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Benh Zeitlin - Speciale Re della terra selvaggia

Il regista Benh Zeitlin racconta il suo film candidato all'Oscar e l'incontro con la baby-prodigio Quvenzhanè Wallis

ROMA - Intanto l'universo che "si basa sull'incontro perfetto di tutte le cose. Se anche soltanto un piccolo pezzo si rompe, tutto si rompe". E poi tutto ciò che si perde: "Tutti perdono la cosa che li ha creati. Ma gli uomini coraggiosi rimangono e osservano, non scappano". Coraggiosi e selvaggi. Uomini come umanità senza genere. Uomini come donne e bambini e come la piccola Hushpuppy, che ha sei anni , una mamma morta "al cui passare si accendeva il fuoco e l'acqua cominciava a bollire", e un padre che mette tutto il suo amore nell'allenamento della piccola alla sopravvivenza, "animale tra gli animali". Selvaggio. Come è selvaggia la "Grande Vasca" in cui vivono, un fazzoletto di zona paludosa di un delta del Sud americano. Come è selvaggia la vita "di chi vive solo attingendo alla natura che li circonda, rifiutando la civiltà e basandosi su valori che nulla hanno che vedere con quelli americani. Ma chi vive a sud di New Orleans può capire che cosa significa perdere tutto e, se vuole restare lì, capisce che i beni più importanti sono gli affetti, la famiglia, le tradizioni e nulla più. Non è un documentario, ma ho cercato di cogliere il vero spirito di comunità che esistono davvero, anche se ho dovuto rendere il tutto più forte e più scenografico. Ma il senso è mostrare gente della palude, esseri della palude, gente che potrebbe andar via da luoghi così disagiati e non se ne va, che potrebbe fuggire verso terre sicure e invece aspetta sempre l'uragano successivo, gente che sente di essere pianta di quella terra, inestirpabile. E nel titolo c'è tutto: l'idea del re della giungla , l'dea della sopravvivenza, l'idea del non fuggire e del coraggio".
Così il regista Benh Zeitlin, a Roma per la presentazione del folgorante "Re della terra selvaggia" (dal 7 in sala), il film che ha vinto più premi nell'annata 2012 e che ora viaggia verso gli Oscar carico di nomination, le quattro più pesanti - miglior film, regia, sceneggiatura e attrice protagonista, la straordinaria Quvenzhanè Wallis che vi lascerà senza fiato e che Zeitlin racconta di aver scelto così: "Il procedimento di casting è stato apertissimo e fatto dagli stessi che avevano lavorato sul luogo per Obama, proprio porta a porta. Ci abbiamo messo 9 mesi e abbiamo visto circa 4.000 bambine, ma appena lei è arrivata, il cielo si è aperto, è stata una rivelazione biblica. Ho capito che eravamo di fronte a un genio , pensavo che sarebbe stato difficile farla recitare, dato che aveva sei anni, e invece ha lavorato come un'adulta, ne sentirete ancora parlare, credo che interpreterà tutti i grandi ruoli del futuro. È una specie di Beethoven della recitazione. Non è cresciuta né a New York né a Los Angeles, non sapeva neppure che cosa erano gli Oscar, pensava che si trattasse di una persona. Oggi, quando la vedo e sembra una diva, non mi stupisco, recita come recitava sul film e la famiglia è molto attenta a evitare che venga risucchiata nel patinato universo hollywoodiano".

Ma che umanità voleva raccontare nel film?"Quella di molti che vivono in Louisiana e sanno che la natura è ciò che ti dà la vita, ma può anche uccidere. Qui più che un film che parla del rapporto uomo contro natura e più che un film di crescita, è un film che ci mostra come la bambina diventi un buon animale. Ci mostra in che modo capisca come entrare in empatia armonica con la natura che le offre da vivere. Con un padre che cerca di spiegarle come sopravvivere in quel mondo quando lui non ci sarà più: le insegna a essere un altro animale nella catena , a rispettare la natura, ma anche a sopravvivere". E come ha tradotto la pièce in film? "La pièce teatrale era molto fantasiosa e piena di strane creature surreali, noi abbiamo pensato a come adattarle a un film che volevamo più realistico: abbiamo cercato di tradurre visioni mitologiche e apocalittiche nell'ambientazione della reale Lousiana".

Si aspettava tanti applausi e tanti premi? "Non potevo aspettarmelo, siamo un piccolo gruppo di persone che lavoravano per la prima volta in un lungometraggio in questo film e io l'ho finito due giorni prima del Sundance, poi son cominciate le interviste e poi Cannes e tutto il resto... un'avventura che diventava sempre più avventura di giorno in giorno".
Ma che cosa si attende dalla notte degli Oscar? "Sarò accostato ai più grandi cineasti del mondo, a quelli con cui sono cresciuto, e questo è già un risultato gigantesco: far parte di un gruppo di persone di enorme talento. Ma spero che questi riconoscimenti, cioè le nomination, a prescindere dagli Oscar, permettano di continuare a fare film come questi e non solo a me. Quindi non voglio aspettarmi nulla, ho già vinto".





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