Ondacinema

recensione di Claudio Fabretti
7.0/10

Fatica a restare dritta, l'insegna di The Old Oak, unico pub di una cittadina ex mineraria nel nord-est dell’Inghilterra. Un po' come l'esistenza del suo proprietario, TJ Ballantyne, che sembra trascinarsi stancamente tra difficoltà economiche e ideali ormai sepolti. Un classico loser alla Ken Loach, abbandonato dalla moglie (poi morta) e dal figlio, e disilluso dalla fine di una lotta politica condannata alla sconfitta dalla storia, come quella dei minatori del North England. In questo scenario di ineluttabile impoverimento, in cui il lavoro latita e le case vengono vendute all’asta per una manciata di sterline, si innesta l'arrivo di un gruppo di profughi siriani, in fuga dalla guerra e dalla devastazione del loro paese. Ma a dispetto dei motti delle lotte minerarie ("Strength, Solidarity, Resistance"; "Forza, solidarietà, resistenza") e della frase che accompagna le vecchie foto del paese appese nel pub ("If we eat together, we stick together"; "Se mangiamo insieme, stiamo uniti"), la convivenza si rivelerà tutt'altro che semplice, scatenando tensioni, pulsioni razziste e amicizie tradite, in una guerra tra poveri destinata inevitabilmente a non avere vincitori.

Visto così, lo spunto narrativo dell'ultimo (forse in assoluto, purtroppo) film del regista inglese sembra sovrapponibile a quello di diverse altre pellicole incentrate sulle difficoltà di convivenza pacifica tra popolazioni residenti e nuove comunità di immigrati (solo quest'anno, "Animali selvatici" di Mungiu e, pur in un'ottica diversa, "As Bestas" di Sorogoyen). Loach, tuttavia, modella la vicenda a immagine e somiglianza del suo cinema, spostando lo scontro di classe sul piano di quella deriva sociale xenofoba dilagante in tutta Europa, alimentata da una politica cinica, che si nutre della paura della diversità per nascondere le sue manchevolezze e i suoi fallimenti (l'esempio più recente, proprio in quelle lande, è la bocciatura da parte dei giudici inglesi del piano di "deportazione" degli immigrati in Rwanda voluto dal premier Sunak, paradossalmente, figlio di immigrati egli stesso).
Assecondato dal fedele sceneggiatore Paul Laverty, Loach dà volto a quel mix esplosivo di ignoranza e ferocia a partire dalla durissima scena iniziale, in cui il pullman dei siriani viene aggredito da alcuni facinorosi, uno dei quali distrugge la macchina fotografica di Yara (Ebla Mari), la ragazza più colta e intraprendente della compagnia. Il montaggio thrilling che alterna i clic degli scatti alle urla rabbiose dei paesani suggella l'inevitabilità dello scontro, che proseguirà in modo strisciante (e non) nell'intera vicenda. Pur mantenendo il suo tradizionale approccio manicheo, tuttavia, Loach stavolta non mostra carnefici da mettere all'indice, che siano inamidati politici tories o padroni arroganti. Nella guerra tra poveri, infatti, non possono esserci veri colpevoli, se non i registi occulti di un conflitto in cui si è perduto anche l'ultimo brandello di quella solidarietà di classe che, ad esempio, teneva uniti i minatori in sciopero. Perché la povertà e il degrado inaridiscono anche i più insospettabili.

Resta allora soltanto la speranza, che è quella che anima da una vita l'indomito cineasta di Nuneaton, e che nel film assume le fattezze sgualcite e imbolsite dell'ottimo Dave Turner, già tra gli interpreti di "Sorry, We Missed You" e "I, Daniel Blake". La sua ostinazione a voler creare nel pub - unico spazio pubblico rimasto alla cittadinanza - una mensa per i più poveri ("Che c'è di male a voler aiutare delle persone in uno dei paesi più ricchi del mondo?") non è un saggio di generosità, ma un coerente atto politico - sembra suggerirci Loach - così come lo era opporsi alla politica vessatoria di Margaret Thatcher. "La speranza è una questione politica – ha spiegato il regista presentando il film - Se la gente confida di cambiare le cose va a sinistra, altrimenti è preda del cinismo, della disperazione. E passa a destra".
Forte di questa consapevolezza, il maestro inglese costruisce l'ennesima parabola sociale, che dal punto di vista stilistico non aggiunge nulla di nuovo al suo cinema militante, con quel mix di schematismo, semplicità e lucido realismo che l'ha sempre contraddistinto. Coerente, piano, ma mai sciatto. Accompagnandoci per mano in una storia lineare, forse anche didascalica a tratti – specie in alcuni dialoghi tra Yara e TJ – ma senza mai scadere nel patetismo o nella retorica.
La macchina da presa non insegue la spettacolarizzazione, non calca la mano sulla scena forte - oltre a quella del pullman, si segnala solo la violenza del video girato a scuola con il telefonino e quella dei commenti social, a rimarcare l'abisso 2.0. In alcuni casi, il regista inglese preferisce far calare un velo rispettoso, come quando non ci mostra la fine della sventurata cagnolina di TJ o lascia solo intuire gli orrori del conflitto siriano. Gioca semmai sulle metafore (il pub come centro di aggregazione e di scontro al contempo), sui simboli (il vetro divisorio del pullman, la parete che separa le due stanze del pub, la spiaggia come approdo di fuga e ancora di salvezza). E aggiunge per l'occasione un insolito finale, quasi onirico, che pare stridere con l'andamento della storia, ma suona, forse anche per questo, commovente, come un titanico tentativo di opporsi al corso naturale degli eventi. Ostinato e resistente alle (in)temperie attuali. Proprio come la vecchia quercia del titolo, che in fondo altri non è che lui, l'ottantasettenne Kenneth Charles Loach, regista e attivista politico in servizio permanente da una vita.


19/11/2023

Cast e credits

cast:
Dave Turner, Ebla Mari, Claire Rodgerson, Trevor Fox, Chris McGlade, Col Tait, Jordan Louis


regia:
Ken Loach


titolo originale:
The Old Oak


distribuzione:
Lucky Red


durata:
113'


produzione:
StudioCanal UK, Sixteen Films, Why Not Productions, Bbc Films, Les Films du Fleuve


sceneggiatura:
Paul Laverty


fotografia:
Robbie Ryan


scenografie:
Fergus Clegg


montaggio:
Jonathan Morris


costumi:
Jo Slater


musiche:
George Fenton


Trama
The Old Oak è l'ultimo pub rimasto in un paesino ex minerario del North England. Il proprietario, TJ Ballantyne, riesce a mantenerlo a stento e la situazione si fa ancora più precaria dopo l'arrivo dei rifugiati siriani trasferiti nel villaggio. Ma TJ prova a cambiare le cose, grazie anche all'amicizia con una giovane siriana, Yara