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recensione di Davide Spinelli
7.5/10

Il titolo dell'ultima fatica di Lanthimos, "Poor Things", è il primo rebus (e, almeno per stavolta, forse l'unico, grazie Yorgos) di una delle pellicole che – assieme e poche altre - ricorderemo della 80ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia. Sarà la difficoltà della traduzione dall'inglese – "Povere creature!" è il titolo italiano (in arrivo il 25 gennaio 2024), invece che "Poveracci!", ossia il primo titolo tradotto del romanzo di Alasdair Gray del 1992 che ha ispirato il regista greco - sarà colpa, appunto, della disambiguazione a livello sintagmatico e lessicale: tra "cose povere" e "povere cose", le cose cambiano (scusate il gioco di parole), soprattutto se, come suggeriva la prima traduzione italiana (anno 1994) del testo di Gray, quelle cose sono persone o creature "a cui piace vivere il presente". La battaglia del soggetto resta un tema di Lanthimos cristallizzato nel titolo e nella scelta di concentrare l'adattamento sull'appassionato (e passionale) coming of age di Bella Baxter (Emma Stone), la protagonista del romanzo dello scrittore scozzese: una donna infelice, stretta nelle regole della società e del matrimonio vittoriano, incinta, che tenta il suicidio, salvata da Godwin Baxter (William Dafoe), un eclettico anatomopatologo che le restituisce la vita frankesteinainamente, trapiantandole il cervello del feto. Ha inizio un'avventura delle (tristi) meraviglie alla Carroll; Londra, Lisbona, Alessandria d'Egitto, Parigi sono vivificate dall'estetica burtoniana, pop gotica, miscelate a uno humor ancora più dissacrante, in linea con "La favorita", opera della consacrazione pop di Lanthimos, con Bella divisa e divisiva della/nella coppia maschile del film, Max McCandless (Ramy Youssef), il collaboratore di Godwin promesso sposo di Bella, e l'avvocato Duncan Wedderburn (Mark Ruffalo), con il quale scapperà.

Genesis

Uno dei temi di "Poor Things" è la genesi, anche biblica, forse lirica, che è riassunta nella distinzione, o nel continuum, tra acquisizione e apprendimento – in salsa illuminismo scozzese - linguistico, motorio, relazionale-sociologico. L'anomia e la disartria iniziale di Bella ne sono l'evidenza tangibile; l'altra, il corpo della ragazza, di una teatralissima Emma Stone, inizialmente impettito, robotico, scoordinato e incontrollato nelle reazioni psicosomatiche, geometricamente divaricato, con i piedi a martello, infantile, come la regina Anna di Olivia Colman (fig. 1). È questo il luogo della dimensione intenzionale della pellicola, in cui Lanthimos ha concentrato la ricerca intellettuale – che coincide con quella sessuale – di Gray. Ritorna, dunque, l'idea del linguaggio come pericolo, (soprattutto) de "Il sacrificio del cervo sacro" e di "The Lobster", e come potere, un concetto chiave per l'Alice di Carroll e centrale in "Poor Things" come strumento della memoria e della consapevolezza pragmatica, delle convenzioni sociali che Bella fatica a tenere a mente, ad apprendere.
Inoltre, il topic della memoria è, tanto in Gray quanto in Lanthimos, la spia del cosiddetto "hard problem" della filosofia della mente, ossia il dualismo cartesiano mente-corpo: se "mentalmente" (semplificando) Bella non ha passato, perché la materia cerebrale è quella del feto, non vale lo stesso per il suo corpo, che è sempre lo stesso; con le parole del romanzo: "Dimenticare nulla è sinonimo di ricordare tutto?". Sarà forse questo il senso di una scenografia, quella naturale, così artefatta e fiabesca, steampunk, visionaria eppure realistica, in cui il duale convive: ciò che Gregory Smith ha sempre considerato la scintilla della letteratura scozzese, il duello nella e della polarità, il concetto di "Caledonian Antisyzygy".

 

Fig. 1 da destra Olivia Colman in "La favorita", Emma Stone in "Povere creature!"

 

Gioco linguistico

Alcuni commentatori hanno romanticizzato il tentato suicidio inziale, un salto, addirittura, verso la curiosità, è stato scritto. Se fosse, invece, un salto di disperazione? "Poor Things" è un film antiromantico in tutti i sensi e senza vergogna. La miccia narrativa, il suicidio appunto, sussume l'intenzione politica del film che è anch'essa bivalente: da un lato, a livello personale, intimista, dall'altro, sociale. Non si tratta di un generalissimo "fuck off" allo status quo, al patriarcato tout court (come in parte è), attualizzando la critica al thatcherismo degli anni Ottanta del romanzo di Gray, bensì di una più complessa rappresentazione delle contraddizioni dell'uomo come animale necessariamente sociale (seguendo Hume). Lasciamo stare la favola del "sii chi vuoi essere, chi desideri" per Bella; la questione è comprendere i confini, se ci sono, di ciò che puoi essere. La ricerca, estensionale, che Bella persegue in cui, d'accordo col romanzo di Gray, l'etica (o la morale, interscambiabili in questo caso) si fa sorprendentemente epistemologia.

In questo senso, ancora una volta in Lanthimos, il sesso è il campo di battaglia dell'accettazione, dell'improvvisazione, dell'identificazione e non dell'identità: non c'è dicotomia tra sesso e libertà, tra piacere e libero arbitrio. Gli amplessi tra Ruffalo e Stone sono sequenze "bloccate", istantanee di un godimento presente, che non ha alcun valore morale e temporale; i ritratti affettuosi della coppia, invece, di Bella e Godwin rispondono a regole della rappresentazione religiosa, michelangiolesca nella loro triangolarità (fig. 2). Il sesso resta (o, finalmente, torna) un'attività fisica, addirittura - sia mai – lavorativa, strumento e luogo, sia causa che effetto: Bella vuole godere, vuole guadagnare, Bella non ha tempo per essere gelosa – l'unico sentimento che sembra non apprendere mai.
Se, come è scritto in "Anestesia di solitudini" (Mimesis, 2019), Lanthimos è solito "operare a cuore aperto" nei suoi film (si veda di nuovo "Il sacrificio del cervo sacro"), in "Poor Things" l'operazione è ridotta al processo, al passaggio, alla decostruzione del controllo sociale tramite una tassonomia dell'idiosincratico. Un discorso, questo, che si propaga anche ad altri sottotemi del film, pensiamo per esempio a quello dei soldi, alla patologia che Bella vi riconosce, quasi fossero un "gioco linguistico" evidente, facile da dimostrare, difficilissimo da espugnare.

Fig. 2 da destra Mark Raffalo ed Emma Stone, William Dafoe ed Emma Stone

 
Atlante occidentale

Londra, l'industria, l'ingegneria (medica); Parigi, la sessualità, l'autodeterminazione; Lisbona, la scoperta, l'irrequietezza – iconica la sequenza in cui Stone e Ruffalo danno vita a un balletto/inseguimento, tra fish eye, carrellate, primissimi piani, campi lunghi; Alessandria d'Egitto, la consapevolezza, l'istantanea che mette a tema il classismo paventato dal titolo – un tema presentissimo a Venezia 80, per esempio anche ne "El Conde". E poi, in mezzo, la crociera, il regalo di Duncan per Bella, per fomentare la sua sete di scoperta, lo spazio transitorio, occidentale, un passaggio – narrativo, estetico (l'immagine diventa a colori), cosciente – in cui la discussione è serissima, wittgensteiniana: l'utilità (pratica, si direbbe) della filosofia. È questo il sostrato tutt'altro che banale che alimenta il desiderio di cambiamento di Bella, idealista, non la voglia insipida di un mondo migliore, la provocazione sterile che (pochi) hanno ravvisato in "Poor Things" – che, non è il miglior film di Lanthimos, ma di certo è un esercizio robusto e acuto.

La geografia di Lanthimos riflette la definizione di Todorov del testo di Gray, "un mito fantastico tra certezza e incertezza". L'orizzonte di "Poor Things", quindi, è quantistico: nell'armamentario cinematografico, dall'amatissimo grandangolo (fig.3), che tiene insieme, comprime, deforma, ai ripetutissimi movimenti apparenti di camera, il fuoco che si avvicina o si allontana dall'oggetto-soggetto; nell'ipotesi, sorprendente, che il libero arbitrio esista in rapporto al passato: "I need more past", dice Bella nel romanzo. Ecco, allora, il quadretto idilliaco, ovidiano, una famiglia "fantastica", dogtoothiana, disfunzionale a livello cerebrale, in cui la vendetta è persino giustizia, l'innocenza è disincanto. Ancora una volta in Lanthimos la forma tende alla sostanza, "l'anima è la forma delle forme", scriveva Joyce nell'"Ulisse" e l'intuizione ha sempre le stesse fondamenta degli altri film del regista greco, la masturbazione. 

Fig. 3 l'inquadratura grandangolare in "Povere creature!" e in "La favorita"


02/09/2023

Cast e credits

cast:
Emma Stone, Ramy Youssef, Willem Dafoe, Mark Ruffalo, Jerrod Carmichael


regia:
Yorgos Lanthimos


titolo originale:
Poor Things


distribuzione:
Walt Disney Studios


durata:
141'


produzione:
Element Pictures, Film4, Fruit Tree


sceneggiatura:
Tony McNamara


fotografia:
Robbie Ryan


scenografie:
Shona Heath, James Price


montaggio:
Yorgos Mavropsaridis


costumi:
Holly Waddington


musiche:
Jerskin Fendrix


Trama
Il dr. Godwin Baxter è uno scienziato dedito a esperimenti estremi. Riporta in vita Bella Baxter che inizia interessarsi al nuovo mondo che appare davanti a lei. Anche se lo scienziato vuole divendere la sua creatura, la giovane donna fugge con un avvocato per esplorare il mondo e soddisfare le sue infinite curiosità.