Ondacinema

recensione di Giuseppe Gangi
7.0/10

un lungo viaggio nella notte

Nell'ultimo decennio sono stati diversi i registi nati negli anni 80 (e 90) che hanno fatto presto a diventare beniamini dei giovani cinefili: i più celebrati trasversalmente sono ovviamente americani e, senz'alcuna pretesa di esaustività, si possono citare a mo' di esempio i vari Ari Aster, Robert Eggers, Greta Gerwig e i fratelli Safdie; a questi si può aggiungere il caso per certi versi unico di Xavier Dolan, che in dieci anni (ha esordito nel 2009) ha girato otto lungometraggi ed è per i più cinici in parabola discendente. Infine, due cineasti provenienti da periferie di stati geograficamente enormi: da una parte il russo Kantemir Balagov (classe '91), dall'altra il cinese Bi Gan. Entrambi sono sbarcati nelle sale italiane grazie alla meritevole iniziativa di Movies Inspired che l'estate scorsa ha distribuito "Tesnota" (2017), mentre dal 30 luglio è in pochissime sale "Un lungo viaggio nella notte", l’opera seconda di Bi. Il regista cinese aveva esordito nel 2015 con il pregevole "Kaili Blues",  che sin dal titolo rimanda alla città natale dell’autore e luogo che funge da trait d'union dei due film.

"Un lungo viaggio nella notte" inizia con un movimento ascensionale della macchina da presa che mostra la compresenza di due piani comunicanti e fra loro integrati, quello del sogno o della memoria e quello della realtà. Il protagonista, Luo Hongwu, torna a Kaili dopo la morte del padre ricevendo in eredità il vecchio furgoncino e l’orologio guasto di fronte al quale l’anziano genitore era solito sedere. All'interno dell'oggetto l'uomo trova una foto che gli rammenta una donna che aveva conosciuto molti anni prima, la quale gli appare in sogno ogni qual volta sta per dimenticarla. Inizia così un'investigazione per riallacciare i fili della memoria che sempre lo riportano all’immagine di questa donna magnetica e malinconica che forse si chiama Wan Qiwen e per il cui amore ha forse ucciso un uomo. Riutilizzando la medesima struttura teorico-narrativa del suo esordio, ripartita in due segmenti, Bi Gan si concentra stavolta sui moduli del noir, facendo coincidere l’incontro con Wan, allo stesso tempo woman in trouble e dark lady, alla personale indagine su un amico d'infanzia assassinato, tratteggiando sullo sfondo la figura di un gangster biancovestito sadico e pericoloso che tiene prigioniera la giovane. Infine, incontri stranianti che favoriscono le reminiscenze (tra cui quello della madre, anch'ella sparita nel nulla) dipanano una matassa di suggestioni: Hongwu, nei panni del detective imperturbabile, procede in uno stato di trance, come in un déjà-vu perpetuo dove rivivere il film già visto della sua esistenza. "Un lungo viaggio nella notte" è un’opera sul cinema come mezzo per reificare la persistenza della memoria, in una funzione di continua risemantizzazione di elementi che, in un terreno ambiguo tra onirismo e realismo magico, acquisiscono una portata simbolica e metaforica. Distinguere le sequenze secondo una scansione di reale e irreale/surreale è un esercizio esegetico  superfluo, poiché per Bi Gan alla realtà si accede attraverso soglie interstiziali, non-luoghi dell’anima costruiti per dettagli minuziosi e peculiari, come la casa allagata le cui pareti sono scrostate dall’umidità, il bar illuminato dai colori acidi e l'intera Kaili, città-contea decentrata nella Cina rurale, attorno a cui gravitano i ricordi del protagonista.

La regia della prima parte del film si compone di piani fissi e lenti movimenti di macchina che, tra soggettive e raccordi sullo sguardo, scoprono le scene inizialmente rese opache e fumose da set e filtri, in una mappatura dello spazio che diviene ricognizione della memoria.  Nella seconda parte, sia in "Kaili Blues", sia in "Un lungo viaggio nella notte", i protagonisti sono spinti dalla loro ricerca nella misteriosa e labirintica città di Dangmai, sezione narrativa che viene esaurita in un pianosequenza, di una quarantina di minuti nell'esordio, sfiorante l’ora di durata nell’opera seconda. Se il presente esperito dal protagonista è perennemente sul precipizio del passato, è nella dimensione onirica che Bi Gan saggia le possibilità di una vera messa in scena del reale, per mezzo di un virtuosismo tecnico che sfonda nella maniera ed è esaltato dal pianosequenza girato in stereoscopia: Hongwu si siede sulla poltroncina di un cinema scalcinato, indossa gli occhiali 3D (invitando lo spettatore a fare lo stesso gesto) e sullo schermo nero appare il titolo del film. Lo ritroviamo perso all'interno di una miniera e traghettato fuori a rivedere le stelle da un giovane di cui potrebbe essere padre, che gli regala una racchetta da ping pong per poter spiccare il volo. Hongwu rivede il volto di Wan Qiwen in una donna con la quale torna a visitare luoghi noti ma traslati, in un vorticoso e ipnotico movimento che gli serve per non accomiatarsi dalle immagini che pullulano nei suoi ricordi. La sequenza in tempo reale e l'immersione tridimensionale provocano la vertigine di un iperreale che spiazza Hongwu, il quale si domanda come si possa comprendere che si sta sognando. Accadeva anche a Chen nel film precedente, quando, accompagnato da un ragazzo, si rendeva conto che quel viaggio in scooter con la macchina da presa magicamente fluttuante dovesse essere una digressione nel regno di Morfeo.  

Probabilmente, il vero limite di quest’opera seconda è il confronto con la matrice rappresentata da "Kaili Blues": laddove la sorprendente ispirazione dell'esordio permetteva all'opera di aggirare i limiti produttivi tramite una radicale libertà espressiva, il ben più ambizioso e consapevole "Long Day's Journey Into Night" è appesantito da un'intellettualizzazione con cui vengono sciorinati simbolismi che – spiegati – mutano la magia in stampelle didascaliche (la transitorietà del fuoco d'artificio, l'eternità dell’orologio). Quando Bi Gan prova a liberarsi dalle maglie della ragione per muoversi secondo la logica contraddittoria del sogno, come farebbero David Lynch o il più vicino geograficamente Apichatpong Weerasethakul, il volo verso cui vorrebbe tendere diviene al contrario la manifestazione di una muscolosità tecnologica fatta di dolly e droni, uno sguardo freddo che desidera catturare ogni angolo e ogni cosa. È forse per questo che appare un'opera altamente stimolante sul piano critico e speculativo, ma meno soddisfacente nella visione complessiva poiché le singole parti risultano migliori della loro somma.
Bi Gan ha detto di essere stato ispirato dalla lettura dei romanzi di Patrick Modiano e dal dipinto "La passeggiata" di Marc Chagall e che il cinema di questo regista trentunenne abbia un'ambizione letteraria e visionaria appare lampante - oltre a essere confermata dalla parallela produzione poetica dell’autore. Pur non nascondendo i punti di riferimento della sua estetica, che vanno da Hou Hsiao-hsien ad Apichatpong, da Andrej Tarkovskij ("Stalker" viene omaggiato più volte) a Wong Kar-wai (palette cromatica e voice over lo ricordano pesantemente), Bi possiede una spiccata personalità e una alquanto matura visione della Settima arte. Alla fine di "Un lungo viaggio nella notte" si contano comunque abbastanza motivi per asserire che il regista cinese è tra le grandi promesse per il futuro del cinema.


11/08/2020

Cast e credits

cast:
Huang Jue, Tang Wei, Sylvia Chang, Lee Hong-chi


regia:
Bi Gan


titolo originale:
Di qiu zui hou de ye wan


distribuzione:
Movies Inspired


durata:
138'


produzione:
Zhejiang Huace Film & TV; Dangmai Films; Huace Pictures


sceneggiatura:
Bi Gan


fotografia:
Yao Hung-i, Dong Jinsong, David Chizallet


scenografie:
Liu Qiang


montaggio:
Qin Yanan


costumi:
Li Hua, Yeh Chu-Chen


musiche:
Lim Giong, Hsu Point


Trama
Luo Hongwu ritorna a Kaili, sua città natale, dopo essere stato lontano per diversi anni a causa della morte del padre. A Kaili ricorda la morte del suo amico Gatto Randagio e si mette alla ricerca della donna che ha amato e che non è mai riuscito a dimenticare.