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recensione di Giancarlo Usai
8.5/10

A quasi trent'anni da "Ferie d'agosto" (1996), dopo quindici lungometraggi e giunto ai sessant'anni di vita, Paolo Virzì realizza il suo film più importante. "Un altro Ferragosto", che parte come uno scherzoso sequel dell'opera seconda del regista livornese, cresce scena dopo scena fino a dare vita a un ambizioso e commovente dipinto corale sull'Italia degli anni 20, giocando moltissimo, e con l'abilità di non darlo a vedere in modo esibito, proprio con le differenze nei rapporti interpersonali rispetto al film del 1996. Commedia basata sulla pluralità di voci e di timbriche, la nuova fatica di Virzì è innanzi tutto una pellicola importante per il recupero della parola. Nella tradizione contemporanea del cinema brillante, infatti, sia in Italia, sia un po' ovunque, l'approccio è eminentemente basato sul situazionismo scenico, sulla costruzione dei paradossi, sull'effetto comico che scaturisce dall'azione fisica; lo stesso Virzì, probabilmente, in suoi titoli recenti, non era stato immune dall'adeguarsi a tutto ciò. Ma qui, invece, c'è una riconquista della primazia da parte del dialogo e questo riporta al centro della scena, con una sorta di effetto domino, una serie di altri elementi che non possiamo non salutare con piacere. "Un altro Ferragosto" è un film fatto di (in ordine sparso): tempi di battuta fulminanti; prove attoriali maiuscole; finezza di scrittura encomiabile; efficacia nella concatenazione degli eventi narrati; coerenza totale nella messa in scena. Prima di entrare nello specifico dei meriti del sedicesimo titolo della carriera dell'autore, dunque, sottolineiamo un aspetto fondamentale: torna un modo di fare commedia che ha trovato pochi eguali nel nuovo millennio in Italia e per questo "Un altro Ferragosto" ci riconcilia con una tradizione di assoluta eccellenza che avevamo smarrito da decenni.

In "Ferie d'agosto" tutto era giocato sulle contraddizioni delle due famiglie; i Molino da una parte (intellettuali e progressisti) e i Mazzalupi dall'altra - rappresentanti di quel ceto sociale "arricchito" che a Roma ha portato dentro la borghesia un gruppo umano caratterizzato da ideali bassi e spesso abietti - giungevano a Ventotene per la loro vacanza agostana e lì, complice l'incontro-scontro con i dirimpettai, ciascuno dei due nuclei faceva esplodere una serie di proprie infelicità e ambiguità. Il racconto collettivo, dunque, si snodava su un piano narrativo piuttosto convenzionale. Nel nuovo film, invece, questo incontro foriero di dibattiti e di scontri dialettici viene tenuto largamente in secondo piano, andando a verificarsi sporadicamente soltanto nell'ultima parte del film; ma ciò che Virzì mette in scena, prendendosi il tempo e concedendosi il lusso di rallentare persino il ritmo del racconto, è una descrizione parallela di quanto accade dallo sbarco sull'isola in poi a due vicende che restano quasi per intero nettamente separate. Il suo, in altre parole, è il tentativo di compiere in modo ardito due ritratti distinti e paralleli, che si alternano e si confondono anche e soprattutto grazie a un lavoro di montaggio molto efficace.
"Un altro Ferragosto" è un film ammantato da una disillusione profonda e in questo sentimento c'è anche quello scatto di maturità che ritroviamo nel miglior Virzì di sempre; come lo avevamo intercettato in alcune sue opere non adeguatamente valorizzate (pensiamo al bellissimo "Baci e abbracci" o, in anni più recenti, al glaciale "Il capitale umano"), il cineasta italiano abbandona una volta di più le sue personali ossessioni, quel suo sguardo sul mondo polarizzato e originato da sue personali (e assolutamente legittime) idee politiche e sociali (e il pensiero corre al manicheismo di alcuni altri titoli che hanno finito per gratificare i suoi sostenitori ma non necessariamente contribuire a far salire di livello il suo percorso autoriale), per mettersi su un piedistallo di osservatore post-ideologico, assolutamente "fuori dai giochi", libero infine di mettere alla berlina tanto la destra quanto la sinistra, tanto la volgarità dell'arricchito che ostenta il suo razzismo e la sua nostalgica simpatia per il fascismo quanto quel fastidioso piglio da intellettuale d'accatto che rende l'uomo acculturato del mondo democratico come in realtà il peggior rappresentante di un classismo imperante e di un disinteresse verso il confronto con la realtà. In "Un altro Ferragosto" non si salva nessuno, nessuno è al riparo dallo sguardo asettico e privo di compassione del regista, che rifiuta di partecipare emotivamente ai conflitti interiori dei suoi personaggi. Attenzione anche a non confondere, però, tutto questo con un'assenza di partecipazione, di passione; il film è, al contrario, carico di emozione, di sentimenti che crescono minuto dopo minuto e Virzì riabbraccia ogni protagonista a distanza di 28 anni con la tenerezza di un creatore che sa perfettamente quanto la perfezione sia impossibile da raggiungere. Giunto a un'età di piena maturità, trova nella sua scrittura, coadiuvato in questo dal bravissimo Francesco Bruni, l'abilità di tratteggiare sfumature e scale di grigi introvabili in "Ferie d'agosto". Ma i tempi sono cambiati, c'è meno spazio per la conciliazione finale e il tono agrodolce della commedia cammina pericolosamente sul crinale della tragedia, da cui l'autore si tiene a distanza, ma lasciandone intuire la presenza tutt'attorno alla vicenda.

Da sempre amante del colore come elemento narrativo, Virzì gioca con la fotografia anche stavolta. Il direttore Guido Michelotti riesce a restituire un cromatismo a due facce della stessa Ventotene: c'è quella che restituisce un respiro decadente, di colori caldi che tendono allo scuro, quando si tratta di guardare in casa Molino; e quella che quasi acceca nella sua eccessiva luminosità (un tripudio di colore che rasenta la volgarità) quando si entra in casa Mazzalupi. E questa scissione di Ventotene così netta nelle vicende, nei colori, nelle parole e nei vezzi dei protagonisti si trasmette anche in una impossibilità di dialogo e di scambio. In "Ferie d'agosto" i due gruppi familiari avevano diverse occasioni di contatto, di conoscenza reciproca, persino qualche sguardo di intesa che lasciava presagire l'assunto per cui il sentimento scavalca la politica, l'emotività arriva dove non può la differenza di estrazione sociale; stavolta è impossibile questo compromesso, gli uni si sfiorano con gli altri, ma non trovano alcun terreno comune, neanche per discutere animatamente. C'è una scena, che forse è la più bella ed emozionante del film, che merita di essere citata (e si tenga presente che lo scrivente non ha mai amato andare alla descrizione di sequenze specifiche): Sabrina, la figlia dei Mazzalupi diventata influencer e pronta a un matrimonio da favola, incontra casualmente Ivan, il montaggio sfuma sul flashback del loro incontro di 28 anni prima, quando erano ragazzini, quando, appunto, le due realtà così distanti potevano ancora incrociarsi, poi si torna al presente, breve scambio di convenevoli, "ti ho pensato in questi anni", "ti ho pensata anche io" e poi la vita fa irruzione nel dialogo e rende impossibile proseguire la chiacchierata, Sabrina si gira e torna alle sue faccende, fine della scena. In questo incontro ipotetico c'è lo scarto riflessivo che "Un altro Ferragosto" fa rispetto al suo predecessore, questa impossibilità nel 2023 di coniugare le diversità, che rende la commedia di Virzì un film importante proprio per come racconta un Paese spaccato a metà e incapace di trovare elementi in comune.

In un'opera così fortemente basata sulla sinergia fra gli intepreti è impossibile non fare menzione dello stato di grazia di tutto il cast. Certo, la mancanza di due grandi attori come Ennio Fantastachini e Piero Natoli (che comunque nel film compaiono come ricordi onirici in alcuni inserti tratti dal vecchio film fortemente emozionanti) si fa sentire, ma chi c'è ancora si dimostra in grado di seguire completamente la missione di Virzì: da Silvio Orlando, che dà sfogo al suo conflitto interiore tra il rispetto fino in fondo della vocazione politica della sua vita e lasciarsi andare al sentimento, a Laura Morante, che intepreta Cecilia con uno stile trattenuto e goffo; da Sabrina Ferilli, qui alla miglior prova della sua carriera, a Vinicio Marchioni, che conferma un istrionismo che va a riempire un vuoto del nostro cinema contemporaneo; fino a Christian De Sica, cui il cineasta toscano regala un ruolo davvero di rilievo, che trova le sfumature giuste per porsi come sorta di anello di congiunzione tra le due famiglie, dando corpo e voce al suo Pierluigi Masciulli con una tenerezza capace di creare empatia. "Un altro Ferragosto" è anche un film che richiede un impegno da parte nostra che ci apprestiamo ad assistere alla proiezione: può apparire inizialmente sconclusionato, dispersivo, esageratamente ambizioso nel suo voler pedinare contemporaneamente così tanti personaggi: ma non è Virzì ad essere disordinato, è questa epoca che viviamo ad esserlo e questa straordinaria commedia riesce ad esserne uno specchio fedele.


16/03/2024

Cast e credits

cast:
Silvio Orlando, Sabrina Ferilli, Christian De Sica, Laura Morante, Andrea Carpenzano


regia:
Paolo Virzì


distribuzione:
01 Distribution


durata:
115'


produzione:
Lotus Production - Leone Film Group, Rai Cinema, con il contributo del Ministero della Cultura


sceneggiatura:
Paolo Virzì, Francesco Bruni, Carlo Virzì


fotografia:
Guido Michelotti


scenografie:
Sonia Peng


costumi:
Catherine Buyse Dian


musiche:
Battista Lena


Trama
Ventisette anni dopo la loro estate insieme, i Molino e i Mazzalupi tornano a Ventotene per motivi diversi. Sandro è ormai morente e il figlio ventiseienne Alberto, imprenditore digitale sposato con un fotomodello, decide di invitare gli amici del padre a trascorrere un’ultima estate tutti insieme. Ma negli stessi giorni la cittadina ospita anche le nozze di Sabry Mazzalupi, diventata celebrità del web, che portano a Ventotene non solo la famiglia della donna, ma anche giornalisti, curiosi e arrampicatori sociali...