Emanuele Di Nicola, col suo prezioso volume "La carne e l'anima. Il cinema di Abdellatif Kechiche", colma un importante vuoto, analizzando esaustivamente la figura del regista Palma d'Oro per "La vita di Adele". Un viaggio all'interno di un cinema che non ha eguali nel panorama contemporaneo
Non erano bastati, ad Abdellatif Kechiche, una Palma d'Oro, due César e altri svariati premi per poter diventare oggetto di studio critico sistematico. Forse perché il suo cinema mette in difficoltà l’approccio tradizionale, in quanto "non intellettuale bensì sensistico, una pratica che punta all’abbandono dei sensi per gettarsi nelle braccia dell’immagine". Del resto, anche chi scrive ha ancora ben impresso sulla pelle le sensazioni scaturite dalla visione de "La vita di Adele", il modo in cui "riesce a legare insieme la carne e l'anima, ovvero l'affabulazione del racconto al primo grado e la struttura teorica che lo sorregge, il piacere della storia e il pensiero del regista".
A colmare questo vuoto editoriale [1], ci ha pensato l'anno scorso Emanuele Di Nicola, con il volume "La carne e l'anima. Il cinema di Abdellatif Kechiche", edito da Mimesis, in cui delinea esaustivamente la poetica del regista, a partire dalla definizioni sopra riportate, che ne rilevano alcune delle principali coordinate. Nella sua analisi, l'autore affianca riferimenti a studi precedenti a personali intuizioni e percorsi: ecco dunque che riprende l’importante trattazione dei primi film del regista realizzata da William Higbee in "Post-Beur Cinema: North African Émigré and Maghrebi-French Filmmaking in France Since 2000" per poi soffermandosi sulla poco nota corriera del Kechiche attore. Delinea il suo percorso all'interno del panorama del cinema d'autore europeo contemporaneo, proponendo arditi e peculiari confronti, come quello tra il metodo del grande documentarista Frederick Wiseman e quello di Amin (protagonista di "Mektoub, My Love. Canto Uno") quando fotografa la nascita dell’agnellino.
Il suo volume è dunque una lettura proficua sia per chi già conosce e apprezza Kechiche, in quanto potrà scoprire nuovi percorsi all'interno della sua filmografia, sia per il neofita, che avrà l’occasione di scoprire un autore da cui rimarrà sicuramente affascinato. Ce lo presenta l'autore stesso, che abbiamo avuto il piacere di intervistare.
Nei ringraziamenti finali del volume, scrive che "quella con Abdellatif Kechiche è una storia d’amore". Ci vuole raccontare com’è nata?
Il mio rapporto con Kechiche nasce quasi per caso, con la visione di un film in sala: entrare in questo spazio è del resto l'azione principale del cinema, il momento in cui iniziano i grandi innamoramenti. Era il febbraio 2005, quando in Italia arriva "La schivata". Mi sono subito reso conto di aver di fronte una novità, qualcosa di mal visto nell’alveo del cinema d’autore europeo. Il film infatti è ambientato nella banlieue francese, dove i figli dei migranti magrebini erano sempre ritratti come piccoli criminali; Kechiche invece dà loro una dignità, li mescola coi i francesi e li mette sullo stesso piano. Inoltre, compie un lavoro linguistico straordinario: riempie i loro dialoghi di parolacce, che però non sono solo fini a se stesse: ad esempio i giovani arabi dicono: "Te lo giuro sul Corano". Il dialetto da loro usato riflette le differenze linguistiche, ma anche quelle culturali: "La schivata" è anche un film su una guerra sociale.
Del resto, quello che più lascia incantati dal suo cinema è l’approccio che sembra senza eguali…
Questo è dovuto a una serie di ragioni, anche geografiche. Kechiche nasce a Tunisi e poi emigra a Nizza all’età di 6 anni, ma non ha poi seguito il classico percorso del regista magrebino in terra francese, che realizza film all’interno della propria cultura d’origine. Kechiche ha sempre sottolineato: "Io sono un regista francese", completamente naturalizzato: è dunque un regista tunisino-francese divenuto completamente francese. Nei suoi film porge dunque un occhio al cinema francese (ad esempio a François Truffaut, considerando Amin, il protagonista dei film "Mektoub: My Love" il suo Antoine Doinel) e uno al cinema arabo, in particolare al tema della diaspora magrebina, alle vicissitudini di chi da quegli stati emigrava in Francia a cercare fortuna, incontrando tutta una serie di difficoltà [come nel suo primo film "Tutta colpa di Voltaire", storia di un giovane tunisino che cerca di passare per algerino per avere asilo politico a Parigi]. Ne emerge dunque uno sguardo meticcio.
Uno degli aspetti più caratteristici della sua poetica è inoltre l’attenzione al ballo, che nei suoi film assume sempre un valore importante per i personaggi…
Il suo rapporto col ballo è costante, come cordone ombelicale con la sua terra d’origine. Nella cultura occidentale, questo è spesso legato alla "socialità da discoteca"; in quella araba invece ha una valenza particolare: un contenitore della loro cultura, un modo per esternarla e evocarla. In "Tutta colpa di Voltaire" il protagonista si reca in bar dove parte un ballo arabo, un modo per mantenere le proprie radici in terra francese. Ma il ballo può avere anche connotati politici: in "Cous Cous", una giovane di origine araba danza per intrattenere i ricchi: la sua azione pone dunque il problema del rapporto tra i migranti e la popolazione auctoctona, quasi in termini di lotta di classe. In "Mektoub, My Love" si manifesta invece il suo sguardo meticcio: i giovani arabi ballano disco music francese.
Se Kechiche è al momento fermo, il suo cinema "vive" nei film di diversi registi che si ispirano a lui. Penso per esempio a due titoli usciti lo scorso anno: "A chiara" di Jonas Carpignano e "La scelta di Anne" di Audrey Diwan…
Kechiche ha riscritto le coordinate del naturalismo: nei suoi film riesce a protrarre le inquadrature per un tempo sufficiente tale da farle sembrare un evento mentre realmente accade e non la sua riproduzione. Pur con soli 7 film all’attivo, ha fatto scuola, in modo diretto o indiritto. Molti registi "neonaturalisti" si inspirano a lui, cercando di imitarne lo stile: cito ad esempio Hafsia Herzi, attrice in "Cous Cous" e "Mektoub, My love: Canto Uno" che poi ha esordito alla regia con "Ti merita un amore" (2019), dove è evidente come lei si sia formata sui set del regista. Se però questo tentativo è meritevole, in quanto utile a riconoscere l’importanza di Kechiche, nessuno di loro riesce a raggiungere il livello così alto di quest’ultimo.
Il suo volume si chiede con un breve accenno a "Mektoub, My Love: Intermezzo", film, che dopo la presentazione al festival di Cannes, è completamente sparito dai radar. A tal proposito, ha notizie di un’eventuale distribuzione?
Attualmente non si trova. Kechiche ha rifiutato di operare un rimontaggio dell'opera, che quindi è rimasta bloccata: vorrebbe infatti proiettare la versione integrale [di 212 minuti], che però le sale non prendono. Nel frattempo, la sua casa di produzione [Quat'sous Films] è fallita, e quindi egli stesso si trova in una posizione di stallo. La speranza è che "Intermezzo" possa essere acquistato da una piattaforma streaming.
Scheda:
Titolo:La carne e l'anima. Il cinema di Abdellatif Kechiche
Autore: Emanuele di Nicola
Editore: Mimesis
Anno edizione: 2021
Pagine: 132
Tipo: Brossura
[1] precedemente al volume di Di Nicola, come monografia abbiamo riscontrato solo il volume "Le cinéma d'Abdellatif Kechiche: Prémisses et devenir" di di Emna Mrabet, edito nel 2016 ma da tempo fuori commercio.