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recensione di Davide Spinelli
8.0/10

I traditori

Del quarto episodio – al pari del terzo, il migliore della serie – resta un interrogativo: chi è "Il traditore"? Il discorso iniziato con Buscetta non è concluso, il tema del tradimento è inesauribile, bulimico: traditore rispetto a chi, a che cosa, allo stato, alla mafia, alle Br, ai figli? Adriana Faranda (Daniela Marra) e Valerio Morucci (Gabriel Montesi) discutono, in fondo, di questo. Eseguono – "siamo un esercito" - ma per primi intravedono l'errore dei compagni, l'atto rivoluzionario non è (sarebbe) uccidere Moro, ma liberarlo, lasciare che si confronti con gli amici che l'hanno abbandonato. Bellocchio amplifica la voce di Chiara di "Buongiorno, notte" - dare voce ai brigatisti, a Buscetta è sovversivo. Viene in mente il secondo romanzo di Svevo, "Senilità", in cui parlano tutti, nessuno dice la verità: in "Esterno notte" sono tutti traditori.

Faranda sogghigna dopo aver sparato al professore di economia della Sapienza, si commuove vedendo in tv i funerali degli agenti della scorta di Moro, lascia che la passione per Morucci prenda il sopravvento, ma prima mette al sicuro le pistole, sull'altarino dedicato alla compagna uccisa; ci tiene che la figlia Alexandra non sappia che lei e Morucci vivono insieme. "Ribaltare la psicoanalisi in polifonia", si scriveva in "Esterno notte. Parte I", l'analisi in confronto, l'oggetto in soggetto, l'apologia in didattica – "È vera?", chiede Alexandra a Faranda quando trova sotto al letto la pistola di Morucci. Chiediamoci lo stesso.
La storia la scrivono i vincitori, ma qui non ce ne sono. Bellocchio lo fa dire a Morucci: "Pensi davvero che vinceremo? La mia vera passione è trasgredire", l'azione-non azione, la rimestatura prediletta del motto gattopardiano, italiano (?). Ma la trasgressione è iterativa, è un "caso culturale" direbbe Eco[1], che richiede regole culturali; le Br sparando a Moro hanno sparato all'orizzonte, al mare di Sabaudia, in una sequenza che ricorda "Gomorra", pensando di colpire tutto, hanno preso niente. Qui, forse, la drammaticità del terzo episodio: erano le Br ad aver in mano le sorti dell'agognata rivoluzione.

Sei personaggi d'autore

La narratologia dei personaggi di "Esterno notte" è il vero capolavoro di Bellocchio – in "Buongiorno, notte" i personaggi dei brigatisti, Chiara compresa, erano, forse, troppo caricaturali, esasperatamente ideologici. In "Esterno notte" abbiamo (almeno) sei personaggi principali: Cossiga (Fausto Russo Alesi), Moro (Fabrizio Gifuni), Eleonora Moro (Margherita Buy), Paolo VI (Toni Servillo) e i già detti Faranda e Morucci. Certo, "Esterno notte" è una serie, ma sembra un lungometraggio. La ragione è la seguente. Quando la vicenda ha al centro un caso di cronaca (e il caso Moro è, al midollo, un caso di cronaca nera), la serializzazione della narrazione si nutre e alimenta l'agnizione decisiva, ma in questo caso, la conclusione è nota, tant'è che la prolessi fittizia del Moro-salvato è ripetuta; ciò determina un ribaltamento diacronico, la variazione del tempo (narrativo) è verticale, non lineare – la dilatazione di cui si accennava in "Esterno notte. Parte I". Alla prolessi si lega l'utilizzo esteso dell'analessi: torniamo dove siamo già stati, ma ora con gli occhi dei brigatisti, ora con quelli di Moro. La narratologia è omogenea (il magma tematico n.[2]), la struttura monologhista alla Woolf[3], come si è scritto, c'entra poco e niente: le sfere d'azione e le funzioni[4] dei personaggi sono prima di tutto strutturali, pensanti; racconto corale e non soliloquio, anche nei momenti in cui sembra prevalere il secondo, come nell'episodio dedicato a Cossiga. Il primo e l'ultimo episodio fungono da cordone narrativo, non c'è alcun protagonista esplicito, ed eccoci dove siamo partiti, ovvero da "Buongiorno, notte", dalla prigione del popolo (ci torniamo).

È stato scritto ed è così: la prova di Fausto Russo Alesi è da applausi. Nel personaggio di Cossiga si concentra la potenza del cinema di Bellocchio: evocativo, politico, intimo, cioè che è dentro, in-tumus. Una caratterizzazione shakesperiana - le macchie sulla pelle, le allucinazioni - parodistica - il confronto con l'agente americano, l'accento inglese impostato, l'installazione di una sala radio sotterranea che sembra la caricatura di una centrale nucleare. "Ciclotimico", lo definisce Moro.
Rischiosa (ma premiata) la scelta di Toni Servillo per Paolo VI; struggente la sequenza in cui chiede aiuto al monsignore per scrivere la lettera ai brigatisti. Rischiosissima la caratterizzazione di Andreotti[5] (Fabrizio Contri), che come ogni Andreotti presente o futuro del cinema fa i conti con "Il divo". Bellocchio lo relega ai margini, gli dà poche battute, è complice con Moro, assegna sottosegretari e viceministri. E vomita, corre in bagno, si sporca il vestito, quando sa del rapimento. È caricaturale, Contri, una maschera.

Margherita Buy è intermittente, sa cosa le aspetta prima che accada, invita alla calma, è aggressiva, ma si pente, e chiede scusa a un brigatista – Sciascia ne racconta incredulo[6]. Lo sguardo è quello della seconda metà di "Giorni e nuvole", rassegnato ma irriducibile, la posa di una sovrana. In Eleonora Moro, Bellocchio fa implodere "Esterno notte"; l'implosione di una democristiana, come ribadisce a Zaccagnini. Il personaggio di sottrazione della serie, che rallenta la narrazione dei e nei fatti, quasi che si sentisse in colpa che la prigionia le facesse riscoprire il Moro di quando si sono conosciuti, amorevole, devoto. Eleonora lo dice all'inizio: "Io non mi sento amata, padre". Ancora una volta, come per Faranda e Morucci, Bellocchio resta anassiologico.

Fuga di gas

Si è scritto – quasi ovunque – che "Esterno notte" umanizza l'affaire Moro, cioè, lo destoricizza: i personaggi storici sono ritratti nella loro quotidianità, nella gestualità e nella prossemica – potenzialmente – di ognuno di noi. E la dimensione sociologica e sociale dell'operazione Bellocchio sembra essere onnicomprensiva, ma, al contempo, c'è la sensazione che non si voglia fare i conti con un (se non IL) tema della serie: un grande rimosso (tanto più del Cristianesimo), la morte. Che – ontologicamente – teleologizza ogni forma di sopravvivenza, angoscia, empatia. La scelta di Bellocchio di dedicare un flashback a Moro e famiglia che a Torrita Tiberina visitano la loro tomba di famiglia non può passare inosservata – "a queste cose bisogna pensarci prima", dice il presidente della Dc.
"Esterno notte" ribolle di una morte anticristiana, attaccatissima alla fisicità; il corpo cristiano risorto è il corpo "punto zero del mondo[7]", transeunte, che scorre nelle acque del fiume in cui Faranda sogna il corpo senza vita di Moro. La confessione dalla prigione del popolo, nell'ultimo episodio, è un discorso di morte: se al posto suo ci fossero i compagni di partito, Andreotti, Cossiga, Zaccagnini, non gli dispiacerebbe, lo ammette (Moro), li odia; "che c'è di folle, nel non voler morire?", chiede al prete. La propulsione metamorfica della morte è inesorabile, il linguaggio muta, bulica dei "sintomi" che indica Pasolini nel famoso articolo pubblicato sul Corriere nel 1957, "Sulla scomparsa delle lucciole".

Santissima trinità

"Esterno notte" si apre con la prolessi del Moro-salvato e si chiude allo stesso modo. È una scelta curiosa: la seconda prolessi è identica alla prima, non una battuta di più, non un'inquadratura differente. La narrazione controfattuale non è un escamotage sensazionalistico, ma la spia del linguaggio narrativo di "Esterno notte": multiprospettico[8], in cui il regime oggettivo e soggettivo si rincorrono. La famiglia è il caleidoscopo della serie, politica – Moro padre putativo della trinità Cossiga-Andreotti-Zaccagnini - domestica. L'idea è di Moravia: "In Italia la famiglia spiega tutto, giustifica tutto[9]". E in "Esterno notte" è l'illusorio gradiente d'appartenenza, a favore di una dimensione olofrastica del singolo. L'urlo del giovane al funerale – "questa è la vostra guerra, non la nostra" – ricorda la voce disperata della donna al funerale di Borsellino, "loro non cambiano". Il caso Moro è "un punto d'accumulazione[10]", la cui gravità ha fagocitato personaggi, contesto, prolusione.

 

[1] U. Eco, Kant e l'ornitorinco, Bompiani (1997), p. 139.

[2] Cfr. "Esterno notte. Parte I"

[3] in Le onde.

[4] Cfr. V. Proop, Morfologia della fiaba, Einaudi (2000).

[5] La famiglia Andreotti ha criticato aspramente la serie, come a sua volta fece Andreotti stesso con "Il divo" di Sorrentino, definendolo "una mascalzonata".

[6] In L'affaire moro, Adelphi (1994).

[7] M. Foucault, Utopie. Eterotopie, Cronotopio (2006), p.31.

[8] Cfr. G. Ferraro, Teorie della narrazione, Carroci (2020), p. 91. 

[9] L. Sciascia, L'affaire Moro, Adelphi (1994), p.121.

[10] Vedi 2.


09/06/2022

Cast e credits

cast:
Margherita Buy, Toni Servillo, Fausto Russo Alesi, Daniela Marra, Fabrizio Contri, Pier Giorgio Bellocchio, Fabrizio Gifuni


regia:
Marco Bellocchio


distribuzione:
Lucky Red


durata:
300'


produzione:
The Apartment, Kavac Film, Rai Fiction, Arte France Cinéma


sceneggiatura:
Marco Bellocchio, Stefano Bises, Ludovica Rampoldi, Davide Serino


fotografia:
Francesco Di Giacomo


scenografie:
Andrea Castorina


montaggio:
Francesca Calvelli


costumi:
Daria Calvelli


musiche:
Fabio Massimo Capogrosso


Trama
Il 16 marzo 1978, Aldo Moro, presidente della DC, viene rapito da un commando armato delle Brigate Rosse in via Mario Fani a Roma, mentre il nuovo governo presieduto da Giulio Andreotti si presenta alla camera per ottenere la fiducia.