che lo vedeva alla regia: "
I due volti di Gennaio") sacrifica parte dell'intrattenimento per poter scavare più a fondo nella radice del comportamento umano: attraverso una storia più che mai lineare ci vengono offerti spunti e critiche di carattere sociale.
Se innanzitutto il ruolo di antagonista sembra essere giocato dalla mafia russa, a ben vedere chi ne esce maggiormente tumefatto è il servizio d'intelligence inglese, ovvero proprio quello che saremmo portati a considerare come il massimo alleato, il paladino della giustizia, qui ridotto a tre uomini (tra cui svetta Damian Lewis: sicuramente la migliore interpretazione all'interno della pellicola) e imbrigliato nella burocrazia, nell'insicurezza e per questo incapace di un'azione concreta.
Alla rugginosità delle istituzioni e degli uffici si contrappone l'onore: virtù singolare e rara, che lega il triangolo dei protagonisti e che trascende qualsivoglia paradigma culturale o politico: può essere più onorevole un riciclatore di denaro sporco che non un sistema di sicurezza nazionale, questo sembra volerci suggerire il film. Come tra i colorati supereroi di "
Civil War", ma in uno scenario ben più realista e disilluso, lo spettatore è chiamato a porsi la domanda se il Bene e il Giusto siano qualità istituzionalizzabili, necessitate in qualche modo di una coercizione esterna, o se siano piuttosto virtù dei singoli uomini, costretti più volte a infrangere le regole per poterle perseguire.
La regia di Susanna White però (che ha alle sue spalle un lungo rodaggio televisivo, ma soltanto un lungometraggio cinematografico), per quanto riesca encomiabilmente a destreggiarsi in una materia dal sapore crudo e maschile, non si mostra capace di risaltare e di dare brillantezza alla solida struttura portante fornita dall'opera dello scrittore di Poole, mantenendosi sempre all'interno dei canoni stilistici di genere (comprese la fotografia ombrosa e l'imprescindibile musica tensiva di sottofondo), evitando le scene-madri e non azzardando mai un tocco di originalità.
Il dispiacere più grosso è però il veder pian piano sbiadirsi fino a scomparire uno degli elementi della narrazione che in partenza sembrava dover svolgere una funzione principale: il sospetto tradimento di Perry e la gelosia di Gail, che oltre a dare un senso al suo personaggio e a ramificare la storyline dandole un tocco di sentimentalismo, poteva offrire una lettura più composita a quel "traditore" richiamato sin dal titolo.
Nonostante questo e anche in assenza di un solido protagonista (come furono Gary Oldman per "
La talpa" e il rimpianto Seymour Hoffman per "
La spia"), il film si lascia piacevolmente vedere, ma richiede uno sforzo in più per andare oltre la trama e per vedere, nascosti tra i tasselli della narrazione, i richiami critici ed etici attraverso cui può scaturire una riflessione.
14/05/2016