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recensione di Vincenzo Chieppa
7.5/10

Che "Le otto montagne" sia un film incentrato sulle persone e sui rapporti umani, prima di ogni altra cosa, ce lo dice il più evidente degli elementi formali adottati da Felix van Groeningen e Charlotte Vandermeersch. Un elemento macroscopico, che si manifesta chiaramente anche ai meno attenti agli aspetti tecnico-stilistici: la scelta del formato.
Il 4/3 contrasta in maniera quasi eclatante con la connotazione paesaggistica del film, che emerge fin dal titolo e, ovviamente, dalle ambientazioni alpino-himalayane. Contrasta con la possibilità di allargare il campo nelle riprese montane, di restituire panorami (e panoramiche) che sarebbero quasi scontati, vista appunto l’ambientazione prevalente. E invece i registi chiudono letteralmente lo schermo sull’asse orizzontale e decidono che lo spettatore si dovrà concentrare sui due protagonisti, Bruno e Pietro, senza lasciarsi distrarre, senza che l’occhio possa perdersi a contemplare quella natura che lo stesso Bruno, in uno dei dialoghi più significativi del film, ripudia in quanto elemento indefinito e astratto, esaltato dalla gente di città e ridimensionato dai montanari duri e puri, da chi con la natura ci ha quotidianamente a che fare.
I registi scelgono lo schermo "quadrato" anche a costo di decentrare qualche inquadratura di troppo, anche a costo di tagliare qualche figura e qualche volto, anche a costo di ricreare alcuni fuori campo piuttosto ingiustificati, quasi ai limiti dell’errore tecnico.

Ma quella del formato non è l’unica scelta che pone la narrazione al centro del progetto, relegando il paesaggio a mero contorno, a un ruolo che non è nemmeno di complemento, in un film che invece avrebbe potuto farne un punto di forza. Perché l’asperità del paesaggio di "Le otto montagne" è un’asperità spirituale e morale, prima che fisica e tangibile.
L’altra scelta emblematica – e pienamente centrata – dei due registi è quella dell’emancipazione pressoché totale dai campi lunghi e, soprattutto, dalle inquadrature aeree, in un film in cui il richiamo del drone era un canto delle sirene difficile da zittire e da non assecondare.
E invece i due registi rimangono con i piedi (e con la macchina da presa) ben ancorati per terra, cimentandosi soltanto in due occasioni con delle carrellate aeree di significato peraltro diametralmente opposto. Due aerial shots quasi inevitabili, anche se soltanto in un caso la scelta è veramente importante dal punto di vista sostanziale: in particolare, nell’oggettiva in allontanamento sulla baita immersa nella neve, che diventa un campo lunghissimo che rende, meglio di ogni altra immagine riprodotta fino a quel momento, l’idea della solitudine e dell’eremitaggio cui si vota Bruno.

E così i due aspetti citati (il formato 4/3 e la scarsità di riprese dall’alto e di campi lunghi, con conseguente privilegio dei piani ravvicinati) sono entrambi rappresentativi di una dedizione al racconto nei suoi aspetti più umani e sensibili, quelli che del resto mette in luce il romanzo di Paolo Cognetti da cui il film è tratto.
In tal senso, il lavoro di adattamento (ad opera degli stessi registi) può dirsi pienamente riuscito. In primis perché non era per nulla semplice trarre una sceneggiatura all’altezza, per un film di due ore e mezza di durata, da un romanzo comunque fortemente intimo e intimista. Un romanzo che è stato un caso editoriale capace di attirare su di sé un’attenzione quasi planetaria.
E invece del libro si scelgono i momenti e i dialoghi davvero salienti e anche la voce narrante, quasi inevitabile in un’opera di questo tipo, è centellinata in maniera esemplare. In alcuni casi forse anche troppo, visto che là dove il narratore esterno era pressoché indispensabile (i segmenti dedicati all’infanzia e all’adolescenza di Pietro) la parsimonia nell’utilizzo della voce fuori campo porta all’inevitabile conseguenza di mettere in bocca ai giovani protagonisti frasi e osservazioni che sembrano molto più mature di chi le pronuncia, come quando il Pietro dodicenne esprime un giudizio lapidario sulla città da cui proviene e sulla sua influenza nefasta sulle persone: "Torino lo rovina uno come Bruno".

Nel complesso, "Le otto montagne" è un’opera più che discreta, dunque, di una coppia di registi che già avevano lavorato insieme, pur essendo questo il loro primo "tandem" dietro la macchina da presa (lei all’esordio, lui già autore di altri celebrati lungometraggi intimisti, come "Beautiful Boy"). Una coppia di registi che adotta uno stile asciutto, essenziale, quasi del tutto privo di formalismi estetizzanti.
I due cineasti belgi sono assecondati in maniera convincente da una coppia di attori che rappresentano, ad oggi, il meglio che l’Italia possa esprimere per quella generazione. Alessandro Borghi è forse anche più nella parte del più quotato Marinelli, nonostante qualche piccolo appunto che si potrebbe muovere al suo accento, talvolta più vicino al bergamasco-valtellinese che all’inflessione del patois valdostano. Inezie, in ogni caso, che chiaramente non spostano il giudizio su un’opera che poteva rappresentare un rischioso salto nel buio e che invece si è fatta apprezzare anche a livello internazionale (Premio della giuria a Cannes 2022).
Che per riuscirci sia stato necessario lo sguardo autoriale di due registi dell’Europa continentale può essere una mera coincidenza o forse, e più probabilmente, un aspetto su cui fare più di qualche riflessione.


04/01/2023

Cast e credits

cast:
Luca Marinelli, Alessandro Borghi, Filippo Timi, Elena Lietti, Elisabetta Mazzullo, Lupo Barbiero, Cristiano Sassella, Andrea Palma


regia:
Charlotte Vandermeersch, Felix Van Groeningen


distribuzione:
Vision Distribution


durata:
147'


produzione:
Wildside, Rufus, Menuetto, Pyramide Productions, Vision Distribution


sceneggiatura:
Felix Van Groeningen, Charlotte Vandermeersch


fotografia:
Ruben Impens


scenografie:
Massimiliano Nocente


montaggio:
Nico Leunen


costumi:
Francesca Brunori


musiche:
Daniel Norgren


Trama
Il montanaro Bruno e il "cittadino" Pietro: storia di un’amicizia, lunga alcuni decenni, di due bambini, due ragazzi, due uomini così diversi e insieme così simili…