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recensione di Domenico Ippolito
6.5/10

Silverio Gama (Daniel Giménez Cacho), celebre documentarista, sarà il primo messicano a ricevere un ambito premio a Los Angeles, seppur il riconoscimento appaia ai più un tentativo di addolcire le sue posizioni politiche, sia riguardo il tema dell’immigrazione tra il suo Paese e gli USA sia in vista del prossimo acquisto della Bassa California da parte di… Amazon. Silverio vive da molti anni negli Stati Uniti con la moglie Lucia (Griselda Siciliani) e i figli, e lui stesso si sente scisso tra i due Paesi: il suo ultimo lavoro, intitolato proprio "Una falsa cronaca di alcune verità", dovrebbe segnare il suo apice artistico, ma è anche una dichiarazione programmatica di incertezze, una rapsodia di fallimenti.

Una delle chiavi per analizzare "Bardo", ultimo lavoro di Alejandro G. Iñárritu, è concentrarsi sulle dicotomie, cominciando dalla carriera del regista di Città del Messico. Da una parte, i primi tre film, segnati dalla collaborazione con lo scrittore Guillermo Arriaga e curvati da un uso marcato e straniante del flashforward; i successivi, scritti insieme agli sceneggiatori argentini Armando Bo e Nicolas Giacobone, "Revenant" a parte, che seguivano invece una struttura narrativa più classica, pur inserita all’interno di una riconoscibilissima cifra registica (su tutti, il piano sequenza-fiume di "Birdman"). Certamente esiste una contrapposizione anche tra le pellicole made in USA, come "21 Grammi", "Babel", il già citato kolossal interpretato da Leonardo DiCaprio e i film di stampo iberico-messicano, a cui si ascrivono "Amores Perros", "Biutiful" e quindi anche "Bardo".

Girato interamente in Messico come l’esordio, “Bardo” presenta delle premesse labili in fase di plot, le quali deflagrano immediatamente, mostrando il carattere onirico e visionario, in pratica, di ogni scena. È la prima volta che Iñárritu si misura con l’autobiografia: Silverio Gama è un chiarissimo alter ego del regista e ne palesa la stessa inquietudine lavorativa, esistenziale e anche sociale, come il sentirsi parte di quell’immigrazione messicana verso gli Stati Uniti, che però è vissuta con un senso di colpa per la sua posizione, assolutamente privilegiata.

Secondo la filosofia buddista, il bardo è uno stato intermedio tra morte e la rinascita: nel caso di Silverio, il cammino verso una infinita e impossibile resa dei conti, foriera di dicotomie, come dicevamo. Nel "Bardo" di Iñárritu se ne trovano tante: realtà versus finzione, documentario e autofiction, essere figlio e allo stesso tempo genitore, Messico e Stati Uniti. Tesi e antitesi che dovrebbero trovare in Silverio una sintesi, giustificando così la fortissima soggettività di tutte le esperienze che il protagonista si trova ad affrontare. Un groviglio che alterna confronto e riconciliazione con il padre, la difficile elaborazione della perdita del figlio Mateo, spirato appena 30 ore dopo la nascita, nonché un’impavida sfida, sempre vissuta in prima persona, con la Storia messicana (la straniante ricostruzione della battaglia di Chapultepec, episodio chiave della Guerra messico-statunitense degli anni Quaranta dell’Ottocento, nonché il faccia a faccia addirittura con il conquistador Hernán Cortés).

Togliamoci subito il peso: a una lettura superficiale, Iñárritu non appare del tutto a suo agio con un simile materiale, anzi, sembra che ce la metta tutta per non trovare la quadra. Ma è proprio questa continua e rovinosa esposizione, l’apparente mancanza di freni, la sottrazione di appigli da offrire allo spettatore che svela, col tempo, il pregio di questa operazione, diremmo, la sua incontestabile presunzione di autenticità. La costruzione filmica del "Bardo" degenera nella continua ricerca del parossismo, incastonata com’è dentro una figura stilistica consustanziale: il piano sequenza, utilizzato nella sua dilatazione estrema tra tempo e spazio e che, oltre a conferma dell’abilità del regista messicano e della rifinita fotografia di un maestro come Darius Khondji, rende il "Bardo" un flusso espanso di coscienza, a beneficio di una visione ipnotica e affascinante.

Le altre dimensioni dentro le quali Iñárritu colloca il "Bardo" sono quelle del conflitto e del grottesco. Ogni relazione, dialogo, persino ogni sguardo che Silverio intrattiene – sull’ambiente circostante, con altre persone, verso l’abisso del suo io che gli si spalanca davanti – è un confronto serrato e insolubile, un coacervo di pulsioni contraddittorie che diventano la costante della sua esperienza in questo non-luogo: l’incontro con l’ambasciatore americano in Messico, le rincorse con la moglie, adorabile e sfuggente all’interno della stessa stanza, gli scontri col figlio minore Lorenzo che alterna l’inglese e lo spagnolo, il suo (letterale) rimpicciolirsi davanti alla figura del padre. Il grottesco è invece utilizzato dal regista per controbilanciare queste tensioni, trovare una catarsi, secondo lo schema di un "coraggio che vuole ridere", per dirla con Nietzsche, mediante un tono canzonatorio e beffardo già sperimentato in "Birdman".

Puntuali sono arrivate le critiche, le quali mostrano una certa difficoltà nel voler accettare il regista messicano non più solo come un artigiano, seppur di lusso, ma come autore a tutto tondo. Restando su "Birdman", proprio come la critica teatrale prometteva di stroncare l’adattamento da Carver di Riggan Thomson, Iñárritu aveva previsto tutte le obiezioni, stavolta senza il filtro della mise en abyme. Ecco così che, a riprova della stordente mancanza di filtri di "Bardo", ascolteremo Luis, un vecchio collaboratore di Silverio ora dedito alla peggior televisione, esprimersi più o meno così sull’ultima opera dell’amico: "È pretenzioso, inutilmente onirico. Lo è per mascherare la scrittura mediocre. Un’accozzaglia di scene senza senso... Dovrebbe essere una metafora, ma manca l'ispirazione poetica. Sembra rubato a qualcun altro. Un plagio... È banale, arbitrario... Hai messo pure te stesso nel film! Hai usato personaggi storici per parlare di te. Chi cazzo ti credi di essere, cabrón?"


13/01/2023

Cast e credits

cast:
Daniel Giménez Cacho, Griselda Siciliani, Ximena Lamadrid


regia:
Alejandro González Iñárritu


titolo originale:
Bardo, falsa crónica de unas cuantas verdades


distribuzione:
Lucky Red


durata:
174'


produzione:
Stacy Perskie Kaniss, Alejandro G. Iñárritu


sceneggiatura:
Nicolás Giacobone, Alejandro G. Iñárritu


fotografia:
Darius Khondji


scenografie:
Eugenio Caballero


montaggio:
Alejandro G. Iñárritu, Monica Salazar


costumi:
Anna Terrazas


musiche:
Bryce Dessner, Alejandro G. Iñárritu


Trama
Silverio Gama è un giornalista messicano che è riuscito ad affermarsi negli Stati Uniti grazie ai suoi documentari. Il ritiro di un premio a Los Angeles sarà l'occasione per un viaggio sospeso tra realtà e finzione nonché per fare i conti con la propria esistenza, sospesa tra mille contraddizioni.