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Con "Le regole del cavaliere", libro uscito in Italia lo scorso novembre, Ethan Hawke propone un interessante racconto in forma di lettera, in cui regole e virtù da tramandare ai figli si mescolano a lezioni di vita e narrazioni dal taglio filosofico

Ammirare Ethan Hawke - seppure su YouTube - mentre presenta la sua opera letteraria alla Shakespeare & Co., storica libreria anglofona di Parigi, non è solo un déjà-vu dell’indimenticabile apertura del film “Before Sunset”, in cui Jesse introduceva il suo bestseller e incontrava la vecchia fiamma Céline, ma anche l’ennesima dimostrazione del modo in cui questo attore sia riuscito a coniugare arte e vita, nonché cinema e letteratura, come pochi altri interpreti della sua generazione. Difatti, Hawke si è costruito un’identità assolutamente peculiare nello star system hollywoodiano, scegliendo film e impersonando uomini in balia di tormenti interiori e tuttavia alla continua ricerca di sfide: dal timido poeta sui banchi di scuola de “L’attimo fuggente” di Peter Weir al ragazzone texano alla scoperta del vecchio Continente (e dell’amore) nella già citata trilogia di Richard Linklater, passando per la spaesata recluta nel feroce addestramento di “Training Day” fino al progetto ultradecennale di “Boyhood”, e molto altro ancora. Parallelamente, Hawke si è lanciato in una carriera letteraria piuttosto interessante, con due romanzi usciti in Italia per minimum fax e la graphic novel “Indeh” per Mondadori, a cui si aggiunge questo libro, “Le regole del cavaliere”, pubblicato in Italia lo scorso novembre in un’elegante edizione dalla casa editrice Sonda, nella traduzione dall’inglese di Francesco Paolo Ferrotti.

L’autore utilizza il classico espediente del ritrovamento di un vecchio manoscritto, vergato in lingua cornica da un suo antenato, Sir Thomas Lemuel Hawke, per dare voce in prima persona al cavaliere, che imbastisce un lungo racconto epistolare indirizzato ai figli. Siamo nell’anno 1483 e il nostro è in procinto di affrontare la battaglia campale di Slaughter Bridge, senza sapere se potrà più rivedere i suoi cari. Così, inserisce nella missiva una serie di regole e consigli su come affrontare la vita con onestà, rettitudine, senso di giustizia, fedeltà, sottolineando l’importanza dell’amicizia e della ricerca dell’amore. Sono calibrati sapientemente i passaggi in cui il cavaliere ci racconta l’apprendistato ricevuto dal Nonno, una figura di estrema dignità e saggezza, grazie all’inserimento di aneddoti dai quali trarre preziosi insegnamenti. Ogni capitolo ha come argomento una regola-virtù: cos’è la Grazia, ad esempio? “È la capacità di accogliere il cambiamento. Sii aperto ed elastico. Ciò che è fragile si spezza.” Quando si tratta della Generosità, l’autore afferma: “Sei nato senza possedere nulla e te ne andrai da questa vita con nulla addosso. Sii frugale e riuscirai a essere generoso”. Questo ci suggerisce, invece, la Dedizione: “Si perseverante. L’incudine resiste al martello”.

È impossibile non notare la torsione letteraria di Hawke scrittore, che aveva esordito con “L’amore giovane” (The Hottest State, da cui aveva firmato anche la versione cinematografica), un romanzo legato alla gioventù e alla passione sfrenata ma a volte inconcludente; soprattutto nel suo secondo libro, “Mercoledì delle ceneri”, lo stile diventava intriso di un linguaggio così onesto e diretto da suonare quasi brutale, tanto forte era l’aderenza ai suoi personaggi, in cui spiccavano un militare marcio e drogato e la sua ex in fuga dal mondo. Con “Le regole del cavaliere”, Hawke cambia decisamente passo: l’opera non è classificabile, in fin dei conti, come romanzo, ma s’iscrive a più generi ponendosi a metà strada tra manuale di crescita personale e racconto filosofico. Il testo scorre lieve nella sua profondità, rifuggendo la pedanteria grazie a una lingua che oscilla tra la purezza della narrazione e la classicità della prosa, creando non di rado immagini vivide e potenti. Sfocia anche nella poesia, quando presenta in coda il canto di ispirazione medievale “La ballata del cervo rosso a quarantaquattro punte”.

In uno degli episodi in cui ripercorre la sua formazione, Thomas ci racconta dell’invidia provata verso Roan, giovane scudiere del Nonno, forte, intelligente e molto bello. Roan eccelle davvero in tutto, e il confronto impietoso getta nello sconforto Thomas, facendolo sentire un mediocre. Eppure, il valente scudiero è destinato a morire in età prematura al termine di una battaglia. Thomas comprende allora l’inutilità della sua gelosia e scrive: “Sentii la mancanza di Roan e capii troppo tardi che la sua eccellenza non era per me un motivo di umiliazione. Mi aveva messo alla prova e mi aveva reso più forte. (…) Quel pomeriggio imparai che la pioggia scende su tutti allo stesso modo.” Ethan Hawke ha dichiarato che l’episodio è ispirato al legame con River Phoenix, il giovane attore americano deceduto nel 1993 a soli ventitré anni, uno dei grandi talenti di Hollywood del periodo, con il quale Hawke si sentiva in competizione.

Ne “Le regole del cavaliere” è fortissima, dunque, la percezione di sentimenti autentici: dentro la dimensione intima della narrazione, nei disegni degli uccelli posti in apertura ai capitoli (realizzati dalla moglie dell’autore), negli accorati insegnamenti del cavaliere, si intravede in controluce la figura di Hawke stesso e dei suoi figli, ai quali il libro è rivolto, e che in una certa misura hanno contribuito alla sua realizzazione, accanto ad altre ispirazioni espressamente citate. Lo scrittore si è definito, infatti, un redattore piuttosto che unico autore, quasi a giustificarne il carattere polifonico, rintracciabile nei numerosi legami affettivi di cui l’opera è pregna. Nell’ultimo capitolo del libro, Hawke non omette di trattare il tema della Morte, o meglio, della paura di morire; perché persino un cavaliere come il Nonno, di fronte all’estremo passo, può vacillare. Eppure, mentre abbandona la sua armatura davanti all’oceano, l’autore scrive che “… si ricordò che non era l’unico a morire. C’erano tanti altri che stavano morendo nello stesso istante; e c’erano tanti altri che nascevano. Non era solo. (…) Gli sembrava di ascoltare il suono dell’intera sua generazione trascinata via dal mare, come le onde che si frangevano sulla spiaggia e ritornavano indietro.”

“Le regole del cavaliere” è un libro, dunque, che suggella un’evoluzione, e la lettera è la testimonianza dell’esperienza personale di un uomo passato dalla ricerca del suo posto nel mondo a saggio consigliere verso chi quel posto deve ancora trovarlo. Proponiamo un altro passaggio significativo del capitolo VII, dedicato alla regola del Perdono, la quale recita: “chi non riesce a perdonare facilmente non avrà molti amici. Cerca il meglio negli altri e in te stesso”. Nel corso del capitolo si legge: “Non abbiamo bisogno di una famiglia perfetta o della comunità ideale. Quella che abbiamo è già abbastanza buona per cominciare ad assolvere al nostro compito. Per fare rotta a nord, un cavaliere può seguire la Stella polare, ma ciò non significa che debba arrivare fino alla Stella polare. Il dovere di un cavaliere è soltanto di procedere in quella direzione.”

 

Ringraziamo il traduttore Francesco Paolo Ferrotti e la casa editrice Sonda per la preziosa collaborazione