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recensione di Antonio Pettierre
8.0/10

L’ultima fase della carriera di Denis Villeneuve si è concentrata nell’ambiziosa rielaborazione di opere letterarie e cinematografiche con una lunga e complessa storia. Dopo aver affrontato con successo quella con “Blade Runner 2049” con alle spalle il capolavoro di Ridley ScottBlade Runner” e il romanzo “Do Androids Dream of Electric Sheep?” (tradotto in italiano come “Il cacciatore di androidi”) di Philip K. Dick, il regista canadese ha sfidato un monumento della letteratura fantascientifica come “Dune” di Frank Herbert e della sua prima trasposizione cinematografica riuscita nel 1984 da David Lynch (escludiamo il tentativo mancato di Alejandro Jodorowsky).

Fonte letteraria tra rielaborazione e tradimenti

Prima di tutto, però, dobbiamo liberare il tavolo da due equivoci. Il primo è con la fonte letteraria. “Dune” è il primo romanzo di una serie di sei volumi scritti da Herbert dal 1965 al 1985 – vincitore del Premio Nebula nel ’65 e del Premio Hugo nel ’66, massime onorificenze di questo genere letterario - che narra le vicende dell’umanità spostata undicimila anni nel futuro, con la descrizione di un universo feudale dove l’evoluzione tecnologica ha avuto un percorso limitato. I viaggi spaziali sono possibili grazie alla Spezia (o Melange) che viene estratta sul pianeta desertico Arrakis e prodotta da enormi vermi delle sabbie. L’universo di Dune è retto da una triade: l’imperatore, le nobili casate, organizzate nel Landsraad (sorta di consiglio imperiale) che governano i pianeti, e dalla Gilda Spaziale che detiene il monopolio del commercio e della Spezia (o detta anche Melange). In mezzo agisce la sorellanza delle Bene Gesserit, sorta di ordine parareligioso dove le figlie delle nobili casate si addestrano ad arti del controllo mentale e determinano le linee genetiche delle famiglie aristocratiche con lo scopo di procreare il Kwisatz Haderach, un messia che può accedere nella profonda conoscenza dell’universo dove le Bene Gesserit non possono arrivare e che porterà a un nuovo futuro l’intera umanità.
Da queste elementari informazioni, si intuisce la vastità di questa opera-mondo, una cosmogonia simil-feudale, intrisa di dettagli storici, culturali, sociali e religiosi di grande complessità. E la storia si sviluppa nello scontro tra le famiglie degli Atreides e degli Harkonnen per il predominio del pianeta della Spezia. Paul, figlio del duca Leto e della concubina Bene Gesserit Lady Jessica, è il protagonista della vicenda, colui che diventerà il nuovo Messia.

Tradurre sullo schermo questo universo nella sua completezza è praticamente impossibile. Il cinema, e un autore che si definisca tale, deve operare una sintesi, deve compiere delle scelte, e il tradimento, più o meno grande, della fonte letteraria (qualsiasi essa sia, e a maggior ragione per “Dune”) è lecito e, anzi, necessario. Per gli amanti della trasposizione pedissequa della narrativa in immagini dell’intero ciclo c’è già stata l’operazione negli anni 2000 di due miniserie televisive con gli evidenti limiti artistici che essa comporta.
Villeneuve, affrontando il voluminoso romanzo capostipite del ciclo (più di seicento pagine), sceglie di portare sullo schermo la sua prima parte: la presentazione del mondo degli Atreides e degli Harkonnen con al centro Arrakis e il giovane Paul, la consapevolezza del suo destino e l’esilio con la madre presso le tribù dei Fremen, il popolo indigeno di Dune, dopo la sconfitta subita dagli Harkonnen e la morte di suo padre. La seconda e terza parte del romanzo sarà oggetto di una seconda pellicola (nella speranza che la prima abbia un successo al botteghino e rientri del favoloso costo di 165 milioni di dollari).

Dune & Dune

Il secondo equivoco è il paragone con il “Dune” di David Lynch. Opera controversa del genio del Montana (Lynch ha in parte disconosciuto il suo film), molto criticata alla sua uscita nel 1984 e un evidente insuccesso commerciale (recuperato negli anni nel mercato dell’home-video) con continue incomprensioni con il produttore Dino De Laurentiis e sua figlia Raffaella. Lynch ha seguito cronologicamente le vicende del romanzo fin dalla prima scena, operando dei tagli, in particolare nella seconda parte del romanzo, riconducendole tutte in un’unica sceneggiatura. L’autore americano ha invecchiato Paul (da adolescente a giovane uomo) focalizzandosi molto sulle cerchie familiari degli Atreides e degli Harkonnen. L’interesse di Lynch è nella potenza dei sogni e della preveggenza della Spezia, nella ricostruzione di un mondo di freak, dove è evidente lo stile pop-surrealista. Ma, pur con tutti i suoi difetti, “Dune” rimane opera profondamente lynchiana con la commistione tra sogno-realtà, mondi astrali paralleli e alternativi che si esplicitano nella forma nelle sue opere mature come “Strade perdute”, “Mullholland Drive”, “Inland Empire” e in “Twin Peaks” e già presente nella sua opera prima “Eraserhead - La mente che cancella” – così come il gusto per la deformità corporea e la macerazione della carne e della realtà sensibile.

Il “Dune” di Villeneuve si discosta completamente da Lynch creando un’opera indipendente e allo stesso tempo “altra” la cui comparazione per delegittimarlo è un esercizio alquanto sterile e fine a se stesso.
Villeneuve compie un montaggio delle vicende non strettamente cronologico rispetto al romanzo, ma anticipando o posticipando scene, tagliando spiegazioni e dettagli sui rapporti tra personaggi, sminuendo le figure dei Mentat, i computer umani al soldo delle famiglie nobiliari. Thufir Hawat per gli Atreides e Piter De Vries per gli Harkonnen sono figure totalmente secondarie (così come il dottor Yueh, medico di famiglia e traditore); Lady Jessica è profondamente attraversata dalle emozioni e dall’amore filiale; Paul è un adolescente curioso e insicuro; Duncan Idaho e Gurney Halleck, i consiglieri e comandanti militari, hanno un maggiore spazio e una psicologia più delineata. Ma, soprattutto, a Villeneuve interessa l’aspetto politico-economico e la religione diviene strumento politico per governare e per determinare la sopravvivenza degli Atreides. Così come la descrizione dei Fremen è molto più articolata e sfumata, rispetto all’opera di Lynch, con evidenti richiami e debiti alla cultura islamica e berbera.
Il regista canadese porta sullo schermo, più che la struttura narrativa del romanzo, la sua atmosfera, raffigurando un mondo, quello di Arrakis, e una realtà, quella imperiale, che metaforicamente rappresentano il sistema neocapitalista dove il controllo delle materie prime determina il controllo politico (Spezia=Petrolio), in cui le popolazioni indigene sono sottomesse e sfruttate per arricchire le famiglie imperiali (Occidente vs. Terzo Mondo).

Solennità della messa in scena e fascinazioni visive

L’operazione industriale di “Dune” è una scommessa di Villeneuve sulla sua capacità di ammaliare il pubblico. Girare un film che è alla fine dei conti un’introduzione di una storia che ha il suo sviluppo in una seconda pellicola, che vedrà la luce se la prima avrà successo, ne limita la compiutezza narrativa (con conseguente giudizio parziale). Un limite che però amplia la possibilità di creare emozioni e atmosfere attraverso l’utilizzo di un linguaggio visivo e iconografico.
In “Dune” si affrontano tutti i temi (seppur ancora non completi come abbiamo sopradetto) cari al regista: il deserto come spazio di opportunità e cambiamento (“Un 32 août sur terre” dove una coppia fa un viaggio fino a un deserto per concepire un bambino; “La donna che canta” in cui si ripresenta il deserto mediorientale come luogo di vita-morte; “Sicario” dove il deserto è un non-luogo di transizione); la frontiera fisica metafora di quella psicologica-emotiva dei personaggi (“Enemy” oltre ai già citati); l’acqua come elemento di vita (“Maelström”); lo scontro-incontro culturale (“La donna che canta”, “Arrival”); il sentimento di una religiosità tra alterità e mezzo di controllo (“Prisoners”). Anche l’evidenza di simboli: il pesce come entità psichica (“Maelström), i serpenti come energia pura tra ambivalenze come in “Prisoners”.
In “Dune” i vermi giganti di Arrakis, produttori della Spezia, strisciano come serpenti sotto il mare di sabbia. Appena visibili, si ha un incontro tra uno di loro e Paul e Jessica quando sono in fuga. Il grande verme si blocca presentando la sua grande bocca dentata e circolare (fig.1 della gallery a lato) che appare come un buco nero, una ruota, un disco che richiama il sole nella mitologia umana, espressione di vita e morte. L’immagine della bocca del verme iconograficamente la si può accostare alla tradizione medioevale pittorica come un’entrata agli inferi.

Il debito pittorico di “Dune” lo si può rintracciare, soprattutto nella pittura romantica del primo Ottocento, in particolare nelle opere di Caspar David Friedrich, da cui Villeneuve si ispira per i costumi aristocratici-militareschi degli Atreides e per l’ambiente naturale del pianeta Caladan (fig.2) dove Paul viene ripreso più volte su delle scogliere di fronte al mare con il suo lungo cappotto nero, immagine accostabile all’opera più famosa del romanticismo tedesco, “Viandante sul mare di nebbia”. La palette dei grigi, gli interni oscuri illuminati da fasci di luce ipnotizzano lo spettatore, ne rapiscono lo sguardo.
Altra ispirazione pittorica è quella tratta dalle opere del francese Eugène Delacroix, in particolare del suo periodo africano, da cui Villeneuve è influenzato per la luce e i colori (e il trucco del volto di Paul, i suoi capelli, appaiono come un clone del pittore francese). Anche le esplosioni della battaglia su Arrakis immersa in palle di fuoco ricordano le eruzioni vulcaniche soggetti di alcuni quadri di quel periodo. E poi, abbiamo ispirazioni provenienti dall’arte berbera, nella rappresentazione dei Fremen e delle donne, come per i costumi di Lady Jessica in Arrakis (fig.3).

La forza di “Dune” è data da questa fascinazione che Villeneuve infonde nelle immagini filmiche con la collaborazione fondamentale di Greig Fraser (direttore della fotografia, ad esempio, di “Zero Dark Thirty” e “Rogue One: A Star Wars Story”). Il film si trasforma in un’esperienza scopica in cui la messa in scena è costantemente solenne, non solo nelle scene di massa, ma anche negli interni. Così le inquadrature, che siano campi lunghi e lunghissimi oppure primi piani, sono sempre attraversate da una luce che esprime gli stati interiori dei personaggi o la forza degli eventi. Tanto nella composizione geometrica delle masse nei grandi spazi quanto nell’espressività compressa dei personaggi - e qui bisogna fare un plauso alla bravura nella scelta e nella direzione degli attori da parte di Villeneuve. In “Dune”, quindi, la solennità non è solo un tono, ma diventa uno stilema dell’opera filmica, un modus formale con cui descrivere un intero universo, un’intera cultura. Solennità sostenuta dalle musiche di Hans Zimmer, che mai come in questo caso crea un vero e proprio tessuto sonoro presente costantemente per la durata del film, avvolgendo le immagini, sostenendole nei momenti di climax, diventando rumore di fondo nelle situazioni più drammatiche oppure colpi pulsanti di un cuore acustico nelle scene più contemplative.


19/09/2021

Cast e credits

cast:
Timothée Chalamet, Jason Momoa, Zendaya , Dave Bautista, Charlotte Rampling, Stellan Skarsgård, Josh Brolin, Oscar Isaac, Rebecca Ferguson, Javier Bardem


regia:
Denis Villeneuve


titolo originale:
Dune: Part One


distribuzione:
Warner Bros. Picture


durata:
155'


produzione:
Legendary Pictures, Villeneuve Films, Warner Bros.


sceneggiatura:
Eric Roth, Denis Villeneuve, Jon Spaihts


fotografia:
Greig Fraser


scenografie:
Patrice Vermette


montaggio:
Joe Walker


costumi:
Bob Morgan, Jacqueline West


musiche:
Hans Zimmer


Trama
Undicimila anni nel futuro l’umanità è dispersa nei pianeti della galassia governati da un imperatore e da casate nobiliari. Su ordine dell’imperatore la famiglia Atreides deve sostituire quella degli Harkonnen, loro acerrimi nemici, nella gestione del pianeta Arrakis, detto anche Dune, unico luogo dell’universo dove si raccoglie la Spezia prodotta da enormi vermi della sabbia. La Spezia è una droga che permette i viaggi spaziali, allunga la vita e potenzia le capacità divinatorie e mentali. Il duca Leto Atreides accetta l’incarico e, con il figlio Paul, la sua amata Lady Jessica e con l'intero seguito, si trasferisce su Dune, nonostante sappia che sia tutto una complessa trappola. Poco tempo dopo aver preso possesso del pianeta, il Duca Leto è vittima di un tradimento che permette un’invasione dell’esercito degli Harkonnen con la complicità imperiale. Leto muore e Paul e sua madre Jessica, dopo una rocambolesca fuga nel deserto, trovano asilo presso le tribù dei Fremen, il popolo indigeno del deserto di Arrakis.
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