Io sono le immagini di Godard, di Mizoguchi, di Kurosawa, di Ford, di Bergman, di Fellini. Io non sono che immagini cinematografiche.
George Lucas
1971
La data è quella dell’11 marzo 1971 e la Warner distribuisce nelle sale "L’uomo che fuggì nel futuro", primo lungometraggio di George Lucas ispirato al suo precedente cortometraggio del 1967 (prodotto quale tesi di laurea), "Electronic Labyrinth: THX 1138 4EB". È un’opera visionaria e autoriale che non trova un immediato successo di pubblico, pur godendo di un passaggio importante al Festival di Cannes di quell’anno che permette a Lucas di farsi conoscere meglio nel Vecchio Continente. Durante questo periodo cruciale, il giovane regista ha diversi progetti in mente: da una parte l’idea di un’opera di fantascienza in stile fumetto ispirata a Edgar Rice Burroghs, a "Flash Gordon" e a "Dune", dall’altra parte però non vuole essere legato troppo a quel genere e, per questo motivo, porta avanti altri due lavori, "Radioland Murders" e "American Graffiti".
È quest’ultimo soggetto che inizia a muovere i primi passi. Si tratta di un viaggio nel tempo, per la precisione negli anni dell’adolescenza di Lucas. Il modello è dichiaratamente "I Vitelloni" di Federico Fellini: anche qui una piccola città di provincia e un gruppo di ragazzi pieni di sogni ma incapaci di realizzare qualcosa di concreto, solo uno di loro riesce a staccarsi e a trovare il coraggio di partire. Da Rimini con un treno, da Modesto con un aereo: nel primo caso è un carrello laterale che saluta gli amici ancora nei letti, nel secondo è una ripresa aerea che inquadra la T-Bird bianca, guidata dalla bionda miraggio di tutta la storia.
Nel 1971 la storia di "American Graffiti" è però solo un soggetto con in bozza i protagonisti e l’idea di fondo, il racconto del passaggio alla vita adulta al raggiungimento del proprio posto nel mondo. Tutto raccontato nell’ultima notte prima della partenza per il college. Inizialmente Lucas non vuole scrivere la sceneggiatura e l’affida a Richard Walter che aveva frequentato ai tempi dell’USC. Il risultato però non soddisfa il regista perché a detta sua "non rispecchiava affatto la mia esperienza". Il lavoro risulta piuttosto volgare, a detta di Lucas, e con un paio di scene di sesso che non rientrano nell’idea originaria della storia (il personaggio principale era quello di Ron Howard e in una scena lui va a casa della ragazza per rompere con lei, ma lei lo seduce e ne viene fuori una scena hot). A questo punto è tutto da riscrivere e Lucas decide di scrivere lui la sceneggiatura, poi supportato da Gloria Katz e Willard Huyck.
1962
La pellicola effettua un balzo temporale indietro di nove anni. La locandina recita: dov’eri nel 1962? E chiama in causa lo spettatore, quasi a coinvolgerlo in questa rievocazione che diventa un’operazione di memoria, e non di nostalgia, in cui si rievoca un mondo in una notte. Nella pellicola d’esordio la tonalità cromatica prevalente era quella bianca: il bianco del fondo, della scenografia e delle vesti dei personaggi. Un bianco che significava l’assenza di sentimenti e pulsioni. In "American Graffiti" è il contrario. Il regista di Modesto dichiara apertamente che vuole i colori del jukebox a significare la vitalità delle storie che racconta. Le luci delle insegne, delle automobili e del drive-in nell’apertura risaltano ancora di più nell’ambientazione notturna. E la notte diventa la cornice perfetta dove raccontare la storia di quattro amici perché conferisce quell’atmosfera onirica alle loro avventure e disavventure. Tutti e quattro sembrano vivere in una bolla che li tiene insieme e, nello stesso tempo, lontani dal mondo fuori che li aspetta. Un ultimo momento uniti prima che sorga l’alba e il sogno finisca, consegnandoli tutti alla propria vita e ai propri bilanci personali.
Nel pieno rispetto dell’unità aristotelica di spazio e tempo, Lucas racconta tutto in una notte e in una città di provincia non ben identificata che però ha tanto in comune con la natale Modesto. È il passaggio dall’età dell’innocenza all’irruzione della Storia con i drammi così come si fa menzione nelle didascalie finali. Steve (Ron Howard) e Curt (Richard Dreyfuss) partiranno la mattina successiva per un college dell’est: Steve è sicuro della scelta, Curt invece inizia a nutrire tardivi dubbi e manifesta la volontà di rimanere. La pellicola si apre coi quattro amici al Mel’s Drive-in che diventa il punto di partenza da cui si divideranno e prenderanno forma le storie. Steve parte in macchina con Laurie, sorella di Curt. Lei non vuole che parta e lui cerca di farle capire che potranno vivere una loro vita anche durante la separazione. John è il più grande dei quattro, è meccanico e guida una macchina sportiva capace di vincere ogni gara di corsa. Nonostante ciò quella notte John cerca di stare lontano da un forestiero (Harrison Ford) il quale lo sta cercando per sfidarlo in una corsa clandestina. In questo tentativo di allontanamento dalla gara, incontra Carol, una ragazzina che sa il fatto suo e gli farà compagnia, ma John con un sotterfugio riesce a riaccompagnarla a casa. In ultimo c’è Terry che riceve da Steve la macchina da tenere fino a Natale. Nel suo girovagare notturno incontra una fanciulla, Debbie: cercherà di far colpo su di lei, ma passeranno una notte di corse e imprevisti comici e surreali. Le storie si sfiorano e si incrociano durante tutta la notte con un montaggio molto equilibrato così da lasciar spazio a tutte le vicende. Il racconto è classico e geometrico: ogni storia è composta da una coppia (Steve e Laurie, Terry e Debbie, John e Carol, e Curt in fondo è collegato a Steve dall’amicizia e dalla sorella) e scorre in forma circolare partendo e ritornando sul finale allo stesso punto.
Il gruppo di ragazzi all’apparenza sembra un clan solidale e integrato, ma basta seguire i primi minuti delle rispettive storie per rendersi conto che la realtà sociale che rappresentano è tutt’altro che omogenea : si intravedono due classi sociali, da una parte i benestanti Steve, Curt, Laurie e Carol e dall’altra i reietti Terry, John e Debbie. Quest’ultimi sono la versione priva di mito dei ribelli senza causa degli anni 50. John è il chiaro esempio del ribelle all’apparenza ma in fondo conformista e integrato nel sistema; non a caso nel duello finale ne esce indenne per caso senza alcun eroismo e senza la tragedia che accompagnava i drammi di "Gioventù bruciata" di Nicholas Ray, giusto per citare l’esempio più vicino. Come per "Il selvaggio" di Laszlo Benedek o "Il seme della violenza" di Richard Brooks, un’altra differenza è l’assenza della figura dei genitori che compaiono solo in ultimo alla partenza di Curt. Manca così il contraltare degli adulti, non ci sono maestri, né fonti di ispirazione o regolamenti: le ragazze e i ragazzi sono soli e padroni del proprio destino. "American Graffii" è una falsa commedia conciliante: la provincia americana è un campo di rovine dove l’unica salvezza sembra essere la fuga su un aereo verso la "civiltà" di un college esclusivo; dall’alto del volo la cittadina che abbiamo seguito ad altezza automobile, prima scintillante e giocosa, appare invece vuota e cimiteriale. Solcata dal fantasma della bionda che Curt ha inseguito durante la notte che rappresenta per lui l’ossessione, l’ispirazione o semplicemente il sogno del successo.
È pur vero che la pellicola racconta la storia di questi quattro uomini, ma sono le donne il vero motore dell’azione e sono proprio le donne a guidarli e a dominarli. Steve è all’apparenza il leader dalle idee ferme e irremovibili, ma è Laurie a fargli cambiare idea. Debbie invece coinvolge Terry all’azione e lo allontana dall’inerzia, lo precipita in azioni che non avrebbe mai compiuto da solo. E Curt è ossessionato dall’Angelo Biondo per tutta la notte e vaga per la città in una ricerca sempre più assurda. E la piccola Carol in fondo rende più vero e autentico John. In una società all’apparenza dominata dal machismo, Lucas racconta con geniale controtendenza l’intraprendenza femminile: tema che si può ritrovare più avanti nella forza e determinazione della principessa Leila.
Questa pellicola è una meravigliosa archeologia di segni, oggetti, ambienti e canzoni. Ci sono gli ultimi dieci anni della musica pop e del rock: The Platters, Beach Boys, Buddy Holly, Buster Brown, Bill Haley and the Cornets, The Diamonts. Si ripercorrono tutti i luoghi dell’immaginario collettivo degli anni 60: il drive-in, le cameriere sui pattini, il ballo della scuola, la ricerca delle ragazze, la musica e le auto. Più che un elemento identitario dell’epoca, le automobili diventano, nella storia, un luogo dove convivere e fare esperienze e una parte imprescindibile dei personaggi, una sorta di protesi del proprio corpo. Senza di essa si viene esclusi. Si veda Terry che in principio viaggia con un motorino: senza la macchina prestata dall’amico non avrebbe potuto agire nella storia.
Anche Curt non ha la macchina, ma viene ospitato prima da un gruppo di ragazze poi dai famigerati Faraoni. In fondo lui è il futuro regista, il futuro cantore di storie e come l’artista lui viaggia insieme ai suoi personaggi e alle sue creazioni. Entra ed esce da una storia, romantica o avventurosa, come sa fare il regista. Non a caso è l’unico a infrangere la quarta parete e a entrare nello studio del misterioso Wolfman Jack-Lupo Solitario, la cui voce l’abbiamo ascoltata dalle radio delle auto o dei locali: è il collante di tutti i personaggi che raccoglie commenti e tiene compagnia. Curt varca la soglia della radio e si trova al cospetto di Wolfman Jack, appunto, il veggente, il chiromante, il vero regista della finzione audio visiva di "American Graffiti". Lui è Lucas e Lucas è Lupo Solitario: la voce guida, il supremo coordinatore. Il film ha vita grazie alla sua stazione radio, al suo laboratorio di montaggio e di mistificazione. Un misterioso demiurgo la cui identità viene scoperta da Curt mentre sta uscendo, per caso. La magia sembra svanire, la maschera è caduta e anche l’identità dell’eccezionale Angelo Biondo verrà svelata all’alba, come un incantesimo sciolto alle prime luci del giorno. Il sogno si è concluso e i personaggi riprendono le proprie vite con le rispettive responsabilità: Curt/Lucas dall’alto dell’aereo contempla la strada che lo porterà, presto, verso le stelle.
cast:
Richard Dreyfuss, Ron Howard, Paul Le Mat, Cindy Williams, Harrison Ford
regia:
George Lucas
titolo originale:
American Graffiti
distribuzione:
Universal Studio
durata:
110'
produzione:
Lucas Film
sceneggiatura:
George Lucas, Gloria Katz, Willard Huyck
fotografia:
Jan D'Alquen, Ron Eveslage
scenografie:
Dennis Clark
montaggio:
Verna Fields, Marcia Lucas
costumi:
Aggie Guerard Rodgers