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recensione di Alessio Cossu
7.0/10

Durante le ore di lavoro in un capannone belga, un operaio italiano si rivolge a un collega e con una marcata inflessione romanesca esclama: “Ma dopo ce pagano?”. Risposta dell’interlocutore: “Yo no hablo Espanol”. È una delle battute al contempo più riuscite e simboliche di "Orlando", l’ultimo film di Daniele Vicari, che ha per temi l’emigrazione e gli affetti familiari.

L’operaio italiano (Michele Placido) è Orlando, un anziano della Sabina che, lasciatosi temporaneamente alle spalle i propri affetti, ha dovuto suo malgrado precipitarsi a Bruxelles dopo aver ricevuto la notizia che il figlio Valerio, da tempo emigrato, aveva bisogno d’aiuto. Giunto nella capitale belga, scopre che Valerio è ormai morto e fa la conoscenza con la figlia dodicenne Lyse, appurando inoltre che quest’ultima è come orfana di entrambi i genitori visto che la madre si è rifiutata di riconoscerla. Il lavoro di Vicari scandaglia tanto l’animo di Orlando quanto quello di Lyse, distanti anagraficamente, geograficamente, linguisticamente e culturalmente, ma accomunati dal bisogno d’affetto e dall’afflizione del lutto. Non nuovo alle problematiche migratorie e lavorative (con opere come "La nave dolce" e "Sole cuore amore"), il regista italiano affina ulteriormente la propria cifra stilistica confezionando una pellicola che sacrifica il parlato a vantaggio delle immagini. La maestria di Placido è sotto questo aspetto decisiva, in quanto l’attore dà corpo a un personaggio di poche parole all’interno di un film che è di per sé concepito per suggerire i significati tramite la mimica, gli sguardi e i silenzi.

Orlando arriva in Belgio da solo, dunque non comunica a chicchessia le proprie inquietudini e i propri interrogativi circa il figlio, sentimenti che lo spettatore coglie tuttavia dal suo sguardo. Inoltre, essendo il film ambientato nel periodo del covid-19, l’impiego della mascherina se da un lato risponde a un’aderenza filologica al contesto storico, dall’altro esalta l’attitudine alla recitazione oculare più che a quella verbale regalando allo spettatore momenti di cinema vero. Ampio è lo spettro delle emozioni di Orlando espresse in modo non verbale: oltre alla diffidenza e al piglio interrogativo verso gli sconosciuti (con gli sguardi), vi è la volontà di dissimulare la propria età mentre cerca lavoro (grazie all’abbigliamento giovanile e al cappellino che cela la canizie), il disagio e la paura (con i tremori), la nostalgia e l’affetto (con il suono della fisarmonica). Anche la circostanza in cui il protagonista apprende le difficoltà del figlio conferma che Vicari ha deciso di lavorare per sottrazione, quantomeno verbale: è un biglietto di carta ritrovato presso il suo podere ad informare Orlando.

Le scelte di messa in quadro, inoltre, enfatizzano le sensazioni di Orlando, soprattutto all’arrivo a Bruxelles: la macchina da presa mossa ma soprattutto le inquadrature dal basso rimpiccioliscono l’anziano, sovrastato dai maggiori edifici della città che sembrano rovesciarglisi addosso e inghiottirlo nel contesto di una fotografia plumbea. Così, quando Orlando dalla stazione si reca al consolato, un commento musicale freddo, straniante e ostile lo accompagna, echeggiando la stessa atmosfera che circonda il protagonista di "Dead Man" (1995) di Jim Jarmusch, costretto ad affidarsi a qualcuno che lo protegga mentre si addentra in un luogo sconosciuto. Vicari, dopo aver inizialmente indotto il pubblico a identificarsi col protagonista, lo spinge a una riflessione sull’emigrazione attraverso un paradosso: la condizione del contadino italiano non è dissimile da quella degli immigrati che si trovano in Belgio e dai quali  tende a prendere le distanze. Non a caso, tutti i personaggi chiave che Orlando incontra sono immigrati. Più precisamente, la colf che ha lavorato in casa di Lysa per tanti anni è una immigrata thailandese; Kalidou, il proprietario dell’appartamento in cui vive Lyse è originario dell’Africa; l’addetta al consolato italiano non solo non è italiana, ma parla l’italiano con un’inflessione che non è quella di chi è madrelingua francese; retrospettivamente, inoltre, è un immigrato anche il pastore di origine maghrebina grazie al quale Orlando riesce a comunicare con i conoscenti del figlio in Belgio prima di partire.

Inoltre, dal momento in cui il protagonista arriva in Belgio, il dipanarsi della trama e la regolazione del punto di vista spettatoriale sono legati da una funzione che definiremmo brechtiana: quanto più l’anziano prova fastidio e straniamento verso gli immigrati giudicandoli indesiderabili, tanto più il pubblico sente incompatibilità e riprovazione per la sua condotta. È invece la comparsa della nipote a mandare in corto circuito le credenze di Orlando, perché Lyse pur essendo figlia di un’immigrata sfugge a una categorizzazione binaria. Tra i due vi è in sostanza un progressivo avvicinamento, reso stilisticamente con dialoghi comunque asciutti che pur permettendo l’arco di trasformazione di Orlando preservano la credibilità del personaggio; anzi il culmine del film (che non riveliamo) prescinde la verbalità.

Volendo istituire un confronto con altre pellicole che hanno recentemente affrontato il tema dell’emigrazione, grazie alla plausibilità della cornice e allo stile di regia di cui si è detto, ci pare di poter dire che il film di Vicari getti un sasso nello stagno dell’indifferenza e che le onde derivatene scuotano la coscienza dello spettatore anche più profondamente di pellicole dalla narrazione enfatica o fin troppo prevedibile, come ad esempio accade in "Open Arms – La legge del mare" (2022).   


30/05/2023

Cast e credits

cast:
Daniela Giordano, Denis Mpunga, Fabrizio Rongione, Angelica Kazankova, Michele Placido


regia:
Daniele Vicari


titolo originale:
Orlando


durata:
122'


produzione:
Rosamont, Rai Cinema, Tarantula


sceneggiatura:
Andrea Cedrola,Daniele Vicari


fotografia:
Igor Gabriel, Beatrice Scarpato


scenografie:
Rosalia Maria Lia Canino, Amanda Petrella


montaggio:
Benni Atria


costumi:
Francesca Vecchi, Roberta Vecchi


musiche:
Teho Teardo, Davide Cavuti


Trama
Orlando, che mai avrebbe voluto lasciare la propria terra, deve farlo quando il figlio Valerio, emigrato in Belgio, si trova in difficoltà. Giunto a Bruxelles, egli apprende della morte del figlio e scopre di avere una nipote di dodici anni con la quale dovrà confrontarsi.