Ondacinema

recensione di Giuseppe Gangi
7.0/10

C'era una volta il cinema di Hong Kong… E in qualche modo questa gloriosa tradizione esiste e resiste ancora incuneandosi negli interstizi lasciati liberi dall'ormai possente industria cinematografica cinese. Pou-soi Cheang (semplificato Soi Cheang) è stato uno degli ultimi nomi di rilievo a imporsi nell'industria cantonese a cavallo tra i due secoli, negli anni immediatamente successivi al fatidico Handover del 1997. Arrivato al successo come regista di horror, Soi Cheang, fedele all'eclettismo dell'artigianato locale, ha attraversato diversi generi, realizzando anche due film sotto il mentorato di Johnnie To che insieme alla Milkyway Image Ltd. ha prodotto i suoi "Accident" (2009) e "Motorway" (2012). Dopo il successo della trilogia "The Monkey King", sfarzosa super-produzione fantasy ed ennesima ripresa del classico della letteratura cinese "Il viaggio in Occidente", Soi Cheang torna a girare a Hong Kong e in lingua cantonese. "Limbo" è la trasposizione del romanzo "Wisdom Tooth" di Lei Mi, la cui ambientazione vaga (una città della Cina del sud) ha permesso al regista la localizzazione ad Hong Kong (che comunque non viene mai nominata), poiché la descrizione degli slums e dei quartieri malfamati avevano ricordato a Soi l'area di Sham Shui Po nell'epoca in cui, da Macao, si era trasferito con la famiglia nell'ex colonia britannica. 

In città si ritrovano tre mani (sinistre) mozzate, ma non ci sono corpi e solo un arto è stato collegato a una persona scomparsa. L'idea è che siano vittime di una serial killer che agisce nei bassifondi, predando ragazze socialmente emarginate e tossicodipendenti. All'esperto ispettore Cham (Gordon Lam Ka-tung) viene affiancato il giovane Will Ren (Mason Lee, figlio del regista Ang Lee), fresco di lodi accademiche ma senza esperienza sul campo. Soi Cheang arricchisce questa storia non particolarmente originale accumulando incidenti e complicazioni narrative, a partire dalla sottotrama (che diverrà centrale) che riguarda il rapporto tra Cham e Wong To (la sorprendente Cya Liu), una ladruncola appena uscita di galera. Quest'ultima, anni addietro, ha investito la moglie incinta del poliziotto, il quale appena scopertala a piede libero inizia a perseguitarla. Ulteriore turning point di sceneggiatura è la perdita della pistola da parte di Will Ren che ricalibra la situazione tra i due detective, dando la possibilità a Cham di interpretare quel ruolo di mentore che finora è toccato al più pacato e saggio giovane collega. La riluttante collaborazione tra l'esperto ispettore Cham e il giovane Will, la caccia a un assassino misterioso che sparpaglia mani mozzate in giro per una città sudicia e ammalata, non può che ricordare "Seven" di David Fincher e molti altri serial thriller di lì a venire. Ma il cinema di Hong Kong ha storicamente lavorato non tanto sull'originalità delle storie, quanto sulla forma per riplasmare formule consolidate. A fare la differenza è sicuramente lo sguardo ferino di Soi Cheang, il suo indugiare su elementi morbosi, la violenza grafica, la direzione degli attori che paiono automi caricati a molla, estranei a se stessi nel momento in cui si innesca il loro meccanismo di violenza o autoconservazione. 

"Limbo" rielabora alcuni spunti presenti in lavori precedenti del regista, in particolare sono evidenti le assonanze con il suo parto più radicale e violento, ossia "Dog Bite Dog" (2006). Il film del 2006 aveva al centro lo scontro tra un giovane killer cambogiano arrivato a Hong Kong per uccidere e un altrettanto giovane ispettore pronto a tutto pur di catturarlo. In "Dog Bite Dog" l'ex colonia britannica era fotografata con un viraggio che dava sul giallo, fondamentale per allestire un'atmosfera livida e malsana. Una sezione narrativa era ambientata in una discarica dove Soi Cheang indugiava sulle montagne d'immondizia e nelle lordure morali dei personaggi, in "Limbo", invece, la discarica, fatta di scarti e spazzatura, attraversa l'intera città costituendone la fondamenta, il livello zero da cui si ergono i grattacieli e lo skyline di una città apparentemente moderna. Gli establishing shot sottolineano questo dislivello che produce un movimento di macchina che va dall'alto al basso o viceversa. Se "Dog Bite Dog" era un film apocalittico, concludendosi in uno scontro cosmico di ordine taoista, in "Limbo" l'apocalisse è già avvenuta, i detective, che provano a raccogliere i cocci di un'umanità spezzata alla ricerca impossibile di redenzione, non sono meno guasti dei loro sospettati. Sotto tale angolazione va interpretata la decisione del regista, maturata nella lunga post-produzione, di convertire la fotografia a colori dell'esperto Cheng Siu-keung (assiduo collaboratore di To) in un bianco e nero altamente contrastato, che mette in scena un'infinita scala di gradazioni per le inquietanti scene notturne. La stilizzazione monocroma spinge la realtà di "Limbo" verso un'irrealtà segnata dall'assenza della luce, in cui il Male alligna negli strati profondi di una città ridotta a malsana palude i cui miasmi invisibilmente contagiano i suoi abitanti. L'episodio centrale del film, che si svolge negli slums, è una straordinaria discesa negli inferi in cui Wong To si offre come guida e agnello sacrificale tra spacciatori e prostitute al fine di trovare la pista giusta che può permettere agli investigatori di identificare l'assassino. La sottotrama relativa all'espiazione di Wong To trasforma l'itinerario del personaggio in un calvario durante il quale Soi Cheang, con la sua regia frontale e poco incline all'elisione della violenza, sfiora l'exploitation sciorinando continue vessazioni e umiliazioni. A lasciare storditi è però la visione d'insieme offerta dalla fiera delle atrocità: le baracche, i palazzi diroccati, i senzatetto, le drogate che si bucano sui cumuli di spazzatura, la pioggia che forma acquitrini e sudici liquami, l'inevitabilità dell'aggressione e l'incubo del linciaggio. Il dialogo tra la profondità di campo da cui sembrano inghiottiti i personaggi - schiacciati anche da inquadrature a piombo - e il dettaglio di un primo piano inorridito, di uno sguardo attonito - e talvolta vuoto - sottolineano la funzione della regia, disegnata per distanziare e contenere nelle sue geometrie le escrescenze di uno spazio in cui il marcio straripa e il pus sociale ribolle. Non è un caso che l'indizio seguito inizialmente da Cham sia il particolare odore di spazzatura e decomposizione emanato dalle mani amputate, in quanto è la realtà organica in disfacimento a essere componente peculiare del lavoro di Soi Cheang. Quasi in contrapposizione alle grandi produzioni cinesi che abbondano di sequenze spettacolari girate davanti al green screen, tornato a Hong Kong con "Limbo", il regista potenzia ed estenua le possibilità sensoriali di un cinema prepotentemente fisico. 

In tale affresco, l'assassino non rappresenta la causa primaria del Male ma serve da detonatore che fa deflagrare i protagonisti. Funzione e caratterizzazione del personaggio sono molto diversi sia dal sicario cambogiano di "Dog Bite Dog" (appositamente arrivato a Hong Kong per uccidere), sia dalla banda di "Love Battlefield", giunti dalla Cina continentale gettando nel caos e nel panico la città (come vuole una lunga tradizione del poliziesco d'azione cantonese). Pur non mancando l'eco di un sentimento xenofobo, memore degli orrori dell'occupazione imperialista giapponese, il personaggio del killer rappresenta un corpo alieno che dalla città è stato abbrutito e forse avvelenato: l'abbozzo di background lo ritrae come qualcuno che, contagiato dalla città, ha perso sé stesso smarrendosi nel labirinto dei quartieri più degradati.

È un film che per atmosfere e cupezza si riconnette al nichilismo del sentimento millenarista dell'Handover. Eppure, alcuni frangenti, tra cui il finale, non mancano di un tono lirico sviluppato dalle partiture di Kenji Kawai, aprendosi anche a una timida speranza: c'è quiete dopo la tempesta, la pioggia lava via la sporcizia.   


15/02/2022

Cast e credits

cast:
Gordon Lam Ka-tung, Cya Liu, Mason Lee, Hiroyuki Ikeuchi, Fish Liew, Hugo Ng


regia:
Soi Cheang


titolo originale:
Zhì Chǐ


durata:
118'


produzione:
Sun Entertainment Culture; Bona Film Group; Er Dong Pictures; Aether Film Production


sceneggiatura:
Au Kin-yee


fotografia:
Cheng Siu-keung


scenografie:
Mak Kwok-keung, Renee Wong


montaggio:
David Richardson


costumi:
Bruce Yu


musiche:
Kenji Kawai


Trama
Un serial killer si muove indisturbato per le vie di una città marcia che somiglia a Hong Kong. Sotto pressione, la polizia affida il caso al giovane Will Ren, fresco di lodi accademiche ma inesperto, affiancandogli il veterano detective Cham Lau. Tuttavia, il passato di Cham torna a tormentarlo quando incontra Wong To, la ragazza che anni prima investì la moglie incinta. Per riscattarsi, Wong To si offre volontaria per lavorare sul caso come informatrice...