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Intervista a Radu Mihaileanu - Speciale La sorgente dell'amore

Radu Mihaileanu, regista francese di origini romene, racconta la ganesi del suo ultimo film, "La sorgente dell'amore"

ROMA - Il mondo lo ha conosciuto con "Train de vie" presentato a Venezia nel 1998 e film che ha osato raccontare lo sterminio degli ebreo e la Shoah in commedia. Da allora il francese (di origini rumene) Radu Mihaileanu ha fatto molto altro, da "Vai e vivrai" (Panorama della Berlinale 2005, César 2006 della miglior sceneggiatura), storia d'Israele ma raccontata attraverso la storia di un africano che si finge un ebreo etiope a "Il concerto" a questo "La sorgente dell'amore" , in competizione allo scorso festival di Cannes e in questi giorni sui nostri schermi. Soprattutto ha fatto la sua rivoluzione. Perché è normale per un regista, che appartiene a una civiltà giudaico-cristiana, raccontare una storia di donne arabe-musulmane, una storia di resistenza e non solo di sofferenza, e raccontarla in modo che il punto di vista femminile diventi lo specchio del desiderio di riscatto dell'Islam? "Avevo tutto contro di me - dice Mihaileanu - Ero maschio, ebreo e rumeno. Ho esitato, mi ero ritagliato un ruolo solo come produttore e cosceneggiatore e a lungo ho cercato una regista araba. Poi, anche grazie anche a molti amici musulmani, mi sono convinto a dirigere il film. La mia esigenza primaria è stata non tradire né la soggettività di quella cultura né la soggettività femminile. Per questo mi sono preparato a lungo per capire ogni sfumatura, cominciando dal peso che le donne arabe danno alla parola tradizione. Nonostante imponga anche cose che reputiamo inaccettabili, per loro è parte del loro ruolo di responsabili del ciclo della vita, della pace interiore della comunità rispetto a uomini più volitivi, irresponsabili e spesso assenti".

Il risultato è un film  immerso nella musica che zooma sulla storia delle donne di un piccolo villaggio del Maghreb. Donne che, stanche di doversi arrampicare ogni giorno sotto il sole per prendere l'acqua dalla sorgente in cima alla montagna, decidono di fare lo sciopero del sesso finché i loro uomini, indifferenti al problema, non si decideranno a sistemare le tubature per fare arrivare l'acqua al villaggio.
Ci ha lavorato dal 2006 e non è stato facilissimo scrivere di queste  donne che si fanno protagoniste di un cambiamento in una microsocietà in stallo quando ancora anche la primavera araba sembrava lontana ma "era già evidente il desiderio di molte donne arabe di avere sempre più accesso alla cultura e all'istruzione, a posizioni decisionali. Un cambiamento che la tecnologia stava rendendo possibile. Ma non avevamo pensato alla rapidità con cui tutto ciò sarebbe avvenuto e all'effetto domino della rivoluzione. Oggi, proprio attraverso la situazione delle donne in quei paesi, possiamo vedere dove il bisogno di democrazia sia stato mantenuto o tradito - sottolinea - Ad esempio in Tunisia, le donne sono riuscite a mantenere una forma di partecipazione al governo attraverso l'opposizione, mentre in paesi come l'Egitto e la Libia, governati dai fondamentalisti, l'opposizione è minima, o non esiste: dove un regime maschilista ne sostituisce un altro non so quanta speranza ci sia per l'uguaglianza tra i sessi". Già.





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