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recensione di Alessio Cossu
7.0/10

Orfano del suo regista Kirill Serebrennikov, costretto ancora agli arresti domiciliari in terra russa, "Petrov's Flu", approdato a Cannes 74, è da qualche giorno visibile nella programmazione streaming. Opera ispirata al romanzo di Alekseij Selnikov "La febbre dei Petrov e altri accidenti" e allo stesso tempo più ardita di quelle precedenti del regista di Rostov, Petrov's Flu è un allucinato eppure lucido viaggio nella Russia odierna, incentrato su personaggi fondamentalmente statici sul piano narratologico, ovvero privi di una evoluzione caratteriale e ideale.

I protagonisti sono i coniugi Petrov, i cui nomi vengono sottaciuti per favorire l'immersione del pubblico nelle loro sgangherate e disturbanti esistenze. È sul capofamiglia, trentenne meccanico, aspirante fumettista e immancabilmente dedito all'alcool, che si innerva la linea narrativa principale. A sfalsare la nitidezza percettiva del protagonista e, conseguentemente, l'interpretazione da parte del pubblico delle vicende narrate è lo stato di alterazione psicofisica dovuto alla febbre. Una misteriosa influenza ha infatti colpito i due coniugi e il loro unico figlio; di qui il titolo. La lanterna critica del regista illumina i lati oscuri della Russia odierna facendo emergere le contraddizioni e le miserie della società post-sovietica. Sul piano estetico, il testo filmico è caratterizzato dalla černucha, tratto riscontrabile in altre produzioni post-sovietiche, come ad esempio già in "Brat" (1996). Per černucha, idiomatismo russo, si intende l'accento posto sui lati neri, oscuri, difficilmente sondabili della vita, connessi alle piaghe dell'alcolismo, della prostituzione o della malavita. Petrov, ad esempio, è un personaggio dai molti lati oscuri: il suo silenzioso delirio febbrile limita il dialogo con gli altri personaggi schiudendo così la sua interiorità unicamente attraverso dei flashback. Petrov è come un punto in movimento nello spazio filmico, ma allo stesso tempo attante cristallizzato nella sua fissità: pur conscio della sua condizione, non evolve, e più che agire osserva, più che mettersi in discussione registra quanto vede intorno. E noi, di conseguenza, vediamo attraverso la sua lente deformata. Petrov non nutre la benchè minima speranza circa la possibilità che la sua esistenza possa in qualche modo migliorare. Il suo nichilismo proprio di tanta tradizione letteraria russa, unito alla sua bassa autostima, non è tuttavia dovuto alla coscienza di una qualsivoglia colpa che funga da elemento detonante, come avviene nei personaggi di ascendenza dostojevskijana, ma è il portato sul sé di una soggettiva indolenza mista a una oggettiva impotenza. Indolenza e impotenza nei confronti della società priva di punti di riferimento, scarnificata del tessuto connettivo della coesione morale, costellata di personaggi in preda a manie omicidiarie e atti di violenza gratuita.

Serebrennikov fa emergere i suoi strali contro la Russia contemporanea sottotraccia, attraverso personaggi secondari, quando non poco più che comparse. In tal modo, per quanto né Petrov, né tantomeno la moglie abbiano un reale scontro col potere e la loro vita trascorra al riparo da problemi di ordine socio-economico, tutt'intorno il malcontento e il disagio covano sotto la cenere. Ciò emerge già nell'incipit, singolare per l'ambientazione e l'universo sociale che ci squaderna, senza alcun tipo di preambolo. È un attacco decisamente immersivo, quello scelto dal regista di "Betrayal" (2012) e "Summer" (2018): su un tram della linea urbana di un'anonima città russa un passeggero si lancia in un monologo al vetriolo contro il degrado e il tradimento delle tanto attese svolte seguite al crollo del comunismo. È un monologo che rimane tale, si badi bene, non viene raccolto da nessuno, non accende un dibattito, e nel silenzio (anche di Petrov, cui quelle parole erano indirizzate) l'unica voce che gli risponde sembra articolarsi nelle malinconiche note della fisarmonica che extradiegeticamente commenta il tutto. Di lì a poco un altro viaggiatore, senza dire una parola, assesta un pugno al volto di un anziano reo di aver rivolto frasi disdicevoli a una bambina. Serebrennikov sa anche essere grottesco, come quando Petrov viene fatto scendere dal tram e, in men che non si dica, si ritrova con un kalashnikov tra le braccia ad essere membro di un plotone d'esecuzione improvvisato. È una realtà nella quale ciò che chiameremmo stato sembra dunque assente. Con tutte le conseguenze del caso. La punta di diamante della polemica sociale e politica viene però affidata agli amici di Petrov. In preda all'alcool, ma con innegabile lucidità di pensiero, uno di essi contesta il concetto stesso di democrazia inteso come dittatura della maggioranza, ovvero come sistema politico che perde ogni ragion d'essere laddove sia succube della corruzione e della disinformazione. Ciò che stupisce è che le considerazioni dell'amico di Petrov si spingono fino a riproporre come sistema politico ideale quello basato sul sorteggio delle cariche, ricalcando in sostanza quello varato nell'Atene di Clistene, che della democrazia è stata la culla. Vaniloqui di un alcoolista, dunque, o lucida disamina di un acuto conoscitore della storia delle istituzioni politiche? Sarebbe interessante chiederlo al regista.

Tornando a Petrov, lo troviamo di seguito al tavolo da disegno, e a quel punto inizia un flashback che ci riporta all'atmosfera della Russia sovietica: il natale, i bambini vestiti da cosmonauti, piccoli razzi che adornano gli alberi. Ed emerge in filigrana il cosmismo, uno dei temi più battuti del cinema sovietico e dell'Europa del patto di Varsavia, come si vede ad esempio in "Goodbye, Lenin" (2003). Sono brevi sequenze con una fotografia leggermente sfocata, come un superotto della memoria. La macchina da presa si abbassa, il punto di vista è quello dell'infanzia ed emerge un mondo finito per sempre. Dopo questo flashback sembriamo tornati al presente. Ora è il figlio di Petrov al centro del testo filmico: pure lui è febbricitante, e la medicina che assume non è efficace. Il padre si precipita all'ospedale, ma rimane con l'auto in panne in mezzo alla neve, fin quando è un'astronave comparsa dal nulla a prendere in consegna il bambino. Insomma, dal cosmismo siamo passati al fantasy. Lo spirito iconoclasta di Serebrennikov prosegue, dopo l'allucinazione di Petrov, con due flashback di seguito, che hanno per protagonista il suo amico Sergeij, romanziere mancato, dilaniato da propositi suicidiari. Le due sequenze sono entrambe incentrate sulla festa dell'abete, ma narrate la prima a colori e col punto di vista del piccolo Sergeij, la seconda in un morbido bianco e nero secondo l'ottica della madre Irina. "Petrov's Flu" è un film di montaggio, nel quale l'andirivieni tra presente e passato estrinseca le diverse fasi dell'alterazione febbrile del protagonista. La sequenza più ardita del film è tuttavia costituita dal piano sequenza contenente un'ellissi sincronica. Sergeij si reca in un ufficio editoriale per portarvi i suoi manoscritti: l'ufficio è semivuoto e l'orologio alla parete segna le cinque del pomeriggio. Fuoriuscitone, si aggiusta la cuffia sul capo e, tornato nella medesima stanza, chiede conto dei manoscritti consegnati giorni prima. Ora sono le otto di sera e la stanza è piena di persone che suonano e ballano. Una sequenza degna de "La recita" (1975) di Theodoros Angelopoulos. Anche quando seguiamo le vicende della moglie (Chulpan Khamatova) pencoliamo tra realtà e immaginazione, tra madre e bibliotecaria rigorosa e menade in preda a pulsioni omicidiarie. Nell'universo di Serebrennikov sembrano non esserci ancore di certezza, neanche per lo spettatore. Vi è poi un'altra linea narrativa che si discosta tanto dal dramma quanto dal thriller e dal fantasy virando decisamente in direzione del grottesco: Igor, sedicente membro dell'FSB, che si aggira in città su un furgone con all'interno una bara contenente un defunto di cui poi si denuncerà la scomparsa, ci porta nel territorio del nonsense che ricorda alcune pellicole di Emir Kusturica, quali "Underground" (1995) o "Gatto nero, Gatto bianco" (1998).

La macchina da presa di Serebrennikov è ora lenta e placida, ora (quando in spalla) frenetica e mossa; tende ad evitare i primi e i primissimi piani prediligendo osservare in campo medio il movimento degli attori nell'ambiente. Per quanto riguarda il protagonista, il volto, la sua maschera inespressiva è un'ulteriore cifra dell'indolenza del personaggio. Gli ambienti, ritratti con una fotografia spenta, a tratti tetra, quando sono domestici si fanno ristretti, tanto che coloro che li abitano sembrano quasi esserne schiacciati, soffocarvi, e talvolta, presi dai loro pensieri, urtano col capo lampadari e infissi. In conclusione, se a infastidire il potere moscovita è un film discreto, ma non eccezionale, si capisce anche il motivo per cui la difficile condizione degli artisti è un'altra delle tematiche che emerge in filigrana dalla diegesi.


10/03/2022

Cast e credits

cast:
Semyon Serzin, Chulpan Khamatova, Vladislav Semiletkov, Yuri Kolokolnikov, Aleksandr Ilin, Nikolai Kolyada, Yuriy Borisov, Yuliya Peresild, Ivan Dorn


regia:
Kirill Serebrennikov


titolo originale:
Petrovy v grippe


distribuzione:
I Wonder Pictures


durata:
145'


produzione:
Hype Film, Logical Pictures, Bord Cadre films, Arte France Cinéma, Charades, Razor Film Produktion


sceneggiatura:
Alexey Salnikov, Kirill Serebrennikov


fotografia:
Vladislav Opelyants


montaggio:
Yuriy Karikh


musiche:
Ajdar Salachov, Dmitrij Žuk, Andrej Poljakov


Trama
Petrov, meccanico aspirante fumettista, divide le sue giornate tra la famiglia e gli amici. Da qualche tempo la febbre che non gli dà tregua lo fa vagare senza una meta precisa confondendo realtà e fantasia. La moglie, una bibliotecaria apparentemente irreprensibile, deve a sua volta controllare le proprie pulsioni omicide prima che possano nuocere perfino al figlio