Ondacinema

recensione di Antonio Pettierre
6.0/10

La fantascienza può essere un genere che permette di interpretare il presente immaginando un futuro possibile. E uno dei modi di raccontare i disastri che possono accadere è la distopia, cioè raffigurare una società in cui gli aspetti negativi sono preponderanti. L’ultimo lavoro di Alex Garland, “Civil War”, fin dal suo titolo, s’inserisce nell’ambito fantapolitico, in cui s’immagina un futuro prossimo in cui gli Stati Uniti sono caduti in una seconda guerra civile. La narrazione degli eventi viene fatta attraverso il punto di vista di quattro giornalisti che intraprendono un viaggio da New York verso la capitale Washington, di quello che rimane dello stato federale e al cui comando c’è un Presidente al suo terzo mandato che ha bombardato e scatenato la guerra contro gli stati secessionisti della California e del Texas che, giustappunto, attraverso le forze militari unite cingono sotto assedio la capitale.

“Civil War” si muove su due fronti strettamente legati tra loro. Da un lato, affronta il tema del registro della potenza dell’immagine e, dall’altro, quello della rottura delle regole alle fondamenta del patto sociale. Sono due temi che non sono paralleli ma uno è il veicolo dell’altro. Così, la seconda guerra civile non è messa in scena in modo oggettivo ma viene mostrata attraverso lo sguardo dei quattro giornalisti nel loro viaggio con lo scopo di intervistare e fotografare il Presidente degli Usa prima della sua caduta.

Lee Smith (Kirsten Dunst) è una famosa fotogiornalista di guerra, disillusa e colpita da stress postraumatico per le tante atrocità a cui ha assistito e documentato con le sue fotografie. È accompagnata dal collega Joel (Wagner Moura) che sogna di compiere l’ultima intervista al presidente americano. Nel loro viaggio sono accompagnati da Sammy (Stephen McKinley Henderson), giornalista del “New York Times”, rappresentante la vecchia guardia di chi crede ancora nella forza della parola e che vuole un passaggio fino a Charlottesville per raccontare la prima linea della guerra civile, e dalla giovane Jessie (Cailee Spaeny) ammiratrice di Lee e che vuole seguire le orme del suo idolo.

Lee pensa che la sua presenza possa in qualche modo fermare le atrocità, come confessa a Jessie in una pausa del suo viaggio, ma risulta un’illusione, visto che riesce a essere solo una testimone passiva che registra l’atrocità in atto. Attraverso flashback, all’inizio di “Civil War”, capiamo come Lee abbia visto l’abisso della mostruosità umana, assistendo a feroci esecuzioni e violenze per le guerre nel mondo. Il viaggio attraverso strade secondarie per raggiungere Charlottesville e poi Washington è un contrappunto di una società allo sbando e in cui Lee e la giovane Jessie immortalano con le loro macchine fotografiche gli scontri a fuoco, i cecchini che sparano sulle persone, gli eccidi, l’apparente tranquillità di un villaggio della provincia.

Garland compie fermi immagini dalle foto fatte da Lee e Jamie delle scene più cruente e, in particolare, sempre nell’attimo della morte. Così Jamie compie un viaggio anche di apprendimento e di trasferimento dello sguardo di Lee, che appare a-morale in cui non prende posizione verso il soggetto che sta fotografando ma ne testimonia senza veramente prenderne parte. Jamie fotografa la morte di un ribelle e ottiene i complimenti da Lee per la “bellissima immagine”, fotografa l’uccisione in diretta della stessa Lee mentre stanno entrando nella Casa Bianca, così vivendo il passaggio di testimone, una transustanziazione visiva, come se il fatto in sé è compiuto solo perché fotografato, come la foto finale della morte del Presidente scattata da Jamie e quella che chiude “Civil War” che mostra i soldati ribelli intorno al suo cadavere: il fatto è esistito solo perché fotografato e l’immagine è rivelatrice di verità rispetto alla parola e alla televisione che invece raccontano una storia manipolata, composta di false informazioni, come nel discorso iniziale del Presidente che chiede ai ribelli di arrendersi dopo le loro pesanti sconfitte.

Ma questa rappresentazione della capacità di rivelazione della verità non risulta, alla fine, così innovativa e pecca anche di un’eccessiva distanza dei personaggi rispetto alla materia vissuta, con un cinismo autodistruttivo già affrontato con migliori risultati nel passato. Citiamo, ad esempio, i fotogiornalisti di “Un anno vissuto pericolosamente” (1982) di Peter Weir, “Sotto tiro” (1983) di Roger Spottiswoode e “Salvador” (1986) di Oliver Stone, in cui si affronta il ruolo dell’operatore dell’informazione come testimone in zone di guerra civile e con una maggiora partecipazione e convinzione.

Non sarebbe un male di per sé questo tipo di approccio visti gli illustri precedenti, ma, alla fine, questo è il contenuto principale calato all’interno di una guerra civile che è trasformata in solo veicolo mediatico, senza una vera rielaborazione e aggiornamento, ma anzi compiendo un’operazione retro modernista. Il tema del collasso delle regole di convivenza civile, dunque, è messo in secondo piano. Le varie tappe del viaggio dentro agli scontri armati sono passaggi simbolici validi in sé, ma senza un disegno complessivo. Garland inizia il racconto in medias res durante una manifestazione a New York che finisce nel sangue.

Del resto, sono stati diffusi elementi visivi a supporto dello scenario di “Civil War”, come la cartina geografica degli Usa disponibile su Wikipedia, oppure immagini alternative di città devastate composte dall’intelligenza artificiale (come riportate da “The Hollywood Reporter” e riprese da tutte le testate giornalistiche del settore). Tutto ciò potrebbe essere un’interessante operazione multimediale, ma appare, al contrario, un’integrazione di narrazione mancante nella struttura narrativa di una sceneggiatura molto chiusa, centripeta e superficiale. Ed è strano per lo sceneggiatore di "28 giorni dopo" e l'autore di opere come "Ex machina" e "Annientamento" che risaltano per la loro compattezza e chiarezza degli intenti. Quel che resta è una messa in scena di un sentimento generalizzato di estremizzazione del conflitto ideologico-politico in cui “chi non è con noi e contro di noi” e dove non si fanno prigionieri, in un ambiente culturale, come quello americano, in cui il possesso delle armi – e il suo disinvolto utilizzo – è nel DNA stesso di un’intera società.


19/04/2024

Cast e credits

cast:
Kirsten Dunst, Wagner Moura, Stephen McKinley Henderson, Cailee Spaeny


regia:
Alex Garland


titolo originale:
Civil War


distribuzione:
01 Distribution


durata:
109'


produzione:
A24, DNA Films


sceneggiatura:
Alex Garland


fotografia:
Rob Hardy


scenografie:
Caty Maxey


montaggio:
Jake Roberts


costumi:
Meghan Kasperlik


musiche:
Geoff Barrow, Ben Salisbury


Trama
Siamo in un futuro prossimo dove gli Stati Uniti sono in piena guerra civile. Quattro giornalisti compiono un viaggio verso Washington documentando gli scontri tra le varie fazioni.