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recensione di Giancarlo Usai
8.0/10

Che regista straordinario Arnaud Desplechin! Il suo stato di forma non conosce momenti di appannamento, fasi di calo creativo o riempitivi che pure possono esistere nella carriera di un grande autore. In attesa di scoprire la sua nuova fatica al prossimo Festival di Cannes, No.Mad Entertainment recupera con merito il film che il cineasta francese aveva presentato fuori concorso sulla Croisette dodici mesi fa. L'arte del regista di Roubaix ha una traiettoria che è impossibile indovinare o prevedere: si muove fra racconti corali e sfide uno contro uno, eleva la parola ad arma preferita dei suoi personaggi e poi la disconosce in favore dell'azione che prende il sopravvento; e poi, ancora, guarda al passato e alle origini con un misto di tenerezza e nostalgia e poi, d'improvviso, si volge alla contemporaneità con la vivacità di osservazione di un trentenne. Stavolta soprende tutti con una sfida impossibile: adattare per il grande schermo la letteratura di Philip Roth, uno degli scrittori più intraducibili attraverso le immagini. Gli episodi già visti (anche recenti) lo testimoniano: la scrittura del grande romanziere americano ha qualcosa di inscalfibile sul grande schermo, la sua continua e avvolgente potenza evocativa si riduce a nulla nel lavoro di adattamento. E così capolavori come "Pastorale americana" e "La macchia umana" si perdono nei meccanismi dell'intreccio, nella banalità del dialogo cinematografico, nella difficoltà di far diventare il tormento umano un dettaglio visivo. Tutto questo prima che Desplechin si approcciasse all'impresa.

"Tromperie - Inganno" è infatti l'infedele racconto per immagini del libro scritto da Roth nel 1990, un'opera leggera quanto a lunghezza (si tratta di un romanzo breve se non addirittura, come lo stesso scrittore raccontò, di una semplice traccia per successive rappresentazioni teatrali), ma densa di piani narrativi, nonostante metta sulle pagine un lungo e ininterrotto dialogo fra gli unici due protagonisti. Uno scrittore statunitense affermato, che si chiama Philip, e la sua amante inglese, una giovane sposata infelicemente e insoddisfatta della vita. I due, attraverso i loro incontri amorosi nello studio dove lui scrive, fanno emergere un resoconto delle due esistenze, citando diverse presenze della loro vita, svelando particolari della loro esistenza terrena passata. Desplechin coglie subito l'occasione: si immerge in una scrittura per il cinema che faccia debordare il suo potenziale immaginifico. E così, tradendo in origine l'opera letteraria, la pellicola diventa uno spaccato umano di rara complessità e originalità. Innanzi tutto, c'è l'intuizione di approfittare della moltitudine di aneddoti presenti nel romanzo per farne vivere sullo schermo una rivisitazione del tutto nuova. Così, gli incontri che Philip riferisce di aver avuto nel libro nel film diventano reali momenti del passato o del presente (o magari del futuro). Apparentemente scollegati dalla trama principale, sono occasioni per Desplechin di dare libero sfogo a quella sua fascinazione consueta per la grande commedia dell'essere umano, per dare corpo, forma e voce a uomini e donne tanto assurdi quanto tragicamente e brillantemente autentici. Così, la lezione del maestro Alain Resnais non viene abbandonata neanche stavolta: un soggetto che vedeva inizialmente solo un uomo e una donna si fa racconto a suo modo corale, una volta di più. Nuovamente, dunque, Desplechin racconta il mondo intero da un punto di osservazione claustrofobico. Non era così anche nel suo precedente "Roubaix, una luce"? La città del nord della Francia diventava il microcosmo che raccoglieva ossessioni e timori universali. Anche stavolta accade lo stesso miracolo creativo, con l'ulteriore nota di merito di una complessa materia narrativa che necessita di un controllo totale sia della scrittura sia della messa in scena.

Chiuso in spazi angusti come l'originale di Roth richiedeva, "Tromperie" fa incontrare le due anime più rigogliose del cineasta transalpino: accanto alla pluralità di voci, la parola diventa essa stessa protagonista del film. Ci sono almeno tre ordini di contenuto attraverso cui la potenza del parlato si esprime. In primo luogo, e su un piano più basico, si tratta del confronto serratissimo tra i due personaggi principali, Philip e la sua amante, interpretati in modo magistrale da Denis Podalydés e Léa Seydoux; i due, tra un amplesso e l'altro, confrontano le loro vite, riflettono sulle ambiguità del ménage matrimoniale, affrontano le contraddizioni dell'Inghilterra degli anni 80, lacerata da un galoppante antisemitismo e affascinata dal tradimento dell'alleato americano. Fin qui è Roth al cento per cento, è l'essenza di "Inganno" come venne pubblicato nel 1990, un piccolo libro che immaginava la messa alla berlina della famiglia occidentale, oppressa dal perbenismo borghese e dal conformismo religioso. Ma Desplechin non si ferma qui e prende di petto ciò che nella narrativa rothiana era sempre tenuto nello sfondo, ovvero il labile confine fra verità e finzione, fra ricostruzione dei fatti e licenza dello scrittore. Nell'opera di Desplechin si immaginano le reali conseguenze del gioco di specchi tipico della produzione letteraria rothiana: il protagonista si chiama Philip e annota su un taccuino i suoi tradimenti e i racconti che le sue amanti gli fanno. E che succede se quegli appunti finiscono fra le mani della moglie reale? In una sequenza memorabile, Desplechin dimostra tutta la sua abilità nel maneggiare la materia, instillando dubbi, senza suggerire risposte didascaliche. Il suo approccio alla confusione metalinguistica è assolutamente dubitativo: tutto quello che abbiamo visto (o letto) è solo frutto dell'invenzione del celebre romanziere? O no? E se sì, come fa egli a immaginare così dettagliatamente delle vite altrui mai conosciute?
Il terzo piano di lettura e narrazione è tutta una fuga all'esterno dell'opera compiuta dal regista. In un capitolo della pellicola ("Il processo), Desplechin immagina un Roth messo alla gogna per le sue posizioni pseudo-sessiste, con un dibattito etico e giuridico improponibile: laddove le femministe lo accusano di trattare la donna come un oggetto, lui risponde con argomentazioni prettamente letterarie. Insomma, un dialogo fra sordi. Ciò che è rilevante, però, è la libertà espressiva che si concede Desplechin che, a questo punto è chiaro, usa "Inganno" solo come un pretesto per poi dialogare con uno scrittore che dimostra di conoscere e padroneggiare come nessun altro nel mondo del cinema. Il processo cui assistiamo, il momento più grottesco di tutta l'opera, è un evidente riferimento all'attualità e alla messa in discussione dell'opera omnia rothiana per motivi di presunto maschilismo nella sua narrativa. Non è difficile immaginare da che parte Desplechin si schieri. "Tromperie" parte, dunque, come satira erotica che rispecchia perfettamente la sua origine letteraria e poi diventa molto altro, fino a diventare una riflessione profonda e annichilente sulla potenza del racconto scritto e sulla sua capacità di piegare la realtà al volere del suo ideatore. Ma è anche e soprattutto un film di interpreti, cui spetta un compito arduo. Podalydès arriva a trasformarsi in un simil-Roth anche fisicamente, mettendosi letteralmente a nudo davanti alla macchina da presa e diventando lui stesso, alla fine, il centro nevralgico di tutte le difficili contraddizioni con cui la letteratura costringe a confrontarsi. Nel suo vivere su tre piani differenti la vicenda (la relazione clandestina con l'amante, il rapporto borghese con la moglie, infine i vari incontri rievocati a mo' di fuga dal narrato) il Philip della finzione assomma in sé le molteplici vite che un romanziere è in grado di vivere; poco importa se è tutta finzione oppure se c'è del vero. Diversa la considerazione da fare sulla Seydoux. Il suo personaggio senza nome replica in scena ciò che all'attrice francese sta accadendo nella vita: lentamente ma inesorabilmente evolve verso ruoli da donna adulta, abbandonando i panni della giovane alle prese con la dura arte del vivere. È quello che succede anche alla donna che intreccia il rapporto amoroso con il protagonista: inizia la sua avventura come un capriccio e una fuga dall'insoddisfacente matrimonio e termina con la presa di coscienza dei compromessi che reggono l'idea stessa di vita sociale e relazionale. Citando addirittura il suo passato artistico ("un tempo avevo i capelli blu ed ero eternamente insoddisfatta"), Léa prosegue la sua ascesa verso l'Olimpo delle attrici immortali. Ognuna di loro ha incontrato sulla strada un regista che più degli altri è stato in grado di accompagnarle in questo cammino. Lei ha incontrato Desplechin.

Ispirato come nei momenti migliori della sua carriera, l'autore dimostra che anche ciò che apparentemente non è filmabile in realtà lo può diventare, attraverso un lavoro accurato sullo sguardo cinematografico. In "Tromperie" Desplechin non solo domina la parola di Roth e la teoria sulla rappresentazione artistica, ma lo stesso spazio fisico diventa una sfida per il regista: i suoi continui ed estenuanti campi-controcampi che dominano le scene con i due protagonisti insieme sono l'emblema di una semplicità tecnica che sa abilmente mimetizzarsi dietro la macchina da presa. Negli ambienti apparentemente angusti che caratterizzano in gran parte il film, l'obiettivo di Desplechin trova il modo di dare respiro al dialogo, di portarlo al di fuori di quell'appartamento e renderlo, per la durata di una inquadratura, a suo modo universale.


04/05/2022

Cast e credits

cast:
Denis Podalydès, Léa Seydoux, Anouk Grinberg, Emmanuelle Devos, Rebecca Marder


regia:
Arnaud Desplechin


titolo originale:
Tromperie


distribuzione:
No.Mad Entertainment


durata:
105'


produzione:
Why Not Productions


sceneggiatura:
Arnaud Desplechin, Julie Peyr


fotografia:
Yorick Le Saux


scenografie:
Toma Baqueni


montaggio:
Laurence Briaud


costumi:
Jürgen Doering


musiche:
Grégoire Hetzel


Trama
Londra, 1987. Philip è un celebre scrittore statunitense esiliato in Inghilterra. La sua amante lo va regolarmente a trovare nel suo studio, vero e proprio rifugio per i due amanti. Fanno l’amore, discutono, si ritrovano e parlano per ore delle donne che hanno attraversato la sua vita, di antisemitismo, di sesso, di letteratura e della fedeltà a se stessi...