Ondacinema

recensione di Alessio Cossu
7.0/10

I Tayal sono un’etnia indigena che vive a cavallo delle aree montagnose centrosettentrionali di Taiwan. Dato l’isolamento geografico che li contraddistingue, hanno mantenuto intatte le tradizioni avite. Il loro idioma non è ad esempio assimilabile al ceppo Han, che è invece dominante sia a Taiwan che in Cina. "Gaga" è il completamento di una trilogia della regista Laha Mebow incentrata appunto sulle popolazioni aborigene taiwanesi. Il primo film della trilogia, "Finding Sayun" (2010), coincide con il primo lungometraggio della regista, mentre il secondo, "Hang in There, Kids!", risale al 2016 ed è stato candidato all’Oscar per l’intera isola di Taiwan. Il vivo interesse unito al profondo rispetto per le popolazioni aborigene ha sempre contraddistinto l’opera della Mebow. Quello che emerge dal film è il ritratto spassionato, a tratti ironico ma mai incline al patetismo di una famiglia che, già dalle prime sequenze, dovremmo chiamare clan, giacchè non vi è gesto o parola dei suoi componenti che non abbia ripercussioni sugli altri e che si sottragga al principio della condivisione.

La prima inquadratura del film mostra il nonno Hyung, patriarca della famiglia, intento a dispensare consigli al giovane nipote. I due sono immersi in una foresta montana che è l’habitat col quale la loro etnia vive un rapporto simbiotico attingendo le risorse necessarie al sostentamento. La coltivazione dei fondivalle, la fabbricazione di cestini e la costruzione degli edifici con grossi tronchi lignei che richiedono solide fondamenta e tetti in ardesia per resistere ai tifoni ci danno il quadro (anche cinematograficamente) delle attività dei Tayal. Pur salvaguardando la specificità caratteriale e drammaturgica dei singoli protagonisti del film, Laha Melbow sottolinea il senso di comunità ricorrendo in modo ferreo alle inquadrature con camera fissa, quasi a restituire ai personaggi quel senso di libertà, di contatto con i propri simili e con l’ambiente. Anche solo il fatto di realizzare un film attenendosi a questo principio rivela una padronanza non comune del medium cinematografico. Il villaggio dei Tayal conosce anche le tecnologie, i mezzi di locomozione moderni e manda i figli a studiare all’università, anche fuori dall’isola. Eppure il peso delle tradizioni avite appare in tutta la sua evidenza: la moglie del patriarca, ad esempio, cerca di tenere la nipote Ali sulla retta via basandosi sull’interpretazione dei propri sogni e come rimedio al mal di testa le consiglia una piantina dagli effetti miracolosi.

I rapporti all’interno del clan sembrano incrinarsi per l’inattesa gravidanza di Ali, per le intemperanze di Silan, il figlio minore di Hyung, e per le velleità elettorali del maggiore, Pasang. Quest’ultimo aspira a diventare sindaco e coinvolge l’intera famiglia nel suo progetto. A questo proposito, giova osservare che quanto la regista tiene a sottolineare non è la vittoria o la sconfitta elettorale, quanto il senso di condivisione che unisce tutti, anche e soprattutto nei momenti di difficoltà. È come se ci mostrasse come la dignità di una campagna elettorale in una piccola comunità non sia da meno di quella di una metropoli. Anche le difficoltà finanziarie connesse alla campagna elettorale vengono assorbite dal clan nel suo complesso, impegnando le rispettive proprietà. “Il sangue è più denso dell’acqua” dice nonna Hyung quasi a cristallizzare in una massima il mantra comunitario e per smuovere Silan dalla sua ritrosia. Il trascorrere del tempo di queste comunità, più che essere scandito da orologi o calendari è marcato dai riti, ovviamente collettivi. Sotto questo aspetto, l’uccisione del maiale è una sorta di ufficializzazione di tutti i momenti importanti della comunità, come ad esempio il fidanzamento di Ali e l’inizio della campagna elettorale.

Allargando lo sguardo alle cinematografie esterne a quella taiwanese, il mood che si respira assistendo al film non è dissimile da quello della pellicola nepalese "Lunana – Il villaggio alla fine del mondo" (2019), per la genuina umanità e l’evidente spontaneità dell’interpretazione, da quella di "Utama – La terra dimenticata" (2022), che mette al centro la riflessione sul rapporto fra tradizione e modernità, ma anche dal documentario di Wim Wenders "Il sale della terra" (2014). Quasi tutti gli interpreti di "Gaga" non sono attori professionisti e questa è sicuramente una delle chiavi della sua riuscita, soprattutto per quanto riguarda i ruoli degli interpreti più anziani.   


29/04/2023

Cast e credits

cast:
Wilang Noming, Vaai , Andy Huang, Amakankang Dalus, Yasuy Silan, Yukan Losing, Esther Huang, Gaki Baunay, Ali Batu, Wilang Lalin, Kagaw Piling


regia:
Laha Mebow


titolo originale:
Hayung Jia


durata:
112'


sceneggiatura:
Laha Mebow, Hsieh Hui-ching


fotografia:
Garvin Chen, Aymerick Benjamin Pilarski


montaggio:
Chen Chien-chih


musiche:
Baobu Badulu


Trama

Dopo la morte di nonno Hyung, il patriarca della famiglia, i parenti devono affrontare una serie di imprevisti che metteranno a dura prova la loro coesione e la devozione nei confronti della gaga, il complesso delle tradizioni dei Tayal, una delle popolazioni indigene di Taiwan.