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Torino 33 - Le nostre pillole dal Festival

33esima edizione del Torino Film Fest, la seconda diretta da Emanuela Martini, quest'anno con il guest director Julien Temple. Come sempre programma tutto da scoprire, quello del festival piemontese, tra il concorso e le sempre interessantissime sezioni collaterali TFF/doc, Onde, Festa mobile, After Hour e la biennale retrospettiva sul cinema distopico

L'aggiornamento quotidiano della trentatreesima edizione del festival di Torino da parte degli inviati di OndaCinema 

Si chiude il Torino Film Festival, ecco i premi del concorso: 

La Giuria di Torino 33 - Concorso Internazionale Lungometraggi, composta da Valerio Mastandrea, Marco Cazzato, Josephine Decker, Jan-Ole Gerster, Corin Hardy assegna i premi:

Miglior film a:
Keeper
di Guillaume Senez (Belgio/Svizzera/Francia, 2015)

Premio Speciale della giuria - Fondazione Sandretto Re Rebaudengo a:
La Patota
di Santiago Mitre (Argentina/Brasile/Francia, 2015)

Premio per la Miglior attrice a:
Dolores Fonzi
 per il film La Patota di Santiago Mitre (Argentina/Brasile/Francia, 2015)

Premio per il Miglior attore a:
Karim Leklou per il film Coup de Chaud di Raphaël Jacoulot (Francia, 2015)

Premio per la Miglior sceneggiatura ex-aequo a:
A Simple Goodbye
di Degena Yun (Cina, 2015)
e
Sopladora de Hojas
di Alejandro Iglesias Mendizábal (Messico, 2015)

Premio del pubblico a:
Coup de Chaud
di Raphaël Jacoulot (Francia, 2015)

 

Giovedì 26 novembre, settimo giorno

Balikbayan #1 - Memories od Overdevelopment redux III
di Kidlat Tahimik (Filippine, 2015, 146')

balyk_270x220Kidlat Tahimik è uno dei padri del cinema indipendente filippino, noto da noi per vie festivaliere. Balikbayan #1 è un lavoro elaborato e girato in oltre trent'anni.
Difficile raccontare in due righe la trama, diciamo che si ragiona sulla circumnavigazione della terra da parte di Magellano come punto di partenza, una specie di pretesto, per poi portare il discorso sul tempo che passa, sulla cultura, la lingua, e il cinema. Una sorta di calderone ribollente di idee e trovate. Divertente in  più di un frangente, potente nel suo rappresentare la vita Balikbayan è un film stratificato, anche strampalato per certi versi, ma così sincero e puro che restituisce allo spettatore la voglia di immergersi nelle immagini, nel fluire sconnesso delle storie.
A metà strada fra documentario e fiction, con la peculiarità che non si capisce più dove sta il confine fra le due cose, e francamente poco importa, il film nella sua lunghezza trova il suo senso. Nel suo procedere a singhiozzi, nel chiudersi (con l'incontro fra il fotografo e il regista/attore) per poi ripartire per mostrare un director's cut che riapre nuove porte.
Voto: 7


Comoara
di Corneliu Porumboiu (Romania, Francia, 2015, 89')

comoara979601lAdrian una sera bussa alla porta del vicino, che non conosce, Costi. Gli chiede dei soldi in prestito per affittare un metal detector per poter cercare un tesoro nascosto nel giardino della casa di suo bisnonno.
La ricerca coinvolgerà anche l'addetto al metal detector.
Commedia dai ritmi  dilatati, divertentissima se si ha pazienza, Comoara (tesoro in rumeno) ha il pregio di essere una bellissima metafora e una fiaba allo stesso tempo. Il regista, Corneliu Porumboiu, è uno dei registi di punta della cosiddetta new wave rumena (Mungiu, Puiu, Mitulescu etc). E come gli illutri colleghi racconta del proprio paese, del passato comunista, del futuro incerto e di un presente in bilico... a differenza degli altri però Porumboiu scrive commedie. E lo fa con una raffinatezza davvero deliziosa.
Film certamente un po' stralunato (quasi fosse di un Kaurismaki senza alcool) ma allo stesso tempo così preciso nei suoi intenti che non lo si può non amare.
Voto: 7,5


Mercoledì 25 novembre, sesto giorno

La France est Notre Patrie
di Rithy Panh (Francia, Cambogia, 2014, 75') 

rithy_pan_270x220Rithy Panh ha raccontato negli anni gli orrori intimi e collettivi della Cambogia in molti lavori, su tutti, i più celebri e bellissimi, S21 La Macchina di Morte dei Khmer Rossi e L'immagine mancante. Qui ci mostra invece un altro orrore, quello tranquillamente accettato da noi europei, il colonialismo francese (e tout court il colonialismo in generale).
Il film procede in maniera piuttosto didascalica, senza voce fuori campo, solamente con l'aiuto di scritte che vanno a spiegare alcune situazioni con un tono, a volte perentorio, altre ironico, altre ancora oggettivo.
Il regista qui rielabora filmati privati e amatoriali dei colonialisti, e li rimonta in maniera organica al racconto: dall'arrivo dei primi pionieri, fino alle guerre note a tutto il mondo.
L'Indocina diventa un simbolo anche, di ogni colonizzazione, passata, presente e futura. Una colonizzazione che usa sempre gli stessi, potentissimi, strumenti. Inarrestabile. Ma che poi lascia sempre un conto da pagare.
La France est Notre Patrie probabilmente colpisce proprio per la sua semplicità, per non voler raccontare particolari di alcune vicende. Un film che andrebbe fatto vedere nelle scuole probabilmente. Un film che sembra per lunghi tratti una trasposizione in immagini de I dannati della Terra di Frantz Fanon.
Voto: 7,5


Martedì 24 novembre, quinto giorno

Forbidden Room
di Guy Maddin e Evan Johnson (Canada, 2015, 119')

forbiddenroom270x220"Sogni... visioni... pazzia" queste le ultime parole del film. Riassunto perfetto delle due ore precedenti. Difficile sintetizzare la trama, da un lato perché non è presente una vera e propria trama, ma miriadi di episodi, dall'all'altra perché tutti questi episodi si compenetrano ed esplodono formando altri racconti. Di base c'è un viaggio onirico in profondità abissali, non per nulla il sogno, o racconto, iniziale è ambientato in un sottomarino, e man mano che ci si addentra nei meandri dei sogni si perde l'orientamento. Fino a metà film circa, momento in cui si ritorna indietro, come a ripercorrere a ritroso tutti gli episodi, per arrivare in un climax (direi che difficilmente si troverà al cinema un climax più esplicito di questo) totalizzante.
"Sogni... visioni... pazzia" si diceva. E il cinema di Guy Maddin spesse volte viaggia lungo quei confini, con la sua ricerca, quasi ossessiva, dell'immagine elaborata, riciclata nella tecnica come si dovessero rifare film muti postnucleari in eterno. E la materia filmica è da sempre, nei suoi lavori, in primo piano. Perfetta. Legata a doppio nodo con la video arte.
Qui però va oltre, perché la giustifica, come poche altre volte era stato (per cui alcuni che amano poco il regista canadese hanno un bersaglio facile per i loro strali). Semplicemente usando il sogno, la visione, la pazzia come pretesto. Tutto gli è concesso in questo lungo viaggio delirante, divertentissimo (sì si ride moltissimo, con vette di umorismo demenziale), che sbanda più volte perché sembra non finire mai. Ed è giusto così, per una volta la durata quasi estenuante assume un senso, come il tempo dilatato nei sogni, perché siamo accompagnati mano nella mano dentro una vera follia. Ma si badi, e questo rende Maddin ancora più da amare, è una follia mai perversa, mai oscura o diabolica... ma sempre creativa, pronta a portarci da una vicenda all'altra come fossimo dentro l'invenzione di un bambino.
Impossibile citare le trovate immaginifiche di regia, di scenografia, fotografia (che qui, più che mai sono mischiate in un unicum) ma nella visione ci si emoziona nel cercare di capire come certe cose siano realizzate (i fuochi nel camino per dire la più banale).
Andrebbero citati poi gli attori, e il loro lavoro semplicemente favoloso. Mathieu Amalric e Udo Kier su tutti.
Mai visto tanta gente andarsene dalla sala durante una proiezione. Ne deduco che nel film di Maddin se non ci si entra, è meglio proprio abbandonare la nave.
Voto: 9
(l'espressione "postnucleare" riferita al cinema di Maddin non è mia, ma di uno che ne sa più di me)


Just Jim
di Craig Roberts (UK, 2015, 84')

justjim270x220Jim è il tipico ragazzo sfigato, preso in giro a scuola, nessun amico, una ragazza che non lo considera. Fino a che non si trasferisce un mefistofelico vicino di casa, che lo aiuta a diventare figo. Ma forse è solo il momento di crescere.
Commedia abbastanza nera, inglese, girata e interpretata da Roberts, piccolo talentino britannico di soli 24 anni. Probabilmente sentiremo ancora parlare di lui, sicuramente non per questo film.
Alcuni spunti interessanti ci sono senza dubbio, nella messa in scena, nel voler evitare le evidenti discendenze dei vari coming of age che stanno uscendo in questi anni, e anzi imbastire un discorso abbastanza coraggioso (girare il tutto in un tono così scuro, da black comedy). Purtroppo man mano che si va avanti il tutto si squaglia abbastanza in fretta.
Insomma, la sensazione è quella di aver visto un'opera immatura, con potenziale, ma anche con il difetto di ostentare certi tecnicismi (piano sequenza della festa, bello, sicuro ma pure abbastanza gratuito).
Voto: 5,5


Moonwalkers
di Antoine Bardou-Jaquet (Francia, 2015, 96')

moonwalkers1270x2201969, la Cia preoccupata del probabile insuccesso dell'allunaggio, decide di assoldare Stanley Kubrick per girare un falso sbarco in caso di fallimento. Lo spietato agente Kidman (un Ron Perlman semplicemente perfetto) è incaricato di seguire i lavori. Fin da subito le cose non vanno per il verso giusto, e gli incastri portano a hippie strafatti e mala inglese.
Moonwalkers è un film semplice e banale, con un pregio non indifferente, fa ridere. Non si trovano trovate registiche o di sceneggiatura particolarmente sorprendenti, ma colpendo tendenzialmente verso il basso riesce a scatenare risate veramente di gusto.
Se si cercano le raffinatezze meglio lasciare perdere. Da vedere assolutamente se si vuol trascorrere un'ora e mezza nello spasso.
Voto: 6,5


Lunedì 23 novembre, quarto giorno

Coup de Chaud
di Raphaël Jaculot (Francia, 2015, 102')

coup270x220In un paesino della remota campagna remota francese si vive con ansia e affanno il fatto che non piove da molto tempo, le temperature estive sono altissime e i problemi di raccolto e bestiame sono all'ordine del giorno. Ma più di tutto a turbare la vita tranquilla è la presenza di Josef, ragazzone gitano un po' ritardato, che ogni giorno combina qualche guaio e dà fastidio alle persone.
E di norma si direbbe, e non tutto è come sembra. Invece qui è tutto abbastanza chiaro fin da subito, perché quello che manca al film francese, probabilmente, è un po' di originalità nello sviluppo del plot. A parte questo, "Coup de Chaud" rappresenta in maniera realistica il mondo rurale francese. Cosa che negli ultimi anni sembra andare per la maggiore, si pensi al capolavoro di Dumont "P'tit Quinquin" presentato sempre qui a Torino l'anno scorso. Jaculot sceglie una strada già battuta, ma non per questo da buttare, dimostra di saper dirigere benissimo gli attori, tutti bravi a rendere il pensiero semi-barbaro di chi non si preoccupa di aiutare chi ha evidente bisogno, per concentrarsi, qui in maniera quasi non metaforica, del proprio orticello. Non prendiamolo come thriller perché non reggerebbe un granché.
Voto: 6,5


Les Loups
di Sophie Deraspe (Canada, Francia, 2015, 107')

lesloups270x220Una giovane ragazza di Montreal, studente in letteratura, vegetariana, in un periodo di depressione va in un villaggio nella zona nord del Quebec a cercare qualcosa. Cosa lo si capisce forse troppo presto. Ma a parte questo, trova un mondo lontano, non solo geograficamente. I cacciatori di foche, preoccupati degli attivisti e animalisti, del clima, dei turisti stanno chiusi in un bar quando non sono in mare. Fra alcolisti e bambini già avvezzi all'uccisione degli animali per la sopravvivenza, la comunità si fa comunque in qualche modo inclusiva, nonostante i dubbi e le occhiate di nascosto fatichino a svanire. "Les Loups" è un film che più di tutto riesce a raccontare un paesaggio, e una comunità. Pregio, a dire il vero, non da poco. Con poche inquadrature, e episodi salienti come ad esempio il bambino costretto a bere alcool,  o la scena bellissima dell'uccisione della foca di fronte alla ragazza, brutale e spietata, ma pure naturale e giusta. Infatti alla regista sembra importare molto questo aspetto, dare voce a un mondo estraneo, lasciando alle nostre coscienze la parte di  megafoni appesi a un elicottero.
Peccato per la chiusura, troppo lunga e forse inutile dal punto di vista narrativo (la sorella trovata nel bar, esattamente a cosa serve?), per il resto un film lineare, senza troppi sbalzi.
Voto: 6,5


Nie Yinniang
di Hou Hsiao-Hsien (Taiwan, Cina, Hong Kong, 2015, 104')

assassins270x220Una ragazza, bellissima e letale, è addestrata per uccidere. Perfetta nell'uso della spada, ha però il cuore troppo gentile. Questo è quanto si capisce a una prima visione del film, francamente, per la mia mente limitata, troppo complesso da seguire in ogni passaggio. Fra dinastie e persone che si confondono e geografie che non si sanno collocare. Necessaria sicuramente una seconda visione, e la lettura di qualche guida introduttiva. E dire che il ritmo è lento e dilatato. Eppure sfuggono molte cose. Sì perché questo wuxia, in qualche modo rifonda il genere svuotando di senso dei combattimenti (un consiglio, anche per far capire alcune dinamiche di comunicazione, guardate dopo il film il trailer inglese... contiene tutte quante le scene d'azione) che diventano un momento, una punteggiatura quasi, se non addirittura uno sfondo, ripreso in campo lungo/lunghissimo fra i tronchi di un bosco. Dilatando quello che sta in mezzo, dialoghi, costumi, personaggi e soprattutto paesaggi. Mi viene in mente, in maniera del tutto arbitraria, e forse fuori luogo, il lavoro fatto da Jarmusch in "The Limits of Control", nel rappresentare il non rappresentato in un genere cinematografico. Tutto qui, però, ha una dimensione epica e Hsiao-Hsien dimostra di essere un regista fuoriclasse, in almeno un paio di occasioni in maniera smaccata (il dialogo lunghissimo fra marito e moglie, spiati dall'assassino dietro alle tende... l'uso delle trasparenze, delle luci, della profondità di campo, non sono cose che si vedono tutti i giorni) e tiene in piedi un'opera formalmente impeccabile. Non però un formalismo vuoto, come invece era quello che seguiva un'altra strada del wuxia, quello del Zhang Yimou di "Hero". Qui siamo in un'altra direzione, interessante, difficile da seguire, ma che può dare grande soddisfazione allo spettatore paziente.
In un film del genere non si possono non citare le scenografie, gli interni e gli esterni, assolutamente perfetti.
Voto: 7,5


Domenica 22 novembre, terzo giorno

Sopladora de Hojas
di Alejandro Iglesias (Messico, 2015, 96')

sophladora270x220Lucas, Emilio e Ruben sono tre amici per la pelle, che si ritrovano, prima di andare al funerale di un loro amico, in un parco della città. Lucas perde un mazzo di chiavi in un mucchio di foglie, e chiede aiuto ai due amici per ritrovalo... La giornata passa così, tra uno scherzo e una confessione. In attesa di diventare adulti.
Sopladora de Hojas (che sarebbe il soffiatore di foglie) è una sorta di coming of age stralunato e divertentissimo. Tanto più quando si libera nella forma e nei contenuti, meno quando (nella parte finale) si normalizza e mette in scena dei modelli narrativi già visti in molto cinema american-indie.
I tre attori protagonisti sono teneramente simpatici, e rendono alla perfezione lo spaesamento un po' instupidito di un'età di transizione.
Il film è scritto bene, con un ritmo serrato, e con molte trovate comiche ai limiti del demenziale (il poliziotto che chiede la tangente) che centrano sempre il bersaglio.
Voto: 7


Tangerine
di Sean Baker (Usa, 2015, 88')

tangerine270x220Sin-Dee ritorna in liberta dopo 28 giorni di galera, la sua amica Alexandra le racconta che il fidanzato, magnaccia e spacciatore, l'ha tradita con una prostituta... Sin-Dee non è il tipo che lascia correre una cosa del genere. Da lì, parte la rutilante avventura dei due transessuali tra le vie di Los Angeles, la vigilia di Natale.
Al terzo giorno di festival, finalmente, il film che ti apre il cuore e la mente!
Va fatta una premessa, di questo film avevo letto soprattutto che è stato girato integralmente con un Iphone5. Informazione che mi pareva alquanto inutile, perché non è che mi interessa più di tanto se si è utilizzata una RED 6K  o un Nokia3310, mi interessa quale che sia il risultato. E invece il fatto tecnico, qui, è importante. Forse, in maniera paradossale, fondamentale.Perché grazie al basso budget e alla libertà di girare in condizioni altrimenti più difficili, sicuramente Sean Baker ha potuto esprimere in pieno l'immenso talento che si porta dentro. Già perché non è tanto negli strumenti utilizzati che si trova il cinema, ma nelle idee e nei pensieri degli autori.
E Baker ci ricorda il fondamento basilare del cinema, l'accostamento di immagini, la creazione di narrazione da questo semplice evento.
Dunque perché il paradosso di cui sopra? Perché solo dichiarando la povertà dei mezzi se ne intende la ricchezza. E questa ricchezza è anche nella narrazione, retta da dialoghi sempre ficcanti e rapidi, quasi a forma di rap. Ma è tutto un casino immaginifico questo viaggio rintronante di Sin-Dee e Alexandra, che parte violentissimo con stacchi rapidi e movimenti di camera, anzi di Iphone, continui... e poi man mano che la storia si evolve tutto prende una forma.
Sean Baker sembra Cassavetes, nel suo gestire il materiale umano a disposizione, e riesce nella sua storia a non giudicare mai (si parla anche di prostituzione, di spaccio, di decadenza per certi versi), anzi a essere sempre in pari con gli uomini di cui sta raccontando una storia. E a rendere il tutto dannatamente divertente e anche commovente. Sean Baker dimostra di avere i numeri e di essere un regista appassionato. Perché solamente uno che ama il cinema può inventarsi una scena come quella del pompino nell'autolavaggio... pura visione estetica.
Finale semplicemente perfetto. Di quelli che si vedono solo ogni tanto.
Voto: 8,5


Lo Scambio
di Salvo Cuccia (Italia, 2015, 93')

Riprendendo e sviluppando per sommi capi una bellissima riflessione di Roberto Manassero, il compito di un critico cinematografico (quale in realtà io non sono), non è quello di dire questo film è bello, questo film è brutto, ma di cercare di capire, con gli strumenti del mestiere, il film nella sua complessità fatta di tecnica, estetica, cultura. E attraverso la parola scritta (o parlata se tiene delle conferenze) deve, sempre il critico, cercare di spiegare, di raccontare, di sviscerare il film... ma soprattutto deve trasmettere una passione, deve condividere una conoscenza, un amore.
Ecco vedendo questo film mi risulta davvero difficile capire, mi risulta impossibile trasmettere passione. Mi spiace moltissimo, sinceramente. Perché da zappofilo avevo seguito i due documentari precedenti di Salvo Cuccia, e mi aveva appassionato seguire le storie del mio idolo in Sicilia...
Ma qui nel vedere questo Lo Scambio (la trama avrebbe pure dei punti di notevole interesse, essendo liberamente ispirata alle vicende mafiose legate all'omicidio di Giuseppe di Matteo) francamente non è scaturito nulla. Solamente il pensiero di come un film così sbagliato possa trovarsi in concorso, i selezionatori cosa possono aver visto? E mi piacerebbe avere una risposta, davvero.
Ecco, non si dovrebbe fare ma non posso che dire che questo è semplicemente un film brutto.
Voto: brutto


Sabato 21 novembre, secondo giorno

Idealisten / The Idealist
di Christina Rosendahl (Danimarca, 2015, 114')

idealisten270x220Nel 1968, in piena Guerra Fredda, un B52 americano con quattro testate nucleari precipita in Groenlandia, vicino alla base militare di Thule.  Tre bombe atomiche vengono ritrovate, la quarta sparisce nei fondali marini. Anni dopo, i soccorritori si ammalano a causa delle radiazioni del plutonio... un giornalista di una radio danese inizia un'indagine che lo porterà a scoprire accordi segreti fra il governo del suo paese con quello americano. Tratto da una storia vera.
Idealisten è un film solido, come si suol dire. Scrittura molto lineare ma comunque ben oliata, lo spettatore viene accompagnato passo passo nella scoperta di un intrigo internazionale di notevole importanza (soprattutto se si è danesi, per un italiano la storia assumerebbe tutto un altro valore, e pure per uno spagnolo, come dice la moglie del protagonista)...
La regista, al suo secondo lungometraggio, imbastisce un thriller di indagine senza cercare grandi innovazioni stilistiche ma mescolando sapientemente immagini di repertorio per dare forza alle sue ricostruzioni. La Rosendahl sbaglia una sola scena, stonata, ma che dura pochi secondi (la mano di lui che passa sulla pancia della moglie incinta)... per il resto utilizza uno stile  che si rifà ai film degli anni '70 senza sembrare per forza derivativo.
Va detto, la scena dell'incidente aereo è praticamente perfetta.
Voto: 7          


La Patota / Paulina
di Santiago Mitre (Argentina, Brasile, Francia, 2015, 103')

patota270x220Paulina è una giovane avvocatessa, figlia di un giudice importante, con una carriera avviata. Lascia tutto per seguire un progetto umanitario fuori dalla città.
Purtroppo non tutto va come sperato, a parte le difficoltà iniziali, Paulina deve affrontare la violenza più ignobile. Alla quale reagirà a modo suo, contro tutto e tutti.
La Patota è un remake del film omonimo, classico del cinema argentino, del 1960.
Il film è girato con un taglio fortemente realistico, con una scenografia funzionale al racconto (lo scheletro del palazzo, che si staglia fra gli alberi è un perfetto teatro degli orrori). Attori bravi. Il regista ha una mano interessante e lo si capisce nell'incipit del film: una geniale orchestrazione di dialoghi, movimenti di macchina e montaggio, da vero manuale del cinema.
Per il resto risulta difficile analizzare il contenuto, la storia raccontata, in poche righe. Perché parlare di un certo tipo di violenza, delle reazioni della vittima, e del ruolo dei carnefici richiede tempo e lucidità. Ma nel film la violenza è la protagonista. Paulina è vittima, non solo di gruppo di ragazzi violenti, ma anche di un padre che, di certo, le vuole bene, ma che non riesce a non far valere il suo ruolo sociale anche quando la figlia gli chiede espressamente di non intervenire. Paulina è vittima delle sue convinzioni radicali, che la portano a prendere decisioni estreme per il suo futuro. Paulina è quasi una figura cristologica nel suo reagire a tante sopraffazioni.
Nell'insieme un film disturbante senza essere mai autocompiaciuto.
Voto: 7


The Lady in the Van
di Nicholas Hytner (UK, 2015, 104')

lady270x220.Alan Bennett, il britannico commediografo, offre temporaneo ospizio a una vagabonda, Mary Shepherd, nel cortile di casa. Lei lì parcheggia il suo furgone e ci rimane a vivere per quindici anni, instaurando con lo scrittore un rapporto stralunato. Intanto Bennett ha a che fare con la madre malata di demenza senile e si adopera per sistemarla in una casa di riposo.
Tratto dall'incredibile storia vera, raccontata nell'omonima autobiografia di Bennett, il film è diretto da Nicholas Hytner che dello stesso autore aveva già portato sullo schermo La Pazzia di re Giorgio e The History Boys...
Lady in the Van è la quintessenza della commedia british: deliziosa, divertente con un ritmo perfetto. Va ancora aggiunto che nella parte di Mary Shepherd c'è una Maggie Smith semplicemente perfetta.
L'idea del doppio Bennett, interpretati da Alex Jennings, quello che scrive e quello che vive è quel colpo di genio che innalza il tono.
Per il resto c'è un'aura fiabesca che aleggia sul film che, sebbene si parli spesso di merda e odori miasmatici, il tono si conserva lieve, leggero, pungente. Come solo gli inglesi sanno fare.
Voto: 7


Venerdì 20 novembre, primo giorno

God Bless the Child
di Robert Machoian e Rodrigo Ojeda-Beck (USA, 2015, 92')

godsave270x220_01Inizia così il Torino Film Festival, con uno di quei film che, almeno un po' di tempo fa, si sarebbe definito da festival.
Quindi tutto bene così.
In una cittadina della California, cinque fratelli (fra gli uno e i tredici anni) passano una giornata da soli, forse abbandonati per sempre dalla madre. Una giornata di caos e fantasia, ma forse più di caos. Anzi una giornata e basta. Il film infatti racconta con piglio documentaristico gli spostamenti e le scorribande dei cinque, senza che succeda granché: si guarda un po' di televisione (la scena del ballo è semplicemente esilarante), si lava il cane, si gioca a nascondino, si beve un frullato...
Ormai questa mescolanza di fiction e documentario è un dato di fatto, tanto da un lato come dall'altro si cerca la compenetrazione, qui per esempio siamo di fronte a un film scritto ma gestito nei tempi del documentario, con un impianto naturalistico davvero credibile. Merito di certo dei bambini (figli di uno dei registi), che riempiono ogni inquadratura di energia e "recitano" la parte in maniera meravigliosa.
Certo ai registi si potrebbe chiedere di più: di scrivere una storia fatta di pieni, che di vuoti ne abbiamo già visti tanti, di staccarsi da un'estetica lievemente abusata (mi domando, non ci sono modi alternativi di mostrare una camminata? Dobbiamo sempre stare con lo sguardo sulla schiena e andare avanti con camera a mano?) ma a quel punto forse non si avrebbe più il film da festival.
Quindi tutto bene così.
Voto: 6,5


Mia Madre fa l'attrice
di Mario Balsamo (Italia, 2015, 78')

miamadre270x220Dopo aver vinto il premio della giuria al TFF30 con "Noi non siamo come James Bond", Mario Balsamo torna in concorso con un documentario di difficile collocazione. L'idea qui è semplice, stereotipica (un autore che vuol raccontare un genitore) e personale allo stesso tempo. Il regista riallaccia i rapporti con la madre ottantaduenne, Silvana Stefanini, un tempo attrice.  Il filo conduttore che lega il tutto è un vecchio film da lei interpretato, "La Barriera della legge" di Piero Costa, che Balsamo e sua madre in maniera molto divertente ri-interpretano.
Emerge un ritratto affettuoso, ma distaccato, di una figura materna ingombrante e prepotentemente fragile. Si ride, in più di una scena. Ma la sensazione è che il regista abbia scelto un registro davvero poco a fuoco. Nel suo mischiare tecniche e stili, sembra quasi voler nascondere l'obiettivo del suo film, allontanare la figura della madre. Perché usare riferimenti bassi da sitcom o fiction televisiva italiana (per esempio nella scena iniziale quando si ritrovano ognuno a casa propria e Balsamo mangia davanti alla tv)? Perché eccedere in quella sensazione di straniamento dovuto al frenare le emozioni in favore di una comicità non propriamente da fuoriclasse?
Dubbi che sovvengono dai primissimi minuti e che non se ne vanno dopo che le luci in sala si accendono. Ci sarebbe stato spazio per l'incanto, per una riflessione sul tempo che passa, sul cinema che restituisce quel tempo lì, passato. E invece tutto rimane lievemente sfocato.
Voto: 6





Torino 33 - Le nostre pillole dal Festival