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recensione di Vincenzo Chieppa
7.0/10

Cosa vuole essere "Navalny" (il film) lo dice lo stesso Navalny (Alexei) in quel frammento di intervista che Daniel Roher ha scelto come incipit del suo ultimo lungometraggio documentario: "Navalny" vuole essere un thriller e non un film commemorativo sul messaggio che il leader dell’opposizione nella Russia di Putin vuole lasciare ai suoi sostenitori e ai suoi compatrioti in generale.
La domanda del regista - "Se dovessi essere ucciso, qual è il messaggio che lasceresti al popolo russo?" - sembra dunque cadere nel vuoto, relegata dallo stesso protagonista all’ipotesi di un "noioso film in mia memoria". Un "secondo film", contrapposto a questo, che per l’appunto dovrà invece essere un thriller.

E il regista prende alla lettera le parole del suo protagonista, presentando in apertura, subito dopo l’incipit, un paesino innevato della Germania inquadrato da una carrellata dall’alto, in avvicinamento, accompagnata dall’immancabile strimpellio degli archi. Un’atmosfera che invero ricorda più l’action war movie di metà anni Sessanta (alla "Dove osano le aquile") che il thriller post-hitchcockiano.
La Germania è il paese in cui Navalny è stato portato dopo il tentato avvelenamento dell’agosto 2020 che per poco non gli è costato la vita. La Germania è il paese da cui sta partendo per tornare in Russia a inizio 2021, incurante dell’elevata probabilità di essere arrestato non appena metterà piede sul suolo patrio.

Tramite continui salti temporali si comincia a balzare avanti e indietro nel passato, con il Navalny di ieri (post avvelenamento e ante ritorno in Russia) che commenta il Navalny dell’altro ieri (pre-avvelenamento), in un veloce tuffo nella biografia dell’avvocato che con il suo attacco frontale alla corruzione si è innalzato a principale rivale politico di Putin. Uno scorcio molto rapido, per arrivare subito al dunque: l’avvelenamento, appunto, dell’estate del 2020, quando a Navalny venne somministrato un potente agente nervino, il Novichok, che avrebbe perfezionato il suo effetto nefasto se non fosse stato per la decisione del pilota dell’aereo di linea sul quale Navalny viaggiava di compiere un atterraggio d’emergenza per far prestare le cure a quel passeggero le cui strazianti urla di dolore continuavano a riecheggiare nella fusoliera.

La controinformazione russa, che in questi tempi difficili abbiamo imparato a conoscere bene, inizia a diffondere le sue teorie volte a sminuire o a stravolgere l’accaduto: disturbi metabolici, assunzione di droghe, abuso di antidepressivi. Finché Navalny, su insistenza della moglie e quando qualcuno pensa evidentemente che le tracce del Novichok si siano ormai definitivamente diradate, viene trasferito in Germania, ove viene comunque rintracciato l’agente nervino, vero e proprio segno distintivo dei servizi segreti russi.
Resta da capire chi abbia voluto l’avvelenamento (rectius: l’operazione politica speciale) e chi materialmente lo abbia attuato. Fondamentale per le indagini è l’aiuto di un cittadino bulgaro membro di un’agenzia investigativa open source che raduna nerd e cervelloni di vario genere al servizio di un bene immateriale largamente in via d’estinzione nella società contemporanea: la verità.
È qui che il documentario di Roher si intrufola nella spy story e acquista definitivamente i connotati del thriller, seguendo le orme di celebri e celebrati omologhi degli ultimi anni: da "Citizenfour", il più simile per struttura (il "pedinamento" dell’uomo solo perseguitato dal sistema) e per la chiara presa di posizione; a "Collective", che invece provava ad avanzare le sue tesi dal punto di vista vagamente oggettivo del reportage d’inchiesta, non sempre riuscendoci.

Grazie ad alcune intuizioni e all’efficace utilizzo dei big data, l’equipe investigativa capitanata da Navalny medesimo rivela infine alcune delle tessere del mosaico del complotto. Con l’espediente di una banale telefonata fake, un uomo - l’anello debole della squadra assoldata per uccidere il leader dell’opposizione - fornisce i dettagli dell’operazione, richiestigli al fine di stilare un fantomatico rapporto. E Roher è lì mentre ciò accade, grazie alla metodica wisemaniana dell’appostamento sistematico, più che per un fortunato (e talvolta sospetto) tempismo.

Il più è fatto, e il regista si concede ancora qualche digressione formale, tra panoramiche da drone (forse qualcuna di troppo) e inquadrature di corse nella neve, prima di chiudere con l’epilogo che si attendeva fin dai primi minuti e che fornisce al documentario una chiusa allo stesso tempo emozionante e ammantata di quell’amara indignazione che solo le ingiustizie più ineluttabili possono ricreare: quell’epilogo è ovviamente il rientro in Russia di Navalny dalla Germania, atteso da una nutrita folla alla stregua di un salvatore pronto a rifondare la Russia, ma atteso anche dagli agenti dei servizi, che lo prendono in consegna approfittando dello scontato cambio di aeroporto che ha sottratto il politico all’abbraccio dei suoi sostenitori. Una folla che la polizia a stento riusciva a trattenere e che gli arresti arbitrari potevano decimare soltanto in minima parte.
Scene già viste e per nulla sorprendenti, per un film che quando venne presentato, a fine gennaio 2022, al Sundance (dove ha ricevuto due premi del pubblico) anticipava di un mese soltanto quegli scenari a noi oggi così drammaticamente familiari.
E così il documentario che voleva essere un thriller finisce per assumere i connotati del presagio.

[NdR: recensione scritta nel maggio 2022]


16/05/2022

Cast e credits

cast:
Alexei Navalny


regia:
Daniel Roher


distribuzione:
I Wonder Pictures


durata:
98'


fotografia:
Niki Waltl


montaggio:
Maya Hawke, Langdon Page


musiche:
Marius De Vries, Matt Robertson


Trama
Alexei Navalny, il principale oppositore politico di Putin, è in Germania dopo un tentativo di avvelenamento attuato nei suoi confronti mediante l'utilizzo dell'agente nervino Novichok. Ciò non lo fermerà dai suoi propositi di rientrare appena possibile in Russia.