Ondacinema

recensione di Giuseppe Gangi
8.0/10

Una voce esce da un mangianastri e spiega il significato di alcuni termini, contravvenendo al senso comune: ad esempio l'autostrada starebbe a indicare un vento molto forte, il mare è un particolare tipo di poltrona. I tre ragazzi che ascoltano ripetono come se dovessero imparare la lezione del giorno: quella è la voce del padrone, la voce della loro madre, e quelle sono effettivamente le parole quotidiante da memorizzare. Yorgos Lanthimos ci precipita senza preamboli nel mondo inscatolato e demiurgigamente sorvegliato dei tre fratelli; il regista greco non nasconde nemmeno per un attimo la volontà allegorica della sua opera e, anzi, la dichiara sin dall'inizio scegliendo anche di non fornire nomi propri ai personaggi, che si chiamano Madre, Padre, Figlio, Figlia Maggiore, Figlia Minore. I genitori non si sono sentiti soltanto procreatori di vita umana, ma anche i creatori di una realtà fittizia plasmante un mondo delimitato secondo regole e logiche sovvertite di senso.

Padre e Madre inventano per i tre figli una realtà in cui è pericoloso uscire dalla loro villa e dove tutto ciò che serve si trova all'interno: la casa-mondo diviene dunque autosufficiente e deve resistere dalle pressioni provenienti sia dall'esterno sia dalle eventuali curiosità dei giovani. La scissione tra interno ed esterno è tanto insanabile da creare una totale chiusura nella percezione della realtà effettiva: seguendo regole inventate di sana pianta e una manipolazione costante basata su una lingua alterata e su conoscenze frammentarie e distorte, i ragazzi sono deprivati di una coscienza autonoma, non sanno quanti anni hanno, dove si trovano, e rimangono a un livello di maturità psicologica e intellettuale elementare. Sembra quasi un malato esperimento antropologico che osserva in vitro le conseguenze di un totalitarismo, dove i genitori-dittatori crescono figli come si possono allevare cani: fedeli, votati alla cieca ubbidienza, senza istinti che non siano controllati e fatti sfogare con misura.

Il mondo esterno si presenta dunque come un luogo da temere a priori e la realtà tutta prefabbricata assolve a regole di sussistenza interna, e ogni coerenza è ridotta al minimo indispensabile. Pensiamo a un'altra grande intuizione del regista, quella degli aerei che sorvolano la casa: i ragazzi credono che ogni tanto uno di essi possa precipitare e il primo che lo raccoglie può tenerlo per sé. In effetti gli aerei di tanto in tanto cadono, ma sono ovviamente modellini in scala gettati di nascosto dai genitori ma, non avendo il senso delle proporzioni, non sanno cosa sia la prospettiva: in definitiva vivono in un mondo bidimensionale. La cosa straordinaria è che a rompere gli schemi, a scardinare la piatta gabbia in cui si muovono, sarà il cinema. Christina (un'agente di sicurezza che per arrotondare si prostituisce col Figlio), sfruttando l'inconsapevolezza della Sorella Maggiore, la convince a fare sesso orale in cambio di alcune videocassette. La ragazza si ciba di notte di queste immagini cinematografiche rubate e la visione dell'altromondo cinematico è un Big Bang, una folgorazione, per chi è abituata a vedere e rivedere solo se stessi nei filmini di famiglia. Non parliamo di vedere BergmanKubrick o Tarkovskij, ma de "Lo squalo", di "Rocky" e di "Flashdance": film muscolari, sulla carne e sul sangue, su corpi maciullati, pompati e oliati. Paradossalmente, opere che nella loro patina (neo)hollywoodiana pulsano verità nel mondo finzionale dei ragazzi. Parafrasando una metafora pirandelliana, il linguaggio cinematografico strappa il cielo di carta, aprendo un buco che fa intravedere il sole: quando il padre se ne accorgerà, tale crepa ha incrinato le sbarre della gabbia costruita per la propria prole. La sorella maggiore matura e, assorbendo per imitazione i nuovi modelli, comprende la potenza della simulazione, l'importanza della manipolazione della verità e della Legge.
  
"Dogtooth" è una pellicola perversa: sedendo sulla cattedra hanekiana, con diversi passaggi grotteschi e surreali, il regista greco ci presenta la vita di questo gruppo familiare in un interno come un dato di fatto, senza possibile dialettica con una realtà alternativa. La luce di Bakatatakis illumina e acceca, mentre l'occhio geometrico di Lanthimos incombe entomologico tanto sui figli quanto sui genitori, vittime del loro stesso gioco. Gioco che si perpetua fra loro e usato come sfida tra i fratelli: metafora nella metafora è l'immagine dei ragazzi bendati che cercano a tentoni di raggiungere la madre, al centro del giardino. Togliersi la benda dagli occhi è più difficile di quanto si possa pensare e, alla fine, il film va a porre degli interrogativi che percorrono da più di duemila anni la cultura occidentale. Come nel mito platonico della caverna, Lanthimos illustra il buio dell'ignoranza in una società coercitiva e autoritaria e l'orrore di scoprire una verità che rimette in discussione un intero sistema di valori e la percezione del proprio sé in relazione al mondo.

Vincitore a Cannes 2009 nel concorso Un certain regard, "Dogtooth" è il lavoro che ha mostrato a una platea internazionale il talento di Lanthimos. Rimasto inedito in Italia, è stato distribuito a sorpresa nell'agosto del 2020.


05/01/2011

Cast e credits

cast:
Christos Stergioglou, Michele Valley, Aggeliki Papoulia, Mary Tsoni, Hristos Passalis, Anna Kalaitzidou


regia:
Yorgos Lanthimos


titolo originale:
Kynodontas


distribuzione:
Lucky Red


durata:
94'


produzione:
Boo Productions, Greek Film Center, Horsefly Productions


sceneggiatura:
Efthymis Filippou, Yorgos Lanthimos


fotografia:
Thimios Bakatatakis


scenografie:
Stavros Hrysogiannis, Elli Papageorgakopoulou


montaggio:
Yorgos Mavropsaridis


musiche:
Grégoire Hetzel


Trama
Due sorelle e un fratello vengono cresciuti in una villa isolata, seprati dal resto mondo, secondo i dettami di un codice comportamentale del tutto privato.
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