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recensione di Vincenzo Chieppa

"E allora sei il testimone auricolare di un assassinio. Mi piace, suona bene.

Paranoia Avenue 

Ancora agli inizi degli anni Ottanta, il clima di paranoia politica e di ossessione per i complotti che aveva segnato gli Stati Uniti del post-Dallas non si era minimamente dissolto. E lo dimostra "Blow Out", uno dei lavori più importanti di Brian De Palma [1], un film che, nonostante sia uscito nel 1981 – dunque successivamente all’anno cui si fa convenzionalmente risalire la fine della New Hollywood, il 1980 del fallimento de "I cancelli del cielo" –, è ancora fortemente legato a tale corrente e alle sue istanze, soprattutto per i contenuti, innestandosi di fatto nel filone paranoico del movimento, quello di cui era stato maestro assoluto, negli anni Settanta, un regista come Alan J. Pakula. 
"Blow Out" è talmente ammantato da quelle atmosfere, che J. Hoberman lo ha definito "l’ultimo film degli anni Sessanta", invecchiandolo di oltre un decennio [2]. Ma in realtà "Blow Out" è un film saldamente innestato, per stile e contenuti, in quegli anni Ottanta in cui apparve sul grande schermo, prodotto e girato sull’onda del successo ottenuto da "Dressed to Kill". Non avrà, tuttavia, la stessa fortuna del predecessore (si può dire anzi, senza mezzi termini, che fu un vero e proprio flop commerciale), tanto che, per tornare a dirigere, De Palma dovrà abbracciare un progetto non suo, quello di "Scarface". Ed è proprio in tale circostanza che andrebbe ravvisato il – tardivo – tramonto dell’esperienza della Hollywood Renaissance per quello che era stato uno dei suoi principali esponenti. 

Tutta la generazione della New Hollywood fu segnata dagli omicidi dei fratelli Kennedy - e da quello di JFK in particolare - ma probabilmente nessuno di quegli autori lo fu come De Palma, che ha costruito sugli assilli di quella vicenda alcuni tratti caratteristici della sua poetica. 
Già in "Greetings" il regista di Newark aveva inserito un personaggio ossessionato dall’assassinio di Dallas, che cercava di mostrare alla sua ragazza, attraverso delle foto ingrandite, la presenza di un altro killer sulla famigerata "grassy knoll", la collinetta erbosa della Dealey Plaza. 
Ma c’è ovviamente molto di più di alcune citazioni e suggestioni. La stessa predilezione di De Palma per il thriller, la sua idea del cinema come voyeurismo (tutto il cinema di De Palma è un cinema dello sguardo, ma in particolare lo è sotto un profilo strettamente voyeuristico) e il collegamento tra tale aspetto e il genere principalmente utilizzato dal regista per i suoi film (il thriller, per l’appunto [3]), sono tre fattori che se, da un lato, richiamano alcuni grandi autori delle generazioni precedenti (in primis, ovviamente, Alfred Hitchcock, maestro dichiarato di De Palma), di contro possono anche essere letti come l’eredità - esplicita o inconscia - del "fattore Zapruder", dal nome del sarto (non a caso citato in "Blow Out") che aveva involontariamente filmato l’omicidio di Dallas. Un video che aveva sconvolto il mondo intero e che costituiva anche uno dei principali elementi di indagine della Commissione Warren, chiamata a investigare sull’assassinio di JFK. 

In molti suoi film De Palma ha usato espedienti voyeuristici o meta-cinematografici per indagare su - o per rappresentare - un crimine (si pensi, soprattutto, a "Murder à la Mod" o a "Body Double"). In "Blow Out", tuttavia, tale idea raggiunge probabilmente il suo apice, sebbene – anche sotto questo profilo – siano ravvisabili soggetti molto simili in almeno due opere dei decenni precedenti: il "Blow-Up" di Antonioni (di cui, non a caso, viene richiamato il titolo [4]) e "La conversazione" di Francis Ford Coppola (che a sua volta al film di Antonioni si rifaceva con alcune citazioni esplicite). Ed è sicuramente curioso che con "Blow Out" la New Hollywood arrivi a citare se stessa (per l’appunto il Coppola di "The Conversation") in mezzo ad una selva di più ricorrenti auto-citazioni che i registi facevano delle proprie opere. Con De Palma, peraltro, non si sa mai bene quando inizi il citazionismo e quando finisca il manierismo, anche se nelle sue opere il secondo sembra sempre prevalere rispetto al primo. 

In "Blow Out", ad ogni modo, ai fatti di Dallas che hanno dato origine a quel peculiare clima di paranoia (anche) audio-visiva che più sopra si è definito "fattore Zapruder", si va ad affiancare anche un altro avvenimento di fine anni Sessanta, che coinvolse il più giovane dei fratelli Kennedy, Ted. Si tratta del famigerato (anche se noto più che altro negli Stati Uniti) incidente di Chappaquiddick, a cui si ispira in modo evidente - sebbene solo in parte - la sceneggiatura, scritta dallo stesso De Palma. Con la differenza che a morire nell’isola vicino a Martha’s Vineyard fu la ragazza anziché il (probabile) futuro candidato alla presidenza Ted Kennedy [5]
In "Blow Out" avviene il contrario (a morire è infatti il Governatore McRyan), e viene aggiunto altresì l’ingrediente del complotto, assente nell’affaire Chappaquiddick e che richiama, pertanto, le ipotesi cospirative alla base degli omicidi di John e Bob Kennedy.

"Blow Out" è dunque, volendo tentare una prima sintesi - per quanto schematica - almeno dal punto di vista dei contenuti politico-narrativi, un intreccio tra i fatti di Dallas e quelli di Chappaquiddick, con un richiamo ovviamente anche allo scandalo Watergate (quest’ultimo sicuramente rievocato in maniera più incisiva in "The Conversation", ma anche De Palma vi accenna ampiamente, alludendo alle operazioni clandestine che caratterizzarono la presidenza Nixon) [6]

The Sound of Murder (ovvero: immagine e suono - immagine vs. suono) 

Il puzzle di citazioni storico-cinematografiche si compone dunque in maniera evidente: il soggetto di "Blow Out", ossia la ricostruzione di una presunta cospirazione omicida tramite suoni e immagini, non è nient’altro che l’intreccio tra l’indagine della Commissione Warren (che – anche, ma non soltanto – tramite il filmato di Zapruder aveva indagato sull’assassinio di J.F.K.), l’incidente di Ted Kennedy a Chappaquiddick, un pizzico di Watergate e i citati film di Antonioni e Coppola. Questi ultimi due, in particolare, vengono idealmente amalgamati da De Palma, dato che essi trattavano soltanto, rispettivamente, della ricostruzione fotografica e di quella sonora (in "The Conversation" la componente fotografica è assolutamente marginale) di un omicidio, effettivo o soltanto possibile. De Palma, invece, unisce questi due componenti fondamentali, immagine e suono, dando piena dignità cinematografica alla sua idea. 
E se infatti, in un primo momento, potrebbe sembrare che in "Blow Out" De Palma abbia accantonato la sua proverbiale tendenza scopofiliaca, la sua tradizionale attenzione-ossessione nei confronti dello sguardo, per spostarla sul sonoro, col procedere della narrazione emerge come in realtà il regista abbia soltanto delegato la raccolta dell’elemento-immagine ad un personaggio secondario, il complice di Sally, che, coinvolto nel complotto, filma l’incidente (esattamente come Zapruder, che tuttavia non era coinvolto in alcun modo nell’omicidio JFK). 
Per ricomporre il quadro dell’accaduto, Jack monta insieme audio e video, dopo aver ricostruito quest’ultimo con il passo uno, partendo da alcune foto pubblicate dalla stampa (come del resto era avvenuto per il filmato di Zapruder, del quale erano stati pubblicati alcuni frame su Life). E sono sequenze in cui qualunque cinefilo che si rispetti non può che crogiolarsi (c’è pure un richiamo al precinema, quando il protagonista fa scorrere tra le dita le foto ritagliate), anche se la loro ragion d’essere va ovviamente oltre quella – puramente formale – del sollucchero tecnico: De Palma vuole rappresentare la complementarietà dei due mezzi, la loro intima connessione. 

Eppure - e ciò nonostante - è innegabile come De Palma scelga di porre l’accento sull’elemento sonoro, affidandone il controllo al protagonista, che nella sequenza del campionamento assume – non a caso – le sembianze di un prestigiatore (muovendo il microfono come una bacchetta magica), ma anche quelle di un direttore d’orchestra. Una scelta che riveste un’importanza capitale sia in chiave narrativa, sia per la poetica del regista, che sembra voler riconsiderare un elemento da lui - ma non soltanto - sottovalutato: l’osservazione a distanza (non necessariamente voyeuristica) di "Murder à la mod", "Ciao America!", "Hi, Mom!", "Sisters", "Il fantasma del palcoscenico", "Home Movies", "Dressed to Kill" (ossia di praticamente quasi tutto il De Palma ante "Blow Out") diventa ascolto a distanza [7]. Peraltro, nel contesto di una totale immersione metacinematografica (come ricordano l’incipit e l’explicit) che rende questa presa di consapevolezza decisamente più pregnante, dal punto di vista della teoria del cinema, di quanto non fu l’analoga riflessione condotta da Coppola in "The Conversation", dove il sonoro aveva una rigorosa focalizzazione narrativa. In "Blow Out", infatti - e a differenza del film di Coppola -, il suono è l’indispensabile strumento di interpretazione dell’immagine. 

Split Screen, 360s & co.  

Per il resto - e passando ad esaminare gli elementi più strettamente stilistici -, De Palma conferisce la consueta, esplicita riconoscibilità autoriale all’opera, oltre che per i contenuti, anche mediante il richiamo ad alcune tecniche divenute un suo segno distintivo: l’immancabile split-screen, anch’esso peraltro volto a mettere in scena la dicotomia tra audio e video; e la rotazione a 360 gradi della macchina da presa. 
Questa volta, tuttavia, a prendersi la scena non è la classica (in quanto depalmiana) carrellata attorno ai protagonisti, comunque presente nel finale e che ricalca quelle, più memorabili, di "Carrie" e "Obsession". Bensì il movimento sull’asse stabile - e dunque, tecnicamente, la panoramica anziché la carrellata circolare - che viene completato per ben cinque volte e mezza consecutivamente nella scena in cui Jack torna nel suo studio scoprendo che vi è stata un’intrusione. Una scena straordinaria, in cui Travolta appare e scompare quasi magicamente, sempre in posti diversi, fondendo il movimento circolare della macchina da presa (che sembra replicare quello della pellicola in un proiettore) con quello irregolare del soggetto che davanti ad essa si muove: un profilmico ansiogeno, schizofrenico e apparentemente fuori controllo; un’entropia perfettamente fotografata, in chiusura di sequenza, da una plongée che mostra lo scompiglio dello studio. 
Avere al proprio fianco Vilmos Zsigmond come direttore della fotografia sicuramente aiuta (i due avevano già lavorato insieme in "Obsession"), ma in realtà c’è tutto De Palma in queste scelte stilistiche profondamente caratterizzanti. Al d.o.p. ungherese (maestro degli anni della New Hollywood, in cui curò la fotografia di capolavori come "Incontri ravvicinati del terzo tipo", "Il lungo addio", "Il cacciatore", "I cancelli del cielo") vanno invece ascritti i meriti, soprattutto, di due sequenze notturne straordinarie: quella clou ambientata nella serata in cui avviene l’incidente e quella finale, con i fuochi d’artificio a celebrare il centenario dell’ultimo rintocco della Liberty Bell di Philadelphia. Ma l’inquadratura più memorabile dell’intero film, decisamente iconica, resta probabilmente quella dello sguardo in macchina del gufo, che oltre ad assumere valenza metaforica nei confronti dello stesso protagonista, animale notturno, e ad alimentare quella sensazione di richiamo all’elemento magico di cui sopra si è detto (il microfono come bacchetta del prestigiatore), denota un uso magistrale della profondità di campo. 
Le scenografie, i costumi e le musiche di Pino Donaggio sono poi elementi che contribuiscono ad accentuare la connotazione della pellicola come fortemente ancorata a un immaginario anni Ottanta di cui De Palma sarà uno dei più efficaci illustratori. Una tendenza invero già inaugurata, proprio all’inizio del decennio, in "Dressed To Kill". 

John & Nancy & John  

Quanto agli attori – e ai personaggi che interpretano –, John Travolta è un eccellente protagonista [8], e con la sua fissazione per la tecnica rappresenta un alter ego del regista, che nella sua adolescenza era stato, per sua stessa ammissione, un proto-nerd. Jack Terry è un uomo talvolta apatico e intimamente tormentato, anche a causa di vicende che hanno segnato il suo passato di ex poliziotto (specializzato nel pedinamento con microspie, va da sé). Solo il progredire della sua indagine sembra dargli nuova linfa, per poi tornare vinto, nel finale, da un dispiacere – ora sì – ineluttabile (in quanto recidivo). Jack, tuttavia, non raggiunge mai i livelli di paranoia dell’Harry Caul de "La conversazione", anche perché le sue intuizioni sono sempre supportate da fatti concreti (come l’avvenuta cancellazione delle prove, circostanza che, a sua volta, richiama un tipico argomento delle teorie complottiste). 

Nancy Allen, ai tempi moglie del regista, è un’ottima coprotagonista, fortemente voluta da Travolta, con cui aveva recitato in "Carrie", quando i due erano ancora pressoché sconosciuti (Travolta doveva ancora girare "La febbre del sabato sera", il film che lo avrebbe proiettato nell’olimpo di Hollywood sul finire degli anni Settanta, e Nancy Allen avrebbe avuto il suo primo ruolo da protagonista soltanto due anni dopo, nell’esordio al lungometraggio di Robert Zemeckis) [9]. Il suo personaggio, Sally, mescola sogno e disillusione. Anche lei ha aspirazioni artistiche – vorrebbe entrare nel mondo del cinema come truccatrice – e pronuncia una delle frasi più sottilmente significative (e metaforicamente cinematografiche) del film: "Tutti hanno bisogno di truccarsi, ma il trucco non si deve vedere". 

John Lightow si conferma straordinario interprete di villain, nei panni dell’attentatore pronto a tutto, anche a trasformarsi in un maniaco serial killer soltanto per coprire gli altri delitti commessi sino a quel momento. Il personaggio di Burke è peraltro quello più interessante dal punto di vista degli agganci tra il soggetto del film e gli avvenimenti storici che l’hanno ispirato, omicidio di JFK in primis: come materiale esecutore dell’azione che porta alla morte (preterintenzionale) del Governatore McRyan, Burke si rivela, da un lato, il braccio armato di un complotto voluto dagli avversari della vittima; ma dall’altro, agendo oltre il suo mandato, si pone anche, di fatto, come esecutore solitario. È il modo depalmiano, probabilmente, per non prendere posizione nell’annosa querelle riguardante Lee Harvey Oswald, che ancora oggi divide gli americani (assassino solitario o capro espiatorio di una cospirazione di poteri forti? [10]). Il personaggio di Burke mette peraltro in scena una suggestiva mise en abyme (quando spia le telefonate di Jack, che fino a quel momento aveva sempre avuto il controllo dell’elemento sonoro) ed è protagonista della scena più efficace – sebbene secondaria – dal punto di vista strettamente stilistico-visivo: l’assassinio della seconda donna, perpetrato all’interno dei bagni femminili della stazione ferroviaria di Philadelphia (un vero e proprio saggio di cinema da parte di De Palma). 

E poi c’è sempre un finale 

Non si può concludere senza citare lo straordinario finale, che si ricollega al (memorabile e fortemente ironico) incipit del film, in cui, per l’ennesima volta, De Palma si affida all’espediente metacinematografico. L’epilogo mostra infatti il protagonista mentre effettua, ancora scosso per l’accaduto, il montaggio sonoro dell’urlo di Sally all’interno del b-movie softcore per il quale sta lavorando. Quello stesso b-movie che aveva aperto "Blow Out" con un escamotage farsesco, con il regista che si era chiaramente voluto prendere gioco dello spettatore (come farà anche nel finale di "Body Double" e in altre occasioni, meno memorabili di queste), introducendo una storia (girata con due long-take in soggettiva, dal p.o.v. del killer [11]) che si rivelerà, soltanto dopo qualche minuto, un film nel film. 
Ed è proprio in questa introduzione sbeffeggiante che si ritrova la maggior parte delle citazioni e delle autocitazioni: da "Psycho" (la doccia, il coltello, l’urlo [12]) a "Carrie" (l’ambientazione collegiale), da "Dressed to Kill" (ancora una volta la doccia) a "Hi, Mom!" (il produttore di film soft-core). Per non parlare della messa in scena del corto circuito voyeuristico (e letterale) che vede il maniaco-guardone uccidere il guardiano-maniaco intento, a sua volta, a spiare le ragazze nelle loro stanze. 
Ma mentre la sequenza iniziale rivelerà, fin da subito, il suo evidente significato ironico e beffardo, il finale - cinico e straordinario - avrà un taglio fortemente drammatico. Lo stesso elemento, l’urlo femminile, arriva ad assumere nell’economia del film la duplice e antitetica connotazione di pretesto umoristico (nell’incipit e nella scena – estremamente esilarante – delle audizioni per il doppiaggio) e di macigno narrativo di un epilogo tragico e disperato. 

"Questo sì che è un bel grido.

 
Note 

[1] All'uscita nelle sale, "Blow Out" ricevette recensioni contrastanti, sebbene avesse dalla sua le opinioni entusiastiche di Pauline Kael e Roger Ebert. Con il tempo, la critica americana lo ha via via elevato nei ranghi della filmografia di De Palma, fino addirittura ad acclamarlo, in alcuni casi, come il capolavoro del regista di Newark (su questa linea, tra gli altri, Peter Sobczynski, grande esperto di De Palma, e J. Hoberman). 
[2] Così J. Hoberman su The Instant Village, in quella che è probabilmente una delle sintesi critiche più puntuali, tra quelle rintracciabili in rete: "DePalma’s masterpiece is the last ’60s movie and the most brilliantly tawdry of Hollywood’s paranoia cycle—a decomposed, conspiratorial remake of Antonioni’s Blow-up, starring reheated John Travolta in his strongest role up until Pulp Fiction". 
[3] Nel recensire "Blow Out" sul New Yorker del 27 luglio 1981, Pauline Kael affermava, peraltro, come De Palma avesse trasceso, con quella sua ultima opera, i confini del genere per spingersi su una dimensione puramente autoriale: "I think De Palma has sprung to the place that Altman achieved with films such as McCabe & Mrs. Miller and Nashville and that Coppola reached with the two Godfather movies—that is, to the place where genre is transcended and what we’re moved by is an artist’s vision.
[4] Sul titolo "Blow Out" (che originariamente avrebbe dovuto essere "Personal Effects") e sull’assonanza con quello del film di Antonioni ci sarebbe parecchio da dire: blowout (parola unica, senza spazio né trattino) sta a significare, nello slang americano, lo scoppio di uno pneumatico (ossia uno degli elementi fondamentali dell’intreccio). Nell’inglese britannico, invece, lo stesso termine si scrive col trattino, blow-out. La stessa regola (trattino o parola unica) vale per blow-up (ingrandimento, nell’inglese britannico) vs. blowup (in American English). Il titolo del film di Antonioni vede la presenza del trattino (anche se si trovano versioni con parola unica), a causa, evidentemente, dell’ambientazione londinese e di una produzione (principalmente) britannica. Quel che è certo, tornando al film di De Palma, è che optando per "Blow Out" (due parole, senza trattino), non si è più in presenza di un sostantivo (lo sarebbe stato sia blow-out che blowout, come sostantivi sono blow-up e blowup), bensì di un phrasal verb. E il phrasal verb "to blow out" è concepito nelle forme "to blow something out" o "to blow somebody out", verbi che significano, rispettivamente, "spegnere" (nel senso di soffiare sopra qualcosa per spegnerlo, tipico delle candele) e "allontanare, respingere, rifiutare". Ma nel linguaggio informale "to blow out" può assumere anche il significato di "distruggere", "scoppiare" (e siamo di nuovo allo pneumatico), nonché, ancora più informalmente, "surclassare", nel senso di sconfiggere facilmente. Avventurandosi nello urban slang "to blow (someone) out" acquista invece significati legati alla sfera sessuale (e, in particolare, alla pratica della fellatio), che in De Palma non possono mai del tutto essere accantonati a priori. Vi sono, infine, le espressioni idiomatiche "to blow (some)one’s brains out", che significa "far saltare le cervella", e "to blow something/someone out of the water", che sta, anche in questo caso, per "sconfiggere clamorosamente" (ma entrambe sembrano non essere pertinenti). Insomma, resta l’evidente richiamo al titolo del film di Antonioni e un gioco di parole che può prestarsi a molteplici interpretazioni. 
[5] Essendo sicuramente, tra gli avvenimenti citati, quello meno famoso, almeno in Italia, vale la pena spendere due parole su quello che è passato alla cronaca come "incidente di Chappaquiddick", vista la sua rilevanza nel meccanismo narrativo di "Blow Out". La sera del 18 luglio 1969, a Chappaquiddick, un’isola adiacente a quella di Martha’s Vineyard, da sempre il buen retiro del clan Kennedy, si verificò un incidente d’auto sul Dike Bridge, nella parte orientale dell’isola. Alla guida vi era il senatore Ted Kennedy, fratello di John Fitzgerald e Robert, all’epoca già entrambi morti assassinati. Sul lato passeggero si trovava la ventottenne Mary Jo Kopechne, già segretaria di Robert Kennedy, che nell’occasione perse la vita per affogamento. Subito dopo l’incidente, Ted si era allontanato dalla scena (pur dopo aver – a suo dire – tentato più volte di verificare se la donna fosse ancora dentro l’auto), denunciando l’accaduto alle autorità soltanto dieci ore dopo. Per quella vicenda, Ted Kennedy fu condannato a due mesi di reclusione con la condizionale. Ma soprattutto, colui che veniva indicato come uno dei possibili candidati alla presidenza per la tornata elettorale del 1972 aveva definitivamente compromesso le proprie ambizioni politiche. 
[6] E ci sarebbe anche, a dirla tutta, un richiamo alla misteriosa morte, avvenuta nel 1979, di Nelson Rockefeller, già vicepresidente degli Stati Uniti (con Gerald Ford, dal 1974 al 1977): dichiarato inizialmente morto d’infarto nel suo ufficio di New York al Rockefeller Center, ben presto emerse che, in realtà, era deceduto in una sua abitazione sulla 54esima strada, mentre si trovava con una sua assistente, la venticinquenne Megan Marshack, in circostanze che vennero definite "innegabilmente intime". In "Blow Out" la vicenda è richiamata, in modo abbastanza evidente, nella scena in cui si consuma il tentativo di insabbiamento da parte di un membro dello staff del Governatore, che chiede ai due protagonisti, Jack e Sally, di dimenticare, per il buon nome del defunto e per non esporre la famiglia ad uno scandalo, il fatto che la ragazza fosse con McRyan. 
[7] Se si eccettua l’incipit, con il film nel film di taglio exploitation, c’è solo una scena – peraltro brevissima – in cui De Palma adotta il suo peculiare approccio voyeuristico (di stampo fortemente hitchcockiano, nel caso di specie): quella in cui il protagonista nasconde nel controsoffitto l’originale del nastro che sta per consegnare alla polizia. 
[8] E John Travolta deve dire grazie a questo film - e alla sua convincente interpretazione (che Pauline Kael paragonò a quelle del giovane Marlon Brando) - se la sua carriera verrà rilanciata negli anni Novanta, quando il suo mito sembrava ormai definitivamente tramontato. Quentin Tarantino è infatti da sempre stato un fan di "Blow Out", tanto da indicarlo in varie occasioni tra i suoi film preferiti, e volle Travolta in "Pulp Fiction" proprio per tale motivo. 
[9] Quello dell’onnipresenza della moglie nei suoi ultimi film diventerà peraltro uno dei fattori che porterà alla fine del matrimonio tra De Palma e la Allen (quest’ultima aveva infatti recitato, oltre che in "Carrie" e in "Blow Out", anche in "Home Movies" e in "Dressed to Kill", diventando una presenza fissa - e ingombrante - nelle opere del cineasta di Newark). 
[10] Ancora nel 2013, in un sondaggio Gallup effettuato a cinquant’anni dai fatti di Dallas, la maggioranza degli americani credeva che John Fitzgerald Kennedy fosse stato ucciso in una cospirazione (61%) e non dal solo Lee Harvey Oswald (30%). Si tratta di una tendenza – quella cospirazionista – in costante discesa negli ultimi anni e che ebbe il suo picco nella seconda metà degli anni Settanta (quando a credere all’ipotesi del complotto era ben l’81%), ma anche nel 2001 (stessa percentuale). Quello del 2001 fu un sondaggio (effettuato diversi mesi prima dell’attentato alle Twin Towers) che dava conto di una tendenza in risalita, registrata a partire dall’uscita del film "JFK – Un caso ancora aperto" di Oliver Stone (1991). Il dato del 1976, invece, si cala perfettamente nel discorso sin qui compiuto, quello del dilagante clima di paranoia nell’America degli anni Settanta. In particolare, nel 1975 ci fu la prima trasmissione al pubblico, in televisione, del filmato di Zapruder, che rianimò l’opinione pubblica, spingendo il Congresso, proprio nel 1976, ad istituire un’apposita Commissione incaricata di indagare sugli assassinii di JFK e di Martin Luther King (considerate le nuove prove emerse e le critiche all’operato della Commissione Warren). L'House of Representatives Select Committee on Assassinations (HSCA) arrivò alla conclusione, nel suo rapporto ufficiale consegnato nel 1979, tre anni dopo la sua istituzione, che era possibile che oltre ai tre colpi sparati da Lee Harvey Oswald ve ne fosse stato un quarto, proveniente dalla famigerata "collinetta erbosa" della Dealey Plaza, che tuttavia mancò il bersaglio (ma che avrebbe dimostrato, se confermato, l’esistenza del complotto). 
[11] In realtà, il fatto che il killer riesca a specchiarsi quando entra nella casa occupata dai collegiali rivela trattarsi, tecnicamente, di una pseudo-soggettiva, e non di una soggettiva. 
[12] Roberto Nepoti (in Brian De Palma, 1994) fornisce un’interessante lettura – che vuole, anche in questo caso, un De Palma ipercitazionista – sul ruolo dell’urlo femminile come elemento fondamentale nell’economia di "Blow Out": "Quell’autentico archetipo degli effetti sonori che fu King Kong conteneva un grido di terrore giudicato così perfetto, da indurre a riutilizzare la medesima registrazione per una serie di altri film. La microstoria non rivela come fosse ottenuto l’urlo della Bella esposta alle brame della Bestia. Con il suo film De Palma si incarica, a mezzo secolo di distanza, di rendere inquietante il quesito". 

 
Fonti e bibliografia 

Roberto NEPOTI, Brian De Palma, La Nuova Italia - Il Castoro Cinema, 1981. 
Roberto NEPOTI, Brian De Palma, Il Castoro – L'unità, seconda edizione 1994. 
Emanuela MARTINI (a cura di), Brian De Palma, Il Castoro Cinema, 2017. 
Pauline KAEL, Portrait of the Artist as a Young Gadgeteer, in The New Yorker, 27 luglio 1981 – 21 febbraio 2000. 
Peter SOBCZYNSKI, Brian De Palma's Films, Ranked, su RogerEbert.com 
Per il sondaggio sull’omicidio Kennedy: gallup.com 
Per i significati del termine blowout e delle sue declinazioni (oltre che degli altri termini analizzati): Cambridge Dictionary, WordReference, MacMillan Dictionary, Urban Dictionary. 


27/09/2020

Cast e credits

cast:
John Travolta, Nancy Allen, John Lithgow, Dennis Franz


regia:
Brian De Palma


durata:
108'


produzione:
Cinema 77, Geria Productions, Filmways Pictures


sceneggiatura:
Brian De Palma


fotografia:
Vilmos Zsigmond


scenografie:
Paul Sylbert


montaggio:
Paul Hirsch


costumi:
Vicki Sánchez


musiche:
Pino Donaggio


Trama
Jack, un fonico ed ex poliziotto di Philadelphia che lavora per produzioni di serie b e soft-core, si reca una sera fuori città per registrare rumori notturni da utilizzare per il montaggio sonoro dell’ultimo film a cui sta collaborando. Mentre lo fa, assiste ad un incidente d’auto: a seguito dello scoppio di uno pneumatico, un veicolo sbanda e finisce dentro un fiume. Jack vi si tuffa e riesce a tirar fuori dall’auto una donna, Sally. L’uomo al volante è invece deceduto e si scoprirà essere nientemeno che il candidato alla presidenza e Governatore dello Stato McRyan. Per evitare uno scandalo (la donna non è la moglie di McRyan, ma una ragazza che aveva abbordato ad una festa) lo staff dell’ex governatore chiede a Jack e a Sally di tacere circa il fatto che quest’ultima si trovasse nell’auto. Riascoltando gli audio registrati quella notte, Jack si accorge però che il rumore di uno sparo ha preceduto lo scoppio dello pneumatico e lo sbandamento dell’auto…