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Eckhart in Bleed: la boxe metafora del grande riscatto

Aaron Eckhart racconta la sua trasformazione per interpretare Kevin Rooney, allenatore di Vinny Pazienza in "Bleed", storia di una rivincita impossibile

Sanguinare per arrivare laddove si vuole arrivare. Punto. Tutto il resto conta quasi nulla. Il protagonista,Vinny Pazienza, è una reale scheggia del sogno americano. E realistico vuole essere il film di Ben Younger che lo racconta, "Bleed", con un energico Miles Telles-Vinny affiancato dal mitico allenatore Kevin Rooney, qui interpretato da un irriconoscibile Aaron Eckhart pelato, ingrassato, tosto e scomposto.
Eckhart , è stato faticoso entrare nei panni di Kevin Rooney, personaggio la cui carriera è conosciuta a gran parte del pubblico? "Sì, ma anche molto interessante. Quello che mi ha attratto, prima di tutto, è stata la storia, la storia di Vinny Pazienza, la storia di un sogno, di una rivincita, di un ragazzo che si rompe il collo e va contro tutti gli ordini del medico e della famiglia, dicendo: ‘Io ho intenzione di inseguire il mio sogno, e ho intenzione di diventare campione del mondo dei pesi medi'. Mi piace. Mi piace il fatto che Kevin sia una parte di quella storia, che Kevin stesso fosse un pugile, allenato da Cus D'Amato. Kevin era l'allenatore di Mike Tyson nel suo periodo di massimo splendore. Mi piace l'idea di questi due uomini che devono reinventare se stessi per risalire dal fondo in cui sono sprofondati. Credo che tutti amino una storia del genere".

È un tema che hai già trattato in "Black Dahlia" e "Olympus Has Falled". Ti è familiare il mondo della boxe? "Direi proprio di sì. Tutto è iniziato con ‘Erin Brockovich'. Mi sono dovuto mettere in forma per quel film, e mi sono detto che, se dovevo allenarmi per farmi il fisico pur di lavorare a Hollywood, allora era meglio imparare qualcosa. Così ho iniziato a fare la boxe. Negli ultimi 20 anni in fondo, la mia testa è sempre stata legata in qualche modo alla boxe, sia a livello di esercizio fisico che di training con gli allenatori. Conosco le tecniche e le mosse della boxe, e ho una conoscenza abbastanza decente del gioco in termini di combattimento e tutto il resto, ma non conoscevo questa storia in particolare. Di Vinny, anche se è stato cinque volte campione, ha combattuto a Las Vegas e contro Duran, non sapevo niente. È molto conosciuto nella costa Est, ma io vivevo in quella Ovest e in realtà ho vissuto all'estero durante gli anni 80, non sapevo nulla di Vinny o di Kevin. Ma mi sono informato bene. E poi Vinny era spesso con noi sul set. La ragione per cui non ho avuto la possibilità di incontrare Kevin è perché si trova in ospedale. Non ero in grado di allenarmi direttamente con lui. Però ho lavorato con suo figlio, Kevin Rooney Jr., anch'egli pugile, addestrato proprio dal padre".
Quindi oggi fai boxe anche fuori dal set? "Sì, mi piace. Ci lavoro un po' ogni giorno, da solo o con altre persone". Ma, se la boxe non è stata un problema sul set, lo è stato il trucco che qui ti trasforma completamente? "Beh sì, ho preso 20 chili e mi hanno rasato la testa. Poi mi facevo la barba con il rasoio ogni singolo giorno. Non è stato difficile ma neppure divertente. Ho semplicemente fatto quello che dovevo fare per incarnare l'aspetto di Kevin. Lui era così in quel momento, e mi ha aiutato a entrare nella sua mentalità. Era appena stato mollato da Tyson ed era abbastanza sconvolto, oltre che un po' depresso. Beveva moltissimo e giocava d'azzardo. Sentiva che la sua carriera era in pericolo. Questo è il momento in cui incontra Vinny, al quale era stato appena detto che non avrebbe combattuto mai più. Entrambi questi ragazzi erano fuori dai giochi. Si sono trovati l'un l'altro e insieme si sono rialzati".

Come avete pianificato il lavoro con Miles? "Il mio lavoro come allenatore e come attore che recita la parte del suo allenatore è quello di incarnare appieno quel ruolo, per questo fin dall'inizio ci siamo presi qualche giorno per fare le prove. Miles stava lavorando con un allenatore di lotta per imparare le coreografie. Sono andato in palestra, e ho subito iniziato a prendere il sopravvento. Ho iniziato ad asciugarlo. Gli davo i sorsi d'acqua. Gli avvolgevo le mani con le fasce. Gli davo istruzioni, fermo restando che il suo allenatore rimaneva comunque in quel ruolo. Volevo solo stabilire il più velocemente possibile l'alchimia tra pugile e allenatore. Volevo che Miles si abituasse ad avere me vicino a lui, toccandolo, massaggiandogli le spalle, avvolgendogli le mani, dandogli l'acqua, dandogli istruzioni. Non ho lasciato che lo facesse nessun altro, così quando abbiamo iniziato le riprese in realtà era solo un secondo round. Miles si aspettava già che io fossi lì con una bottiglia in mano. E la cosa ha davvero dato i suoi frutti".
Come racconteresti Vinny? "Direi che c'è un ragazzo che si rompe il collo, ha un attrezzo di metallo enorme piantato in testa, e dopo diventa anche tre volte campione. Sai, tutte queste storie di sport, storie sulla boxe, sul calcio, sono tutte storie che si basano sulle relazioni. Questo è ciò a cui siamo realmente interessati. Siamo interessati a personalità, a punti di vista, alle relazioni. Il punto di vista di Vinny sulla vita è diverso da qualsiasi altra persona della Terra. È un ragazzo straordinario. Si fa chiamare il ‘Diavolo della Pazmania', e questo è esattamente quello che è. È una sfera di energia. È un combattente, è un attaccabrighe, nella vita e sul ring, e vive la vita sempre al massimo. Non ha paura di nulla. E questo è molto interessante da guardare in un film. ‘Bleed' è un film sui sogni. E tutti amano vedere la realizzazione di un sogno, non importa se si tratti di un film sportivo o no".

Qual è il fascino dei film sulla boxe? "Sono film sui gladiatori. Sono film in cui qualcuno sta facendo qualcosa che noi non avremmo mai il coraggio di fare. Entrare in quel ring e affrontare la morte, mettere ko il tuo avversario, e poi gli allenamenti, i sacrifici: tutti questi elementi piacciono molto al pubblico". Ma perché, nonostante la popolarità della boxe sia in calo, si continuano a sfornare tanti film su questo sport? "Forse perché si tratta di uno sport in cui la posta in gioco è sempre molto alta, anche perché fa appello proprio agli istinti primordiali della gente. È uno sport di vita e di morte, ed è uno sport di sacrificio. E spesso coloro che la praticano vengono da situazioni umilianti. Questo è ciò che accade in questo film in fondo. O in Rocky, Sylvester Stallone è il perdente; è una storia di rivincita, lui è stato escluso dai giochi, solo il suo duro lavoro e la sua determinazione lo fanno sopravvivere. E la stessa cosa accade con Vinny che si rompe il collo e, nonostante tutti i pareri contrari della famiglia, del medico, dell'allenatore, va in palestra e solleva i pesi con un Halo sulla sua testa. Le persone normali non lo fanno. Le persone normali ascoltano il loro medico...".
Negli ultimi due anni hai interpretato Kevin Rooney, Jeff Skiles, Darrell Royal. Per te è più facile interpretare un personaggio tirato fuori dalla realtà o dalla fiction? "Non avevo mai interpretato personaggi reali prima di adesso. E poi, come hai appena detto, ne ho fatti tre di fila. Mi piace, e ti dirò perché. Quando stai interpretando un personaggio di fantasia, è divertente usare l'immaginazione, la tua creatività, e inventarsi le cose. Quando si sta interpretando un uomo reale, si ha tutto proprio lì di fronte a te. Fai le tue ricerche, ci sono cose da vedere e persone con cui parlare... In questo caso, per Miles, c'era Vinny. È bello poter avere quella risorsa. Guardare il loro comportamento. Raccogliere piccoli dettagli e poi mettere delle sottigliezze del loro comportamento nel film. Ovviamente, si cerca sempre di essere il più autentici possibile, questa è la cosa fondamentale. Che si tratti di Darrell Royal o di chiunque altro. Mi piace, mi piace davvero. E mi piacerebbe farlo ancora".





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