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recensione di Matteo Luppi
7.5/10

L’opera seconda di Shaka King si apre con il volto di uomo che gronda di sudore. Una voce fuori campo invita qualcuno ad asciugargli la fronte in modo tale da poter iniziare le riprese di un’intervista. L’uomo sudato lascia trasparire dal viso una profonda inquietudine, roteando nervosamente gli occhi, tentando quasi di evitare lo sguardo altrui o, chissà, la sua stessa immagine riflessa nella telecamera. Senza bisogno di ulteriori presentazioni, lo spettatore ha in pochi istanti intuito di trovarsi di fronte a Giuda.
"Judas and the Black Messiah" è stato da più parti accostato a "BlacKkKlansman", del quale, in primo luogo a livello di trama, costituisce una sorta di versione uguale e opposta: laddove nel film di Spike Lee un bianco si infiltrava per conto di un poliziotto afroamericano nell’organizzazione simbolo del suprematismo bianco, nel film di King un afroamericano si infiltra per conto di un agente FBI bianco nell’organizzazione simbolo del movimento di liberazione degli afroamericani. Curiosamente lo stesso agente dell’FBI, interpretato dal sempre efficace Jesse Plemons, attraverso un distorto esercizio sofistico, afferma che Ku Klux Klan e Pantere Nere "sono uguali, stessa pasta", in quanto il loro scopo sarebbe quello di "seminare odio e spargere terrore".

Analoga relazione tra le due pellicole si riscontra anche sul piano del tono. Mentre Lee opta per un registro ironico-satirico, Shaka King sceglie di adottare un timbro drammatico per veicolare al meglio il contenuto della propria opera. Con il supporto di una solida sceneggiatura, il regista newyorkese sfrutta con abilità il potenziale dello schema biblico (e tragico) del tradimento del leader per raccontare con lucida verve civile una pagina di storia contemporanea americana.
Evitando i toni concilianti o compromissori che hanno caratterizzato alcuni lavori dell’ultimo decennio, tra tutti si pensi a "The Butler - Un maggiordomo alla Casa Bianca" e "Green Book", King rappresenta le tensioni razziali di fine anni Sessanta con le fattezze di una vera e propria guerra civile. Oppressi contro oppressori, scontri armati tra fazioni contrapposte, sangue che porta altro sangue: la Chicago di fine anni 60 è a tutti gli effetti uno scenario di guerriglia urbana. Più Malcolm X (e l’opera omonima di Spike Lee è certamente modello di riferimento) che Martin Luther King, Fred Hampton, vice-presidente della sezione dell’Illinois delle Black Panthers, scaglia in questo contesto parole infuocate contro le istituzioni, rifiuta ogni possibilità di riforma graduale della società ("riforma non è altro che il padrone che insegna allo schiavo a diventare uno schiavo migliore") e vede nella rivoluzione, nell’abbattimento del sistema capitalistico attraverso l’uso della forza, l’unica via per restituire la libertà agli sfruttati.

Film politico a tutti gli effetti, "Judas and the Black Messiah" è innervato dalle parole dei comizi di Hampton, attraverso le quali vengono fatti emergere i principali punti programmatici delle Black Panthers, riconducibili all’area di un socialismo rivoluzionario che inquadra il conflitto razziale nello schema marxista-leninista della lotta di classe. La pellicola dona così dignità anche sul piano prettamente ideologico ad un movimento troppo spesso legato nei media ad una rappresentazione alle soglie del pittoresco e del macchiettistico, da cui, ad esempio, non era in parte esente neanche un classico del passato come "Quinto potere" di Sidney Lumet.  
Le potenti parole delle Pantere risultano ulteriormente amplificate dalla carismatica performance di Daniel Kaluuya, che dona corpo e voce a Hampton. Con la sua mastodontica figura, il suo parlare cadenzato, ai confini tra poesia e rap, l’attore di "Scappa - Get Out" restituisce un magnetico ritratto del "Black Messiah" del titolo: è difficile per lo spettatore rimanere indifferente davanti a quell’ "I am a revolutionary", ripetuto come un refrain musicale in una delle sequenze più memorabili dell’opera.

Anteponendo "Judas" a "Black Messiah" è lo stesso titolo del film a suggerirci, però, che la vicenda non sarà presentata dall’ottica di Fred Hampton, ma da quella del suo traditore, Bill O’Neal. La pellicola sceglie, infatti, di raccontare la storia del suo Cristo dalla prospettiva del suo Giuda, operando una sorta di contaminazione tra la tradizione tipicamente letteraria del "Vangelo di Giuda", che dai vangeli apocrifi arriva sino a lavori recenti, come "Giuda" di Amos Oz, e il filone cinematografico sugli infiltrati: gli stessi Kenny e Keith Lucas, tra gli sceneggiatori del film , ai primi incontri con le case di distribuzione citavano tra le influenze "Il conformista" e "The Departed - il bene e il male" (e noi aggiungeremmo "Donnie Brasco").
Come illustrato in apertura, è O’Neal il primo personaggio con cui facciamo conoscenza ed è sostanzialmente il protagonista della pellicola, nonostante anche il suo interprete (LaKeith Stanfield) sia stato candidato all’Oscar come miglior attore non protagonista, esattamente come Kaluuya. King si mantiene, però, lontano da certe rivisitazioni moderne della figura di Giuda, che rivalutano il traditore, attribuendogli motivazioni, ad esempio, di natura politica: una per tutte, la visione proposta da Nikos Katzantakis con "L’ultima tentazione di Cristo", portata sul grande schermo dall’accoppiata Paul Schrader-Martin Scorsese nel 1988. Per quanto calato in un contesto storico contemporaneo, è un Giuda a suo modo classico quello che lo spettatore si ritrova di fronte, atavica e tragica incarnazione del tradimento.

Nell’opera di King, il traditore è, quindi, agli antipodi rispetto al tradito. L’uno è incerto sull’impatto della notizia della morte di Malcolm X sulla sua vita, l’altro ne conosce a memoria i discorsi; l’uno cerca disperatamente di fuggire da ogni situazione di pericolo, l’altro è pronto a dare la vita per la causa rivoluzionaria; l’uno agisce per denaro (e più volte ci viene mostrato nell’atto di intascarne cospicue somme), l’altro si prodiga in opere di beneficienza per i ceti più umili e mira all’abolizione del capitalismo; l’uno è taciturno, l’altro è abile oratore.
L’apparente manicheismo nella rappresentazione dei caratteri dei due personaggi principali è, però, attenuato da un lavoro di sfumature, operato specialmente attraverso gli sguardi di O’Neal. Gli occhi di Giuda, sfuggenti in un’intervista, ammirati durante un comizio di Hampton, intrisi di lacrime nell’ora del tradimento, lasciano trasparire tutto il senso di colpa di chi si è trovato a svendere un uomo ai suoi nemici per opportunismo, per vigliaccheria o, semplicemente, per paura: e c’è da averne nei confronti delle istituzioni, sembra suggerire il film, soprattutto se incarnate dal luciferino J. Edgar Hoover di Martin Sheen.
Con una fisicità asciutta, diametralmente opposta rispetto all’energica corpulenza di Kaluuya, LaKeith Stanfield è l’interprete perfetto per la parte. In un lavoro di costante recitazione sotto le righe, restituisce con sofferta intensità i conflitti interiori di un personaggio corroso nel corpo e nell’animo: la sua performance non è certamente inferiore a quella del collega.

La pellicola, pur ottima nel complesso, non è priva di alcuni demeriti come qualche incursione nell’agiografia, del resto connaturata al dichiarato modello biblico, e una certa approssimazione nella caratterizzazione delle figure di contorno, specialmente femminili. Non convincono, soprattutto, gli archi narrativi di Deborah, compagna di Fred Hampton, che, da emancipata attivista, viene col passare dei minuti progressivamente assorbita dall’ombra dell’ingombrante partner, e di Judy Harmon, giovane Pantera Nera tratteggiata in modo troppo sbrigativo. Un vero peccato, se si considera che, in base ad una stima dell’allora presidente del movimento, Bobby Seale (si veda "Il processo ai Chicago 7"), nel 1969 la percentuale delle donne in rapporto agli iscritti si attestava intorno al 60%.

6 nominations agli Oscar 2021 (film, attore non protagonista (Kaluuya e Stanfield), sceneggiatura originale, fotografia, canzone).


14/04/2021

Cast e credits

cast:
Lakeith Stanfield, Daniel Kaluuya, Jesse Plemons, Dominique Fishback, Ashton Sanders, Algee Smith, Darrell Britt-Gibson, Dominique Thorne, Martin Sheen


regia:
Shaka King


distribuzione:
Warner Bros.


durata:
126'


produzione:
MACRO, Participant, Bron Creative, Proximity


sceneggiatura:
Will Berson, Shaka King, Kenny Lucas, Keith Lucas


fotografia:
Sean Bobbitt


scenografie:
Sam Lisenco


montaggio:
Kristan Sprague


costumi:
Charlese Antoinette Jones


musiche:
Craig Harris, Mark Isham


Trama
Il giovane criminale Bill O'Neal si infiltra per conto dell'FBI nelle Black Panthers di Chicago; il suo obiettivo sarà quello di conquistarsi la fiducia di Fred Hampton, l'emergente vice-presidente della sezione dell'Illinois del movimento, per fornire informazioni su di lui ai federali.