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recensione di Mirko Salvini
7.0/10

Soraya Jade-Bevis, in arte Paige (in omaggio ad un personaggio della serie televisiva "Streghe") è stata la più giovane star femminile del WWE (World Wrestling Entertainment). Disciplina non molto seguita in Europa, il wrestling negli States è popolarissimo ed è già stato al centro di pellicole importanti, come "The Wrestler" di Darren Aronofsky. Discendente, se vogliamo, dei giochi da circo delle epoche passate, consiste in una forma di intrattenimento che mescola acrobazia e pantomima, dove nerboruti ragazzoni, ma anche procaci giovanotte, si sfidano sul ring in incontri a base di salti, scontri, prese e colpi (simulati), conditi da tutta una serie di litigi e provocazioni piuttosto teatrali che mandano in visibilio il pubblico che in effetti elegge a vere e proprie star i campioni (e le campionesse) di questa specialità. Dalla sua Paige, che adesso non combatte più, aveva due caratteristiche speciali: non era americana, essendo nata a Norwich, Norfolk, in Inghilterra e apparteneva ad una famiglia di wrestlers (infatti sia i genitori sia i fratelli maggiori si sono dedicati per tutta la vita a quella disciplina, col cognome di battaglia Knight, anche se solo la ragazza è riuscita a raggiungere risultati a livello internazionale, conquistando titoli importanti come quello di WWE DIVA per due volte). Sulla campionessa e la sua famiglia così sui generis (dropout praticamente salvati dal wrestling) è stato realizzato nel 2012 un documentario prodotto da Channel 4 e diretto da Max Fischer e adesso un biopic.

Scritto e diretto da Stephen Merchant, eclettico talento britannico conosciuto soprattutto per avere contribuito a serie televisive di successo come "The Office" e "Extra" e quasi debuttante come regista cinematografico (aveva co-diretto nel 2010 insieme al compagno di tante avventure Ricky Gervais "L'ordine naturale dei sogni"), "Una famiglia al tappeto", più che alla gloriosa tradizione del realismo inglese, alla quale sono appartenuti autori importanti come Ken Loach, Mike Leigh o Alan Clarke (talenti formatisi alla BBC e che con le proprie opere raccontavanono la società britannica, spesso forti di finanziamenti da parte del già citato Channel 4), rientra nella categoria del crowdpleaser o feel good movie, nella quale il cinema britannico è ugualmente ormai specializzato (basti pensare a successi del passato come "East is East" o "Sognando Beckham"). Basta dare un'occhiata ai titoli di coda, quando passano le immagini del documentario, per capire che la vicenda della famiglia Knight nel passaggio dalla realtà alla fiction ha subito, per così dire, un processo di "ingentilimento", senza tuttavia precludere la possibilità dello spettatore di divertirsi o di appassionarsi alla vicenda di Soraya/Paige e alla sua non propriamente imprevedibile parabola "dalle stalle alle stelle" molto anni duemila e illuminata a regola d'arte dalle scintillanti luci della ribalta televisiva. L'emergente Florence Pugh già promossa attrice drammatica grazie alle sue interpretazioni in "Lady Macbeth" e "Midsommar" è abbastanza vivace per sostenere senza problemi un registro più leggero, anche se forse la sua pur non canonica bellezza la rende ancora troppo "volto da cinema" per il ruolo (anche se va detto che una certa somiglianza con la Paige star del ring si può intravedere). Stesso discorso vale per Nick Frost, Lena Headey e Jack Lowden (uno dei ragazzi di "Dunkirk"), chiamati a interpretare gli altri componenti della famiglia Knight; accorati e simpatici quanto si vuole, ma non del tutto credibili come figli di un Regno Unito sottoproletario (si sente decisamente la mancanza di quelle facce vere che hanno popolato per anni il cinema inglese più acclamato). Ci sono momenti spassosi (le interazioni fra Paige e i genitori), passaggi drammatici (la delusione del fratello Zak che ai provini per la WWE si vede preferire proprio la sorella alla quale ha insegnato, diciamo così, i trucchi del mestiere) e momenti interlocutori che riguardano soprattutto l'esperienza di Paige negli States dove si sente un pesce fuor d’acqua (e il film stesso funziona meno): è meno brava del previsto nell'interazione col pubblico e non lega con le altre ragazze reclutate (le considera modelle senza talento, ma poi scoprirà che anche loro hanno ragioni non meno valide delle sue per voler intraprendere quella carriera). Nella parte americana diventa importante la figura del reclutatore-allenatore interpretato da Vince Vaughn che dispensa, un po' prevedibilmente, scomode verità e buoni consigli in egual misura. Anche senza conoscere la storia che lo ha ispirato, difficilmente "Una famiglia al tappeto" potrà risultare sorprendente allo spettatore ma sicuramente l'intento di intrattenere viene raggiunto. Il film ha inoltre, come si dice, il cuore al posto giusto (vedere per credere Zak che allena un ragazzo non vedente fino a farlo diventare, incredibile ma vero, un wrestler professionista) e il buon riscontro che ha avuto ai botteghini lo ha premiato anche per questo.

Dwayne Johnson, star del WWE che è riuscito a rilanciarsi come attore, figura come produttore e si concede un cameo che gli permette di rispolverare il suo popolare personaggio di The Rock ma forse le partecipazioni più divertenti sono quelle dello stesso regista Merchant e della spassosa Julia Davis, impegnati a interpretare i suoceri molto perbene di Zak.

 


02/08/2019

Cast e credits

cast:
Florence Pugh, Jack Lowden, Lena Headey, Nick Frost, Vince Vaughn, Dwayne Johnson, Stephen Merchant


regia:
Stephen Merchant


titolo originale:
Fighting with My Family


distribuzione:
Eagle Pictures


durata:
108'


produzione:
Metro-Goldwyn-Mayer


sceneggiatura:
Stephen Merchant


fotografia:
Remi Adefarasin


scenografie:
Nick Palmer


montaggio:
Nancy Richardson


costumi:
Matthew Price


musiche:
Vik Sharma


Trama
Una ragazza che ha praticato il wrestling sin da giovanissima insieme ai propri familiari riesce ad avere l'occasione della vita: entrare a far parte del WWE
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