Ondacinema

recensione di Matteo Zucchi
5.5/10

Rebel Moon - Part One: A Child of Fire


Zack Snyder è tornato. E con Zack Snyder non si intende solamente il regista nel senso di individuo ma quello che lui rappresenta, ormai da quasi due decenni, per il cinema contemporaneo. Infatti, dopo la redenzione postuma della "Zack Snyder’s Justice League", probabilmente l’opera più universalmente celebrata del controverso cineasta dai tempi di "Watchmen", e dopo il divertissement sempre targato Netflix "Army of the Dead", il quale lasciava per certi versi presagire la normalizzazione di Snyder all’interno del complesso produttivo e narrativo Netflix, il regista statunitense ha deciso di tornare a essere l’autore più criticato dell’industria hollywoodiana. E ha deciso di farlo alla grande. "Rebel Moon" si mostra, fin dall’introduzione che presenta l’universo (in senso letterale) in cui si svolge, come una space opera dalle proporzioni smisurate, una sorta di "Star Wars" (più "I sette samurai") alla maniera di Snyder (come d’altronde pare dovesse essere all’inizio del suo sviluppo), arricchita da una cupezza e da riflessioni politiche che si rifanno palesemente a "Dune", mentre il sincretismo estetico è debitore di "Sucker Punch", sempre dello stesso regista.

Sono passati infatti 12 anni da quel catastrofico action movie che ha costretto per un decennio il cineasta statunitense a lavorare solo su opere basate su franchise affermati, durante quella che è stata sicuramente la fase più complicata della sua carriera, come testimonia il fallimento dell’originale "Justice League", e dopo 12 anni la stessa storia pare ripetersi col "A Child of Fire", criticatissima prima parte del dittico "Rebel Moon". L’ultimo film di Snyder condivide d’altronde con "Sucker Punch" non solo l’insuccesso critico ma anche numerosi elementi tematici e stilistici, i quali fanno pensare che sia, in qualche misura, una sorta di aggiornamento di quella pellicola all’epoca della fruizione in streaming e del revival fantascientifico. A partire dal vasto ed eterogeneo (e scarsamente approfondito) gruppo di protagonisti(e) fino allo scontro con l’autorità come motore narrativo, passando per la poco fluida struttura a blocchi del racconto, sono davvero molti gli elementi che accomunano due pellicole apparentemente così distanti, ribadendo per l’ennesima volta la solidità della visione autoriale di Snyder, riconoscibile e costante anche nelle opere più apparentemente impersonali (come "Batman v Superman").

Basta questo a riscattare la prima parte di "Rebel Moon"? Ovviamente no. È impossibile non considerare tutti i difetti di questa discontinua e, per dirla con un gergo d’altro ambito, rushata pellicola che in più di due ore non riesce a produrre uno sviluppo armonico dei personaggi e del racconto, procedendo per tagli di montaggio netti ed establishing shot di pianeti alieni, senza che quasi si abbia avuto modo di capire per quale motivo i personaggi principali si siano recati in quel luogo. Al netto di tratti caratteristici del cinema di Snyder che sarebbe ora di smettere di indicare a prescindere come presunti difetti delle sue opere, come la recitazione spesso fin troppo enfatica dei protagonisti, in primis del villain interpretato da Ed Skrein, e l’estetica barocca e dalla fotografia (dello stesso Snyder) sempre più satura, la maggior parte dei punti deboli di "A Child of Fire" possono essere ricondotti alla disarmonia della struttura narrativa. L’episodicità di questa viene difatti malamente gestita dalla sceneggiatura del regista e di Kurt Johnstad e Shay Hatten, finendo per dare la sensazione di una serie di 7/8 episodi compressa per dargli una forma fruibile al cinema (col paradosso che questo film è stato visto in ben poche sale) o del pigro adattamento di un videogioco narrativo a mondi separati e liberamente esplorabili (come l'ultimo capitolo della serie di "God of War", per fare un esempio riconoscibile).

Sapendo che durante la fase di sviluppo del concept di "Rebel Moon" la possibilità che divenisse una serie o un videogioco fosse stata ventilata lascia ancora più l’amaro in bocca, perché la dilatazione narrativa e l’episodicità del formato seriale o la propensione a sviluppare e valorizzare digressioni del videogioco narrativo avrebbero reso un servizio molto migliore al mondo e alla storia ideate da Zack Snyder. Nonostante il risultato finale della prima parte di "Rebel Moon" sia quindi un film discontinuo e medio, per non dire mediocre, invece di una buona serie o di potenzialmente un ottimo videogioco d’azione, non vi sono solo cose negative da sottolineare quando si parla di "A Child of Fire". L’ultima pellicola di Snyder mostra difatti la bravura del regista come worldbuilder, per quanto certe trovate narrative (in primis, l’impero militarista) siano indubbiamente abusate, e la capacità sua e dei suoi collaboratori di rendere ogni mondo diverso e interessante, spesso molto più degli eventi che vi accadono, troppo frettolosi e per questo incapaci di far empatizzare con i vari membri del dream team messo in piedi dalla fuggitiva imperiale Kora e dalla scalognato agronomo Gunnar, a eccezione forse proprio di loro due.

Più che in altre sue pellicole, in "A Child of Fire" Snyder fa difatti un uso smaccatamente strumentale dei personaggi, rendendoli più volte dei MacGuffin che servono a imprimere certe svolte alla narrazione (si pensi al giovane soldato ribelle Aris o alla generosa ragazza del villaggio Sam), concentrando quasi tutte le attenzioni sul percorso di crescita (in quanto assunzione di responsabilità) della protagonista efficacemente interpretata da Sofia Boutella. Anche in questo la prima parte di "Rebel Moon" riecheggia il vituperato "Sucker Punch", trasformando quella (controversa) storia di affermazione femminile in un racconto di inclusività, in cui un gruppo estremamente eterogeneo di combattenti si oppone all’omogeneizzante Impero (non a caso governato in precedenza da una famiglia reale di persone bianche e bionde). Si tratta forse di una sovrainterpretazione ma chi scrive non può fare a meno di sottolineare come nel momento in cui il gruppo è costituito, e la protagonista ha accettato il suo ruolo di responsabilità, il film trova il suo equilibrio e si riscatta parzialmente con una coinvolgente e convincente mezz’ora finale di azione, la quale rispecchia tra l’altro la tensiva e riuscita parte iniziale della pellicola. Si spera che sia un segnale beneaugurante e che "Scargiver", l’altra parte del dittico, eviti le impasse narrative della prima metà. In attesa che la, ormai prevedibile e già annunciata, director’s cut arrivi a riscattare (ma anche no) pure "A Child of Fire", come la sua protagonista fa con sciagurati di ogni parte della galassia.


30/12/2023

Cast e credits

cast:
Sofia Boutella, Cleopatra Coleman, Fra Fee, Jena Malone, Anthony Hopkins, Staz Nair, Ray Fisher, Doona Bae, Djimon Hounsou, Ed Skrein, Michiel Huisman, Charlie Hunnam, Ingvar Eggert Sigurðsson


regia:
Zack Snyder


titolo originale:
Rebel Moon - Part One: A Child of Fire


distribuzione:
Netflix


durata:
134'


produzione:
The Stone Quarry, Grand Electric


sceneggiatura:
Zack Snyder, Kurt Johnstad, Shay Hatten


fotografia:
Zack Snyder


scenografie:
Stefan Dechant, Stephen Swain


montaggio:
Dody Dorn


costumi:
Stephanie Portnoy Porter


musiche:
Tom Holkenborg (Junkie XL)


Trama
Un giorno in un villaggio agricolo sul pianeta Veldt arriva un'astronave da guerra comandata dall'ammiraglio dell'Impero Noble. Il tentativo di non attirare l'attenzione del crudele ammiraglio e del colonialista Impero fallisce e il villaggio sembra destinato a venire sfruttato e poi distrutto: solo la buona volontà della misteriosa Kora e dell'agronomo del villaggio Gunnar, che si mettono in viaggio per la galassia in un disperato tentativo di mettere insieme un'armata ribella, può salvare il villaggio. Ma le cose prevedibilmente sono più intricate di così.