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Winding Refn torna in Danimarca con un'allucinata fiaba dark cucita intorno alle proprie ossessioni e alle figure antiche del folklore europeo. Senza mai abbandonare la radicalità di uno stile ormai riconoscibile, si conferma un autore unico per la capacità di creare mondi e colorarli del proprio fervido immaginario

copenhagen cowboy recensione



Episodio 1 - "The Mysterious Miu"

Lenta carrellata sui maiali che grufolano, stacco, primi piani che riprendono da diverse angolazioni un assassino che strangola una donna in un mattatoio [1]. È il prologo della puntata che introduce la protagonista di "Copenhagen Cowboy", la misteriosa Miu (Angela Bundalovic), una giovane minuta dalle sembianze androgine che ha il talento (si dice) di portare fortuna.
La vecchia e grassa Rosella paga diecimila euro per questo talento, chiedendo a Miu di farla rimanere incinta e di avere la pelle un po' più fresca [2]. Mentre Miu vaga silenziosa tra le stanze della grande villa nel bosco, Rosella passa il tempo consultando cartomanti, picchiando il grufoloso marito Sven e pulendo il covo del fratello André, manager di un'agenzia di modelle (leggi: prostitute).
Ovviamente va tutto storto.

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NWR ricomincia lì dove aveva interrotto l'affabulazione, con l'ultima puntata di "Too Old To Die Young" in cui ci presentava una vendicatrice misteriosa e soprannaturale. Non siamo più in Messico ma in Danimarca, anche se potremmo essere in qualunque luogo o in nessuno, dato che la grande villa nel bosco appartiene al tradizionale cronotopo della fiaba. Una fiaba che tra velluti rossi, grasse regine capricciose e mariti che strillano come maiali sembra scritta a metà tra David Lynch e John Waters.
In realtà si indovina immediatamente che si tratta di Winding Refn, a partire dal fatto cromatico che, come ricorda Luca Venzi, "è una delle vie principali attraverso le quali è possibile perlustrare in profondità la densità e la stratificazione della scrittura cinematografica" (Tinte esposte, 14). Non può essere un caso che il rosso e il blu, perni cromatici di molti universi refniani, si trovino accostati nell'abito di Miu in un disegno che ricorda la tuta di Superman.
Una seconda dicotomia che colpisce è l'opposizione tra l'elemento floreale proprio di Miu ("She makes everything bloom") e quello animalesco, suino proprio di Rosella e i suoi affiliati. Tra le sequenze più stravaganti, Miu che sbadiglia allargando la bocca e torcendo il viso come un girasole [3]. Altri topoi refniani che ritornano sono l'androginia, lo specchio e la rappresentazione del corpo femminile come un manichino, ostaggio della propria bellezza come già accadeva in "The Neon Demon" [4].

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Accanto all'amato bokeh, la sfocatura dello sfondo che si accentua soprattutto quando è inquadrata Miu, e alle inconfondibili panoramiche circolari, stavolta allungate fino a formare traballanti ellissi, Winding Refn aggiunge in questa prima puntata un elemento finora poco impiegato nella sua filmografia: la dissolvenza in nero. Un ricorso ripetuto al fade to black impone al pubblico di sospendere l'attività di elaborazione del discorso audiovisivo, serializzandolo in segmenti narrativi legati da una concezione del tempo epifanica e iterativa, piuttosto che da una semplice continuità temporale.
Non si tratta di un dato banale per un regista come Winding Refn, da sempre affezionato alla linearità della narrazione cronologica e al tempo omogeneo del piano sequenza. Un tempo che viene nuovamente violato, ripiegato su sé stesso fino a raggiungere una circolarità cruenta e infrangibile nel disturbante finale di questo primo episodio. Tutti elementi che segnalano, rispetto a "Too Old To Die Young", una maggiore attenzione e un più saldo controllo dei linguaggi e delle forme della serialità, nel quadro di un percorso espressivo in continua e conturbante evoluzione.

Episodio 2 - "Vengeance is my Name"

Miu continua a scroccare vitto e alloggio, ma Rosella non rimane incinta. Decide quindi di disfarsene consegnandola al fratello pappone, che le confeziona un bel book fotografico e la lancia nel mercato della prostituzione. Nicklas, il killer di Cimona, vede l'annuncio e se ne innamora. Ma non la trova, perché Miu sobilla una rivolta tra le ragazze di André e si dà alla macchia; si rifugia in un ristorante cinese, il Dragon Palace, proprietà di una donna che tutti chiamano Mor Hulda. Lì compie un miracolo, resuscitando il neonato di una partoriente che passava di lì. Quindi va a pareggiare i conti con Rosella.
Il titolo si spiega da sé, e non bastasse il titolo abbiamo pure l'intervista: "Il desiderio di vendetta è innato in ogni generazione, e ovviamente questa serie è destinata alla generazione di cui fanno parte anche le mie figlie e che credo sia alla ricerca dei propri eroi. Mi piace aiutarli a crearli" (Alessandro De Simone per Rollingstone.it). Miu rappresenta insomma l'ennesimo avatar di quell'"eroe dai mille volti" (eroina in questo caso), archetipo transculturale radicato nell'inconscio collettivo, che abbiamo già conosciuto nei volti di Driver, Chang e altri personaggi refniani. "Copenhagen Cowboy" conferma la vocazione per un cinema mitopoietico che iscrive temi e figure senza tempo nell'immaginario ipertestuale della contemporaneità, sospeso tra il recupero di mitologie antiche (es. "Valhalla Rising") e la creazione di nuove ("Bronson").

E lo fa attingendo liberamente a un giacimento inesauribile di archetipi e immagini che spaziano dal foklore alla pop culture. Dal primo derivano, ad esempio, Mor Hulda (Frau Holle nei fratelli Grimm), personificazione mitteleuropea del karma, e l'iconografia wuxia. Dalla pop culture il nome "Miu", scippato a un brand di Prada, e il suo look, ricalcato sulla Sposa di "Kill Bill". La caratura multietnica, plurilinguistica di "Copenhagen Cowboy" (danese, inglese, serbo, cinese...) non è però un ruffiano ammiccamento alla retorica dell'inclusività: rispecchia piuttosto un tentativo genuino di usare il legante di un sostrato etico, mitologico, e quindi unitario e unificante, per rinsaldare i cocci di una modernità frantumata dalla combo letale nichilismo etico (prostituzione, sfruttamento minorile, incesto, narcotraffico) + capitalismo sfrenato (sfruttamento economico dei summenzionati vizi), tutti temi già toccati dalla filmografia refniana.

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Le macerie morali del racconto sono incapsulate in una potente architettura cromatica, che consolida NWR tra i maestri del colore. Come Godard, Bava e altri noti coloristi, Winding Refn affida al fatto cromatico una marcata "pregnanza plastica e figurativa" e una "insistita ricorsività" (Venzi, op.cit., 70). Una strategia portata agli estremi in questo secondo episodio, che avvicenda su un omogeneo sfondo nero sequenze dominate dal rosso e dal blu [5]. Il colore attraversa forme e figure quasi fossero porose, assumendo una funzione formativa, demiurgica, rispetto a un universo alimentato da selvaggi e implacabili contrasti, trasfigurati in un regime di astrattezza. Un'estetica di stampo fauve, come mostrano Madame Matisse (Matisse, 1905) [6] e Donna finlandese (Sonia Delauney, 1908) [7].

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Episodio 3 - "Dragon Palace"

La storia riprende al Dragon Palace, dove Miu scopre che Ai, la figlia di Mor Hulda, è tenuta in ostaggio da Mr. Chiang, potente boss della malavita cinese, per un torto non specificato. Mor Hulda ripaga il debito poco a poco, dando in pasto ai maiali le vittime fatte sparire da Mr. Chiang. Siccome muore un maiale, Mor Hulda decide di comprarne un altro. Accompagnata da Miu fa visita al "castello" di alcuni possidenti agricoli della zona, ovvero la famiglia di Nicklas – il serial killer. Al castello Miu vede una bara nera in una stanza e le appare lo spettro di Cimona.

A marcare la puntata sono soprattutto due elementi, uno narrativo e uno registico. Quello narrativo consiste nell'introduzione della famiglia di Nicklas, due facoltosi bellocci di mezza età che indulgono in sgradevoli allusioni sessuali. La triade cromatica nero-rosso-blu viene qui sostituita dalla triade nero-bianco-rosso oppure nero-bianco-oro, similmente a quanto avveniva in alcune sequenze di "The Neon Demon". [8] Spicca in particolare l'elemento aureo, colore legato al lusso e alla perpetuità, ma anche alla duttilità e alla contraffazione, tutte qualità incarnate da Nicklas e dai genitori.

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Si tratta infatti di una famiglia di vampiri, in cui la madre pare ossessionata dal denaro e il padre dal pene, "l'elemento che tutti invidiano, desiderano e sognano, il definitivo simbolo di potere creato da Nostro Signore". È una connotazione tipicamente freudiana-lacaniana del fallo, concepito non in quanto organo maschile ma piuttosto come oggetto del desiderio che innesca e alimenta la competizione incanalando la libido, l'energia sessuale, verso la destrudo, l'aggressività; una connotazione già presente in "Pusher II" e "Solo Dio perdona".

L'elemento tecnico degno di rilievo è il ricorso maniacale alla panoramica circolare o semicircolare; la macchina da presa ruota insomma intorno al proprio asse per 360 o 180 gradi, arrivando addirittura a effettuare, nella "scena del regalo", quattro rotazioni complete consecutive. Al tempo omogeneo del piano sequenza viene impresso un andamento circolare, e si scoprono ciclicamente figure che affondano e riemergono dal fuoricampo come corpi immersi in un liquido. La macchina da presa lavora insomma alla costruzione filmica di uno spazio fluido che scorre intorno a un punto di osservazione immobile, come una vedetta o una torre di osservazione.

Il profilmico non è quindi organizzato in modo da comunicare efficacemente il maggior numero possibile di informazioni, ma piuttosto in modo da porre l'osservatore in una posizione di immobilità e svantaggio rispetto a un fuoricampo sempre vivo e brulicante, che rivela poco a poco le proprie sorprese e disturbanti anomalie. [9] Si conferma una cifra ricorrente della poetica refniana la creazione di quello che una certa scuola semiotica definisce uno "spazio dinamico espressivo", laddove la macchina da presa "esibisce con compiacimento il suo ruolo demiurgico e sottolinea la stretta dipendenza del vedere e del sapere dello spettatore da quanto essa decide di far vedere e far sapere" (Casetti e Di Chio, Analisi del film, 137).

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Episodio 4 - "From Mr. Chiang With Love"

Miu continua a vagabondare nei dintorni del castello. Concentra lo sguardo sul fiume e le appaiono in visione le donne uccise da Nicklas, sospese nell'acqua gelida come manichini. [10] Nicklas le chiede cosa vede, poi le dà dieci secondi di vantaggio. Miu lo attira nella porcilaia e gli dà una fracassata di botte, lasciandolo in pasto ai porci.

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Quindi torna da Mr. Chiang e tratta per liberare Ai, la figlia di Mor Hulda. Per cominciare, Chiang le chiede una grossa somma di denaro. Allora Miu torna in città e chiede un lavoro al vecchio amico Miroslav, avvocato criminale con varie aderenze malavitose, interpretato da Zlatko Buric – che gli appassionati ricorderanno come Milo in "Pusher 3", anche qui accompagnato dal fido Slavko Labovic (là Radovan, qui Dusan). Miu accetta un impiego da pusher sotto l'egida di Danny, che le spiega i rudimenti del mestiere. Nel frattempo Nicklas è salvo anche se mezzo divorato dai maiali, e il padre pianifica di usare tecniche avanzate di biotecnologia per costruirgli un nuovo super-pene.

Il quarto episodio accelera l'azione e la sposta in un setting metropolitano, alternando flemmatici piani sequenza in interni nero e oro a panorami urbani visti quasi sempre dall'alto, immersi in una luminosità indistinta. Episodio effervescente, in bilico tra inserti ironici (a cui si aggiunge un cameo del regista nei panni di un architetto cocainomane) e dettagli granguignoleschi. [11]

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Episodio 5 - "Copenhagen"

È nel quinto episodio che le varie piste del dramma si intrecciano per condurre il pubblico verso l'inevitabile epilogo. Apertura su uno split screen à-la Kenneth Anger in cui due strisce scorrono in senso opposto; sopra una parodia in blu dell'ultima cena con Danny e i suoi affiliati, sotto una gang di motociclisti in rosso. [12] "Copenhagen brucia", dice Danny a Miu informandola di una feroce guerra tra gang, poco prima di essere ferito in un attentato. Miu stende gli assassini, ma invece di salvare Danny lo accoppa e gli sottrae otto milioni di dollari in cocaina. Li consegna a Mr. Chiang, che però non è soddisfatto e la incarica di uccidere Dusan (Labovic), braccio destro di Miroslav.

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Nel frattempo Nicklas, ancora menomato, giura vendetta e decide di resuscitare la sorella Rakel, potente strega che giace addormentata nella bara nera intravista qualche episodio fa. In maniera analoga a "Solo Dio perdona", Refn traspone momenti chiave della narrazione su un piano allegorico, consegnando il profilmico a "una messa in quadro statica e geometrizzante che espone ed esalta il corpo virile e femminile in un tripudio funebre di luci, superfici, manufatti, simboli e colori" (Capra, Nicolas Winding Refn. La vertigine del fato, 131). [13]

Se il personaggio di Rakel richiama una versione vampiresca della Bella addormentata e Mor Hulda la fiaba di Frau Holle, la stessa Miu con le sue labbra rosse, i capelli neri e la pelle diafana non può non ricordare Biancaneve. Tre personaggi che provengono dalle storie dei fratelli Grimm, e più in generale dal folklore germanico. Da una parte Winding Refn sembra orientato, dopo le parentesi asiatiche e americane, a trapiantare in patria il proprio immaginario cinematografico attraverso il recupero di tradizioni culturali e iconografiche locali. Dall'altro "Copenhagen Cowboy" risponde appieno alla definizione di "serie mitologica", ovvero quella tradizione della serialità televisiva che in epoca moderna è stata inaugurata da "Twin Peaks", e che appare guidata non dalla narrazione o dai personaggi, quanto dall'universo socio-semiotico che vi funge da sfondo e che riflette l'accettazione di un immaginario condiviso tra pubblico e autore. Insomma, una serie per cui "è essenziale la presenza di un mondo pregresso, coerente, indissolubile dal suo creatore" (Bellavita, "Mythology series e fruizione immersiva", Segnocinema 220).

Episodio 6 - "The Heavens Will Fall"

Nicklas manda un cacciatore a cercare un cuore umano (di nuovo Biancaneve) per nutrire la sorella e rimetterla in forze. Chiang finalmente libera Ai, ma pretende in cambio che Miu dorma con lui. Impietosita, Miu lo nutre col proprio sangue. Ringalluzzito dal potere demoniaco, Chiang le chiede di sposarlo ma lei non è d'accordo. Ne segue un duello kung-fu violento e spettacolare. Nel frattempo Rakel si prepara al combattimento indossando una tuta rossa; in una carrellata onirica commentata da una track elettro-techno, raduna una sfilata di potenze demoniache. Nemmeno Miu è sola: passeggiando nel bosco incontra un gruppo di creature soprannaturali, fra cui Cimona, vestite esattamente come lei. Il confronto tra Miu e Rakel decreta che non c'è confronto. Intanto Hideo Kojima consiglia a Miroslav, preoccupato per la morte di Dusan, di contattare dei fantomatici giganti.

In spregio ai princìpi classici dello storytelling hollywoodiano, sceneggiatura e trama vengono spolpate fino alla quasi completa atrofia, regredendo sul terreno senza tempo e sempre attuale della fiaba. È qui che gli elementi base del linguaggio cinematografico, il gesto, il volto, la luce, il suono, il colore, ritrovano il centro della scena. In questo sesto episodio è soprattutto la colonna sonora a stupire, nello specifico in due sequenze: il duello tra Chiang e Miu, in cui i suoni dei colpi sono rimpiazzati da rumori elettronici creando un effetto straniante di materializzazione del paranormale; poi, la carrellata su Rakel e le sue "emule", che lo splendido brano "Undead Is The New Red" di Julian Winding (parente del regista; da ascoltare e riascoltare anche la splendida chitarra elettrica di "I Promise") trascina verso la rappresentazione simbolica di una metafisica della violenza.

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In entrambi i casi è palpabile l'influenza dei velluti rossi di David Lynch, insuperabile maestro nel far affiorare mondi allucinatori attraverso la mera giustapposizione di dissolvenze/assolvenze, colori e superfici, motivi e suoni e simboli. In questo senso anche lo stile di Winding Refn non incoraggia un godimento estetico legato al coinvolgimento dell'istanza narrante, né puramente intellettuale, ma piuttosto sensoriale e sinestesico nel senso originario del termine, ovvero nell'accostamento intuitivo e brutale di stimoli e segni contraddittori, come un certo surrealismo. Un cinema che miscela strategie da Slow Cinema e suggestioni da B-movie, condensato "nella fissazione voyeurista verso feticci mortuari, la cui presenza è permessa (e premessa) dalla loro sclerotizzazione in forme dell'apparire e dell'agire astratte o archetipiche" (Capra, op.cit., 131).

Insomma, un finale all'insegna del delirio per questa prima stagione di "Copenhagen Cowboy", che già si proietta ironicamente verso una seconda stagione. Ci sarà? Non ci sarà? La parola a Netflix, che ancora non ha dischiuso i dettagli economici, ma al momento sembra improbabile che sia il colosso dello streaming a finanziare una season two. Sarebbe un peccato, perché malgrado le intenzionali e ormai riconoscibili dilatazioni narrative, Winding Refn si conferma un autore unico per la capacità di creare mondi e colorarli del proprio fervido immaginario.

Copenhagen Cowboy
Informazioni

titolo:
Copenhagen Cowboy

titolo originale:
Copenhagen Cowboy

canale originale:
Netflix

canale italiano:
Netflix

creatore:
Nicolas Winding Refn

cast:

Angela Bundalovic, Fleur Frilund, Lola Corfixen, Zlatko Burić, Andreas Lykke Jørgensen, Jason, Hendil-Forssell, Li Ii Zhang, Dragana Milutinović, Mikael Bertelsen, Mads Brügger, Ramadan Huseini, Per Thiim

anni:
2023