Ondacinema

recensione di Domenico Ippolito
5.5/10

Dopo l'exploit di Elio Germano, premiato con l'Orso d'argento alla settantesima edizione della Berlinale, il quarto film di Giorgio Diritti "Volevo nascondermi" torna nelle sale italiane: è un biopic sulla burrascosa vita del pittore e scultore naïf Antonio Ligabue (1899-1965). Si può sicuramente affermare che il racconto dell'uomo Ligabue poteva sposarsi bene col cinema rigoroso di Diritti ma il risultato è un film con diverse lacune. Straordinaria, però, la prova di Germano: l'attore romano riproduce un personalissimo calco, intimista, mai macchiettistico, della figura di Ligabue, integrandone le difficoltà di espressione e quelle fisiche con una recitazione da applausi.

Diritti, insieme alla sceneggiatrice Tania Pedroni (la quale aveva firmato anche "L’uomo che verrà" e "Un giorno devi andare"), punta sulla rappresentazione dell'alterità di Ligabue, sin dalla sua infanzia. Cresciuto in Svizzera, rifiutato dalla famiglia di origine, dopo un'adolescenza tumultuosa verrà espulso e costretto a tornare in Italia, in provincia di Reggio Emilia, dove conduce una vita errabonda, dormendo all'addiaccio o in case di fortuna, cercando il cibo a quattro zampe come una bestia. Uno straniero al quadrato, Ligabue: italiano in Svizzera, definito "tedesco" nel nostro Paese, l’uomo mostra varie insofferenze fisiche e caratteriali, si ferisce continuamente alle tempie e al naso, "per far uscire il male", spiegherà, e viene internato più volte in cliniche per malati mentali. L'unico sollievo sembra essere il disegno e l’amore sconfinato per la natura, in particolare per gli animali, con i quali entra in un vero e proprio rapporto di simbiosi, fino a imitarne le gesta e i versi, trasferendo tutto ciò nelle sue opere scultoree e pittoriche. Grazie alle sue creazioni, viene notato dall’artista Marino Mazzacurati, che riesce a dargli un alloggio stabile e a far conoscere i suoi quadri.

In "Volevo nascondermi" è riuscita la riproposizione dei luoghi di Ligabue, la provincia emiliana, le campagne gonfie di luce, che sono assimilate nel cinema di Diritti grazie al lavoro sulla fotografia di Matteo Cocco, abile nel produrre la stessa saturazione del Ligabue artista ma anche a lavorare di sottrazione, con cupezza, quando i momenti drammaturgicamente più incisivi lo richiedono.

Proprio come Ligabue, che "impazzisce" e distrugge le sue opere ogni volta che non vengono apprezzate (e capiterà spesso), non conoscendo compromessi e definendosi più volte, con orgoglio, "artista", anche Diritti ripropone i suoi marchi di fabbrica senza smussamenti, come la recitazione nel dialetto locale. La pellicola non cede di un millimetro alla possibilità di spettacolarizzare la vita di Ligabue, oppure di voler costruire un film a tesi, di farne un martire per le sue disgrazie, né un genio. L’unica traccia narrativa solida è però anche quella più scontata, cioè la presentazione dell’irrisolto rapporto tra Ligabue e la madre, che sembra costituire la spina dorsale che attraverserà tutto il film, poiché influenzerà i goffi tentativi dell'artista, compiuti in età ormai matura, di avvicinarsi all’altro sesso. Inoltre, l'integrazione di Ligabue nel contesto provinciale emiliano si compie per gradi, anzi non avviene mai del tutto né completamente, perché resta fortissima la percezione di individuo "altro" rispetto al mondo circostante, che però è la forza del personaggio e della sua storia. Un tema, quello della migrazione, dell'accoglienza, della diffidenza di una comunità, su cui Diritti ricostruisce il centro del suo cinema, presente fin dall’esordio "Il vento fa il suo giro". Per il resto, il film si accontenta di seguire la ricostruzione della vita dell’artista, e non lascia mai il campo a scene madri o riletture forzate. Però a mancare in "Volevo nascondermi" è proprio l’arte di Ligabue, e ciò non giova all’economia del film, poiché vediamo davvero poco le opere e la loro realizzazione: sembra quasi che Diritti si sia innamorato troppo della storia di questo uomo, che sente come sua, affine alla sua poetica, ma non sia riuscito a entrare nella sua arte. Infatti, a parte alcuni momenti, i quadri non ci vengono mostrati nella loro sensazionale forza espressiva, nei particolari dei grumi di colore, nella prorompente sensualità naturale, che intravediamo purtroppo solo durante i titoli di coda.  


22/02/2020

Cast e credits

cast:
Elio Germano, Pietro Traldi, Orietta Notari, Andrea Gherpielli


regia:
Giorgio Diritti


distribuzione:
01 Distribution


durata:
118'


produzione:
Palomar, Rai Cinema


sceneggiatura:
Tania Pedroni, Giorgio Diritti


fotografia:
Matteo Cocco


scenografie:
Ludovica Ferrario, Alessandra Mura


montaggio:
Paolo Cottignola, Giorgio Diritti


costumi:
Ursula Patzak


musiche:
Marco Biscarini, Daniele Furlati


Trama
La vita e le opera di Antonio Ligabue, pittore e scultore italiano che ha vissuto un'esistenza tormentata ed errabonda: cresciuto in Svizzera ma costretto ad abbandonarla durante l'adolescenza, vivrà nella provincia emiliana, tra mille tormenti fisici e psichici, trovando sfogo nelle sue opere e in una notorietà e seguito che dura tuttora.