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”Obi-Wan Kenobi“, serie diretta da Deborah Chow, si pone al di là di un segno. Questo segno, un solco tracciato da George Lucas con ”Episodio III La vendetta dei sith“, concludeva Star Wars nel 2005 e sanciva, anzi aggiornava, il posto della saga nella storia del cinema, della fantascienza e dell’epica fantascientifica dopo quasi trent’anni dal primo film. Superato questo solco, molte opere dell’universo Star Wars, ”Obi-Wan Kenobi“ incluso, sembrano tentativi, esiti tardivi e realizzati a ogni costo.

”Non sei più un jedi, Obi-Wan, sei solo un uomo“

Il cavaliere, dopo l’Ordine 66 e il massacro dei Jedi, si è nascosto sul pianeta Tatooine. Per un qualunque eroe la distruzione del proprio mondo, sia essa totale o metaforica, innesca un viaggio. In narratologia è una delle più comuni coordinate di partenza o, secondo Chris Vogler e il suo ”Viaggio dell’eroe“, una costante: l’orizzonte del protagonista, fisico o figurativo, muta; di conseguenza compito dell’eroe è ripristinare l’equilibrio del mondo oppure cercarne uno nuovo.
Lo sguardo di Obi-Wan, al suo apparire in scena, è fisso sul nastro trasportatore della fabbrica di carne. Un cenno di colonna sonora, come un pizzico, induce un fremito che diventa subito malinconia. Il protagonista è un uomo comune, affranto, indifferente ai destini della galassia. A fine turno il caporeparto maltratta un altro lavoratore e l’ex cavaliere resta a guardare; qualsiasi bagliore di passione, più una reminiscenza dello spettatore che non un’intenzione attoriale, svanisce in un secondo, è adesso un ricordo, un sussulto di nostalgia e pietà. Non c’è traccia dell’audacia del generale Kenobi, eredità del maestro Qui Gon, né del peculiare sarcasmo; resta solo l’espressione pensierosa che lo distingueva nella ”Vendetta dei sith“.


Il dramma di un cavaliere

Ewan McGregor, a diciassette anni dall’ultima interpretazione del Jedi, sceglie un nuovo volto per il suo personaggio e, anziché rievocarne modi e tratti tipici, lo reinventa con prudenza. L’ex guardiano della Repubblica non è ancora l’eremita mistico di ”Episodio IV Una nuova speranza“ ma ha già assunto il nome di Ben. Nasconde la sua identità, mentre gli inquisitori – cacciatori di Jedi superstiti – atterrano su Tatooine. Ben, nascosto, nel vicolo, osserva i Sith minacciare gli abitanti della città: non difende i deboli né muove un passo. La sua cautela è a un passo dalla viltà. Non teme per la propria vita, piuttosto prova vergogna, vergogna per il suo fallimento come cavaliere e, soprattutto, come mentore di Anakin. Nell’universo espanso di Star Wars, un Jedi esposto a un trauma perde la connessione con la Forza. Nel caso di Obi-Wan, invece, c’è altro; i suoi dubbi inducono la paralisi e la paura di usare i propri poteri; è la crisi dell’eroe.
Poi il rapimento di Leia lo convince a partire. All’imbarco dello shuttle, al termine del primo episodio, Kenobi ancora tentenna e il suo esitare non è retorico: per un attimo parrebbe rinunciare alla missione. Fin qui la quasi assenza di azione fa ben sperare, si è portati a credere che gli autori abbiano puntato sul conflitto interiore del personaggio. Ma, a partire dalla puntata seguente, tutte le buone premesse cadono e la discreta interpretazione di McGregor, purtroppo, viene svalutata da una scrittura grossolana. Pure l’analessi e le sequenze di addestramento di Anakin, nei ricordi del protagonista immersi in una luce miracolosa da studio Mediaset, pesano poco.
In sei episodi si poteva trattare molto di più. La serialità è la forma drammaturgica ideale per arricchire il viaggio dell’eroe con sfumature, dettagli, nodi vecchi e nuovi. Così accade, per esempio, in ”Book of Boba Fett“, dove lo sviluppo dell’intreccio dipende dal suo riavvolgimento, dove le vicende del protagonista sono rette e spiegate dai flashback. L’opera di Deborah Chow, invece, sciupa quasi tutte le possibilità.


Un’avventura avvitata su sé stessa

La struttura di ”Obi-Wan Kenobi“ è ripetitiva e insieme ingessata: in sei episodi, Leila bambina viene rapita e salvata tre volte, ripetendo la stessa dinamica in tre puntate di fila; quando l’Impero minaccia i ribelli, pur di offrire un vantaggio agli alleati, il Jedi sceglie il proprio sacrificio per due volte e in due puntate consecutive. C’è questo vizio di creare un’aspettativa a ogni costo, di chiudere sempre con un cliffhanger. Talvolta complicazione e risoluzione, cattura e salvataggio, tradimento e punizione, crisi e sacrificio si concatenano dentro a uno stesso episodio. È il sentimento del tempo, l’adeguamento del linguaggio a un pubblico sempre più svogliato, o sono forse gli autori ad avere una bassa opinione degli spettatori?
Il peso narrativo dei personaggi e delle forze in campo avrebbe permesso una buona riuscita della trama, sia pure con una fabula carente, ma gli autori, tanti, hanno banalizzato la storia. Ciascun episodio ha una sua trama e trascura la vicenda complessiva, manca il respiro lungo. L’entrata di personaggi nuovi, validi, come la Seconda sorella, la piccola Leia o Tala (Indira Varma, la sorella-amante di Oberyn nel ”Trono di spade“) sfoca il senso dell’opera, la promessa del titolo e le impressioni del primo episodio, ovvero i trascorsi avventurosi e psicologici di uno degli eroi più iconici della saga, nella stagione più drammatica della galassia. Leia bambina, per quanto vincolata al cliché della piccola ribelle, resta un elemento di novità; la decenne Vivien Lyra Blair, attrice (e secondo Imdb.com, ”produttrice“) recita con la sicurezza di un’adulta. Eppure il suo legame con il jedi non è sufficiente a costruire una trama.
Accanto al salvataggio di Leia, dentro a questa struttura sensazionalistica, c’è un secondo crescendo, ragionato, l’unico vero collante tra le puntate. Il momento topico, lo scontro agognato in cui Obi-Wan affronta il suo allievo caduto, e così la propria crisi, potrebbe avvenire a metà serie, ma astutamente gli autori lo posticipano, generando aspettativa, questa volta con criterio. Un primo incontro, al termine del quale il Jedi fugge, è immerso nella tenebra e rischiarato soltanto dai colori delle spade laser. Obi-Wan lo teme, cerca la fuga. Nel frattempo la Seconda sorella insegue Leia. L’accostamento in parallelo di scene di tensione era una cifra della saga (Qui Gon e Obi-Wan contro Maul e la sparatoria tra membri della guardia di Naboo, Obi-Wan e Anakin contro Dooku e Padme in corsa sullo speeder, Obi-Wan contro Anakin e Yoda contro Sidious). Qui però il ritmo e il peso stesso delle sequenze sono scarsi: il tentativo di Leia di fuggire non bilancia la suspense dello scontro tra maestro ed ex apprendista. Ammorbidisce lo scarto la colonna sonora drammatica di Natalie Holt, seppure molto simile al ”Cavaliere oscuro risorge“ di Hans Zimmer.


”Il tempo dei Jedi è finito“

Quanto a lungo è possibile sfruttare un capitale epico? Cosa accade, anzi, se l’epica diventa capitale? Obi-Wan, nel primo episodio, sostiene con indifferenza che il tempo dei jedi è finito. Dietro questo alibi c’è il grande dramma morale e politico al termine di ”Episodio III“: la Repubblica da difendere è diventata l’Impero da combattere. Il golpe segreto dei Sith ha mostrato ai guardiani (e soldati) della pace quanto fosse aleatorio il loro sistema governativo, un tempo definitivo e immutabile, adesso sepolto ”sotto scroscianti applausi“ (Padme). Quanto accade in Star Wars è la perfetta realizzazione di una distopia, di un mondo sovvertito (e vertĕre è, al contempo, rivoltare, trasformare e distruggere). La saga, nel 2005, raggiungeva il culmine della tragedia e, per quanto le ultime sequenze, con i gemelli Skywalker in fasce, preludessero alla speranza e alla resistenza antimperiale, lo spettatore lasciava la sala cinematografica con lo shock di chi si alza dal letto dopo un incubo (peggio, un incubo ammantato di sogno). Alla negazione del lieto fine, lo spettatore, conscio che tutto era giunto al termine, cercava sollievo figurando le scene della vecchia trilogia e la vittoria del lato chiaro sul lato oscuro (la stessa circolarità, cioè l’alternanza bene-male e Jedi-Sith che contraddistingue l’universo di George Lucas). Questo era l’epilogo di "Guerre stellari". Non restava che la visione dei primi episodi, in copia analogica o digitale, in un tempo, in una galassia lontana, in cui non esistevano le piattaforme e la nostalgia era ancora un sentimento praticabile.


Una galassia troppo lontana

Adesso Obi-Wan, un po’ come il mostro di Frankeinstein, è stato riportato in vita contro la sua volontà e ficcato a forza nei tempi e nei modi della produzione seriale. E non è il solo. Altri personaggi canonici, pochi anni prima, sono stati resuscitati e adattati alle esigenze commerciali di Disney+, per esempio nella seconda stagione di ”The Mandalorian“ e in ”Book of Boba Fett“; qui si ha la sensazione, però, di un prestito: tanto i camei quanto il cacciatore di taglie della seconda opera sono reinventati e inseriti in un arco narrativo rispettoso e credibile, a tratti intrigante. Sono due eccezioni in una filiera di puro consumo, inaugurata dalla terza e goffa trilogia diretta da J.J. Abrams.
La serie di Deborah Chow soffre della stessa frivolezza. Con il passaggio alla Walt Disney Company, che nel 2012 comprava la Lucasfilm per 4 miliardi di dollari, l’universo di Guerre stellari, già fonte d’ispirazione per ogni sorta di media, viene spremuto. Il brand era già stato fondato e commercializzato da George Lucas, ma la compagnia di Mickey Mouse vorrebbe trarne un profitto esasperato. Nonostante i tentativi di estendere la saga, di emulare la tradizione, l’interruzione è evidente; il canone, il suo clima, si è perso e il ritorno in scena di attori e personaggi, spade di luce e pistole blaster non è sufficiente a ricreare l’esaltazione dell’originale. Anzi, è proprio nel tentativo di imitare l’originale che le debolezze vengono a nudo (con il finale di Episodio IX, per esempio).
”Obi-Wan Kenobi“ sintetizza tutti questi errori. Il turbamento del protagonista non riguarda solo il giuramento tradito: Obi-Wan dubita pure del suo scopo drammaturgico, quindici anni dopo. Il cavaliere, infine, ritroverà il coraggio d’impugnare la spada e sentire la Forza. Lo scontro finale in sé è godibile e adeguato alla tensione epica dell’intera saga. Tuttavia, come conseguenza, forse, di tutte le considerazioni poste fin qui, il momento tanto atteso, questo scontro finale, non sarebbe mai dovuto avvenire.

Obi-Wan Kenobi
Informazioni

titolo:
Obi-Wan Kenobi

titolo originale:
Obi-Wan Kenobi

canale originale:
Disney+

creatore:
Deborah Chow

produttori esecutivi:
Deborah Chow, Joby Harold, Kathleen Kennedy, Ewan McGregor, Michelle Rejwan, Jason McGatlin

cast:

Ewan McGregor, Moses Ingram, Vivien Lyra Blair, Hayden Christensen, Sung Kang, Rupert Friend, James Earl Jones, Rya Kihlstedt, Joel Edgerton

anni:
2022