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Attraverso l'uso di materiale inedito, la docuserie racconta la carriera di David Beckham, celebre calciatore inglese divenuto una star mondiale, tra ascesa, cadute e ossessioni

Nell'estate del 1998, a poche settimane dalla fine del primo anno di liceo, i miei genitori mi spedirono per una ventina di giorni in una sperduta cittadina del Kent per espiare quello che sarebbe poi stato l'unico debito formativo totalizzato in quei cinque anni: inglese, appunto. L'esperienza mi sarebbe servita da lezione: scarsa ospitalità (per usare un eufemismo) e vento tagliente e costante dal Mare del Nord nel contesto di una cittadina di rara bruttezza erano gli ingredienti principali di quel viaggio studio. Ma quella era anche l'estate dei Mondiali in Francia, e viverli in Inghilterra fece in modo che l'album dei ricordi si riempisse di istantanee bizzarre e confuse: pub strapieni di gente ubriaca e con tutta l'aria di voler fare rissa anche senza apparenti motivazioni, gruppi di tifosi stranieri che sciamavano colorati e più o meno compatti per le vie delle città inglesi forse inconsapevoli, nelle loro sbronze a ciclo continuato, di aver attraversato la Manica, la traversa di Di Biagio vista dalla televisione in quel salotto ricoperto di una moquette giallastra, con il padrone di casa a sbeffeggiarci e noi a ricordargli che gli inglesi erano già tornati a casa da tempo, nonostante David Beckham, anzi, proprio per colpa di David Beckham.

In quel giugno/luglio del 1998, per chi si trovava in Inghilterra, tutto sembrava ruotare attorno allo "Spice Boy". Le pubblicità, le copertine di giornali e rotocalchi, i discorsi delle persone per strada. Anche il nostro maestro di inglese, un brillante studente di letteratura con una inclinazione per William Shakespeare, non parlava che di Beckham. Era il momento del ragazzo prodigio, del predestinato: un 23enne che doveva caricarsi sulle spalle un intero Paese e la sua voglia di rivalsa dopo tanti anni di bocconi amari. E lui, David, che per tutta la carriera era già stato e sarebbe di nuovo stato così puntuale e diligente agli appuntamenti con il destino, quella volta ci mise un attimo a passare, suo malgrado, da eroe a capro espiatorio. Dopo essere stato relegato in panchina da Glenn Hoddle nelle prime partite dei Mondiali e aver risollevato le sorti della squadra da subentrante, dimostrando a tutti – e in primis al ct – quanto fosse fondamentale la sua presenza, cascò nel tranello preparatogli da Diego Simeone agli ottavi contro l'odiata Argentina, rifilandogli un calcetto dopo aver subito un fallo da dietro, con l'arbitro Kim Milton Nielsen lì a tre metri: espulsione diretta, lotteria dei rigori, David Batty che si fa parare la conclusione decisiva da Roa, inglesi a casa.

L'episodio è centrale nella trama di "Beckham", la docuserie che Netflix dedica al più iconico dei calciatori britannici (e non solo) della nostra epoca, un uomo che ha indossato e continua a indossare tante maschere sovrapposte: l'atleta, il modello, l'icona, il marito di una Spice Girls, l'imprenditore. In pratica, qualsiasi lato del successo. L'emblema stesso, del successo. E come accade per tutti i grandi campioni, in questo documentario in quattro puntate emerge chiara e tonda l'avversione di David per la sconfitta, che sia una finale di Champions o una partitella contro gli amici del figlio.

Il cuore centrale della mini serie tv ruota attorno a quel biennio decisivo (1998-1999), dalla tragedia alla gloria, dalla caduta alla redenzione. L'espulsione contro l'Argentina è l'inizio di un periodo durissimo per Beckham e la sua famiglia, che proprio in quel momento si sta allargando con la nascita del primo figlio Brooklyn. I fischi, gli insulti, persino le minacce di morte scandiscono la vita di David e Victoria per circa un anno, trasformandoli da simboli pop dell'Inghilterra di fine millennio a vittime sacrificali di un malcontento che dagli stadi striscia nelle strade e infine dentro le case.

Ma la storia di David Beckham è anche quella di un atleta dalla determinazione straordinaria, e prima ancora di un uomo destinato al successo. Dietro il lato "posh", oltre le copertine, i vestiti stravaganti e i set fotografici, ci sono la sostanza e la disciplina. Concetti trasmessi in tenera età dal padre David Edward Alan, tifoso sfegatato del Manchester United, impegnato nella missione di trasformare il figlio nel calciatore definitivo, in grado di calciare perfettamente con entrambi i piedi e di non sbagliare mai uno stop. Una disciplina che oggi il 47enne Beckham riverbera nella sindrome ossessivo-compulsiva di sistemare continuamente ogni oggetto della casa nella posizione giusta, che si tratti di sedie o di magliette riposte con ordine maniacale dentro a un cassetto.
Quella disciplina e quella determinazione saranno fondamentali, l'anno dopo, per prendersi il grande riscatto con la strepitosa tripletta del Manchester United in Premier League, FA Cup e Champions League, quest'ultima vinta grazie a un finale di partita epico scandito dalla mitologica doppietta di Solskjaer allo scadere, propiziata da due calci d'angolo battuti alla sua maniera da David Beckham e destinata a schiantare un Bayern Monaco ormai proiettato verso la vittoria. A completare l'opera, il ritorno in Nazionale, questa volta da eroe e con la fascia di capitano al braccio.

C'è ovviamente molto altro, in questo biopic. I dodici anni nel Manchester United, la formazione sotto l'ala protettiva di sir Alex Ferguson fino al clamoroso strappo del 2003, il rapporto stretto con i genitori e poi con i figli, la relazione tra un marito e una moglie che sono due icone dei più popolari tra gli ambiti esistenti: il calcio e la musica. E proprio la musica, a tratti, guida gli umori di questa piccola-grande epopea personale. La caduta del 1998 è scandita dai rintocchi di "Sing" dei Blur, il riscatto dell'anno successivo prende di nuovo la strada del britpop con l'esaltante "Hundred Mile High City" degli Ocean Colour Scene a fare da tappeto per il nuovo incipit di questo romanzo di formazione che si completerà poi, tra nuovi alti e ulteriori bassi, con le esperienze al Real Madrid, ai Los Angeles Galaxy, al Milan, fino all'addio ai campi da gioco in lacrime al Paris Saint Germain e verso nuove avventure non più dentro ma fuori dal campo, con l'Inter Miami fondata ex novo e un sogno di nome Leo Messi.

"Beckham" è un buon documentario, senz'altro adatto anche a chi non ama il calcio, perché è la storia di un personaggio (anzi, due) fuori dal comune. Se ha un difetto, è quello di cercare a tratti la condiscendenza e il trasporto dello spettatore, magari non sempre riuscendoci, ma al tempo stesso senza paura di mostrare anche le vicende controverse della carriera e della vita privata. Si concentra forse giustamente sui momenti decisivi – le prime stagioni da professionista, gli anni d'oro al Man Utd, la rottura con Ferguson e il clamoroso sbarco a Madrid, la vittoria della Liga con i Galacticos di Fabio Capello, dopo essere stato a lungo tenuto fuori squadra e averla poi condotta per mano a una rimonta che sembrava impossibile – sorvolando a volo d'uccello su molti altri.
Racconta da dentro una famiglia che ha dovuto convivere con la presenza ingombrante dei paparazzi e sempre al centro di clamori, senza paura di citare i momenti di difficoltà, le paure, le ansie, le tensioni: l'umanità, in definitiva, che c'è dietro un uomo e una donna che, nati e cresciuti in famiglie piccolo-borghesi, sono diventati simboli di un'epoca e di una generazione. Confessioni, ricordi, alti e bassi scorrono davanti ai nostri occhi mentre la telecamera stacca e ritorna al presente, al volto in primissimo piano di David Beckham che ci fissa divertito dritto negli occhi, come a sfidarci a tenergli testa, ben sapendo che è del tutto impossibile.

Beckham
Informazioni

titolo:
Beckham

titolo originale:
Beckham

canale originale:
Netflix

canale italiano:
Netflix

creatore:
Fisher Stevens

produttori esecutivi:
Fisher Stevens, John Battsek

cast:

David Beckham, Victoria Beckham

anni:
2023