Ondacinema

recensione di Giancarlo Usai
6.0/10

I temi non sono cambiati, ma il cinema di Naomi Kawase sì. Dopo la pandemia la regista giapponese appare stanca, con un desiderio di uniformarsi al racconto mainstream che non rende giustizia delle sue migliori pellicole. L'identità individuale e i legami parentali, l'importanza di riscoprire se stessi attraverso un'indagine nella propria famiglia, tutto sembra riportarci a "Nanayomachi" (2008) o a "Hikari" (2017). Ciò che ha reso splendido e unico il modo di fare film di questa straordinaria donna è quel suo particolare tocco nell'attraversare le sofferenze necessarie dell'essere umano e il suo approccio profondamente umanista è andato stratificandosi negli anni fino a raggiungere momenti di astrazione pura, di contemplazione dei misteri della vita attraverso uno sguardo mistico sulla bellezza del mondo. È così che ha visto la luce il suo capolavoro del 2014, quel "Still the Water" in cui la Kawase portava alle estreme conseguenze la sua arte, mettendo in scena una elegia dell'amore che non rinunciava a sfidare la morte e il lutto.
"True Mothers", prodotto e realizzato al tempo del coronavirus, è un racconto intimo e che va a rispolverare alcuni luoghi cari per la cineasta. C'è quella vacuità dei legami affettivi, quel risvolto thriller nei colpi di scena che irrompono nella quotidianità, c'è la sgradevolezza dei sentimenti negativi che solitamente si tende a nascondere all'interno di un nucleo familiare. Il tutto è messo in scena, ancora una volta, con la consueta eleganza e, come sempre, il Giappone irrompe come scena, ma anche come personaggio immateriale dell'opera. Nei suoi angoli più rurali e nelle sue contraddizioni metropolitane, il Paese da cui proviene l'autrice è cornice perfetta per questo nuovo tassello del suo percorso di conoscenza all'interno della famiglia tipo. Ciò che differenzia "True Mothers" dai migliori titoli di una carriera fuori dal comune è l'assenza di quella partecipazione personale che rendeva i più bei film della regista nativa di Nara delle esperienze di condivisione senza pari.

Nei diversi modi in cui ella ha raccontato i rapporti interpersonali c'è sempre stata la costante di un diario personale, una partecipazione in prima persona alle vicende dei protagonisti. Diventata cineasta più per un'urgenza espressiva che per reali abilità tecniche dietro la macchina da presa, la Kawase ha sempre confuso con affascinante ambiguità il materiale frutto di fantasia con le sue esperienze reali, arrivando addirittura a marcare la propria esistenza nella storia attraverso foto, ombre, frasi che ripetono il suo nome. Un'ossessione che esorcizzava la paura di essere dimenticata, di finire proprio come quei legami inafferrabili che ha costantemente tentato di immortalare con la sua macchina da presa. "True Mothers" scompone la storia, come spesso è già capitato nelle pellicole del passato, ma quasi compiacendosi in una narrazione ellittica che non riesce a comunicare con lo spettatore, stavolta. Nelle vicende della coppia adottiva e della misteriosa madre che torna a rivendicare il suo ruolo e a strappare il bimbo dalla casa dove ha trovato accoglienza, viene a mancare quella sottile sensibilità cui eravamo abituati. Il film, stavolta, risulta appesantito da una messa in scena stranamente programmatica, innaturale, esagerata nelle svolte narrative e nelle estremizzazioni di un melodramma standardizzato. Eppure la maternità è un tema caro all'autrice, puntualmente perseguitata dai demoni di un'infanzia drammaticamente infelice, segnata dall'abbandono dei genitori. Il simbolismo e il modo di raccontare terribilmente frammentato, però, rendono l'incedere della storia privo di quell'autenticità che era tipica del cinema della Kawase.

Alcuni spunti critici. In primo luogo, la scelta di non seguire un ordine cronologico lineare, ma di spezzare la linea diacronica con flashback dedicati alle donne protagoniste, ha un obiettivo preciso: quello di svelare agli occhi di chi guarda le reali motivazioni di azioni apparentemente inaccettabili poco a poco, come a voler condannare il facile giudizio, la condanna superficiale. Operazione, questa, tanto compiaciuta quanto superflua, perché "True Mothers" non è supportato da una scrittura all'altezza di un percorso che, in verità, appare solo come un trucco per ricercare dell'originalità. Altro spunto, la variazione dei generi. Dal melodramma, come si diceva, al linguaggio più legato ai teen drama, fino a spezzoni documentaristici, anche in questo caso le scelte registiche della Kawase appaiono non profondamente motivate da esigenze connesse con il dipanarsi della vicenda e dell'opera nel suo complesso. Sembrano, piuttosto, artifici di sorpresa, anche per sostenere l'appesantimento inevitabile visti gli oltre 140 minuti del film. Cineasta sempre abilissima nel passare da durate contenute a pellicole-fiume, stavolta il minutaggio appare fuori controllo per un non riuscito dosaggio dei momenti in sceneggiatura. È una Kawase che gioca una partita sua soltanto in parte, quella di "True Mothers"; come si diceva in apertura, è come se avesse cercato di modulare uno stile espressivo che non le appartiene, una levità e un'universalità di linguaggio che non le sono consueti. Nel ricercare una grammatica visiva più accessibile al pubblico, l'autrice ha smarrito la sua prodigiosa e dirompente forza rivoluzionaria. La classe è sempre la stessa, certo, tanto nell'insistenza dei primi piani quanto nelle panoramiche contemplative. Manca, purtroppo, quel trasporto che ci aveva annichilito durante altre visioni.


19/02/2022

Cast e credits

cast:
Arata Iura, Hiromi Nagasaku, Taketo Tanaka, Aju Makita, Reo Sato


regia:
Naomi Kawase


titolo originale:
Asa ga kuru


distribuzione:
Kitchen Film


durata:
139'


Trama
Una coppia decide di adottare un bambino dopo aver cercato a lungo una gravidanza che non è mai arrivata. Sei anni dopo una donna che si finge la madre biologica del bambino fa di tutto per estorcergli denaro...