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recensione di Matteo De Simei

C'era una volta...

C'era una volta un bambino sognatore di nome Walter, cresciuto dall'amore della sua numerosa famiglia e ammaliato dalla portentosa vista dei treni a vapore. Con il passare degli anni il piccolo Walt diventava sempre più grande senza però perdere mai quella fanciullezza che tanto lo aveva reso felice durante gli anni d'infanzia. Ormai adulto fece ritorno dalla sciagurata esperienza della Guerra e cominciò a cercare un lavoro che fosse in grado di mettere a frutto le sue innate doti creative e artistiche. Con la maturità, il cinema e l'animazione divennero le sue più grandi passioni, Charlie Chaplin il suo idolo. Fu così che, dopo aver coltivato una discreta pratica nel campo delle animazioni pubblicitarie, il giovane Walt decise un giorno di fare il grande passo e di avviare un suo studio d'animazione...
È così che inizia una delle favole più esaltanti e iridescenti del ventesimo secolo, che vede come protagonista l'antesignano dell'animazione cinematografica americana, Walt Disney.
Dopo essersi accasato a Hollywood e non prima di aver vissuto molteplici peripezie in giro per mezza America, la favola disneyana comincia a diventare realtà con la nascita della sua più grande creazione, Mickey Mouse, protagonista del primo cartone animato sonoro datato 1928. L'impatto col pubblico è fragoroso: il successo di Disney cresce a ritmi vertiginosi, tanto da lanciare una serie di prodotti di natura extracinematografica protetti dal diritto d'autore, tra cui spiccano i leggendari fumetti. Ma è il cinema a tenere banco tra i sogni di conquista del nostro. E conquista sarà perché a inizi anni trenta il suo nome entra di diritto nella Storia della settima arte, dapprima con il corto "Silly Symphonies" (1930, da noi "Le sinfonie allegre"), primo cartone animato a colori, e in seguito con "Flower and Trees" (1932), il primo corto d'animazione a vincere un Oscar, il primo dei venti insigniti dall'Academy Award nei decenni a venire.
Walt ottiene fama e successo ma non ha ancora le finanze sufficienti a sostenere le spese delle sue produzioni. La sfida che si prefigge è quindi l'approdo al lungometraggio. Operazione quasi impensabile a quei tempi, anche se la risolutezza, il coraggio e l'audacia di Disney lo convincono del contrario. Una sera del 1934 si imbatte, insieme ai suoi collaboratori, nella visione di "Biancaneve", film muto del 1916 diretto J. Searle Dawley, di fatto la prima rappresentazione cinematografica della fiaba popolare scritta nei primi anni del 1800 dai Fratelli Grimm. Quella visione segnerà l'inizio di una nuova, leggendaria avventura orchestrata dal brillante cineasta statunitense.


Genesi di una fiaba modello

Jacob e Wilhelm Grimm scrissero la prima stesura di "Biancaneve" ("Schneewittchen") nel 1812, all'interno della raccolta "Fiabe dei bambini e del focolare" ("Kinder und Hausmärchen", dove compaiono anche i personaggi di Cappuccetto Rosso e Hänsel e Gretel), rielaborando definitivamente il racconto quasi mezzo secolo più tardi.
Al di là dell'universale storia d'amore, i punti chiave di "Biancaneve" sono da ricercare fondamentalmente nella mancanza delle figure genitoriali che rendono la ragazza una pura di cuore ma eternamente ingenua e in un narcisismo antagonista che genera invidia e gelosia. Si tratta di una fiaba popolare piuttosto ambigua, come del resto molte altre rappresentazioni letterarie create dai Grimm, dai caratteri a tratti granguignoleschi e crudeli, alquanto inopportuni all'indole benevola di un bambino. L'istinto infanticida e il cannibalismo della matrigna, insieme al desiderio necrofilo del principe e allo spietato epilogo che vede l'atroce morte della stessa regina cattiva, concorrono a rappresentare una visione al limite con la forma canonica propria della fiaba universalmente rappresentata.
Da un punto di vista prettamente semiotico e antropologico è utile ricorrere agli studi condotti dal formalista russo Vladimir Propp sulle fiabe di magia per individuare le forme e gli elementi costanti che fanno di "Biancaneve" uno dei racconti più sfruttati e longevi dell'immaginario collettivo favolistico. Secondo le tesi di Propp, avanzate pochissimi anni prima dell'uscita del film disneyano, tutte le fiabe corrispondono a schemi ben precisi e ogni azione rientra in determinate funzioni narrative che, in questo caso, sono rappresentate dalla mancanza, dal salvataggio e dalla vendetta (solo per citare le più influenti). La forza di "Schneewittchen" risiede nel far rientrare con estrema semplicità molte delle funzioni narrative elaborate da Propp all'interno di molteplici oggetti del racconto, ognuno dei quali contribuisce a modellare la forma canonica della fiaba: gli eroi (i nani, più del principe), l'oggetto del desiderio (la bellezza di Biancaneve), l'antagonista (la matrigna cattiva), gli oggetti magici (la mela), gli aiutanti (gli animali del bosco). Per capire come la morfologia della fiaba proppiana riconduca ai medesimi schemi ben definiti e per intuire, altresì, l'unicità e l'essenzialità del racconto dei fratelli Grimm, è facile proporre al lettore l'esempio degli innumerevoli elementi in comune tra Biancaneve e altre celeberrime opere come Cenerentola (la matrigna crudele), la Bella Addormentata (il bacio salvifico del principe), Cappuccetto Rosso (la vendetta ai danni dell'antagonista), solo per citarne alcune.
La peculiare caratteristica di quella che da molti viene considerata la fiaba modello per antonomasia contribuisce non poco alla scelta di Walt Disney per il soggetto del suo primo, eroico, lungometraggio d'animazione.


Storia di un miracolo annunciato

Walt Disney inizia le lavorazioni nel 1934, dopo essere approdato alla RKO dalla United Artists fondata dal suo idolo Chaplin. Arruola Don Grasham, rinomato professore universitario di disegno, per impartire lezioni ed esperimenti volti al realismo animato, agli effetti speciali e a migliorare i processi propri dell'animazione come l'effetto di profondità. Innovazione e tecnica vengono esalate dall'uso della multiplane camera e del rotoscope, già utilizzato per Betty Boop e I viaggi di Gulliver nei primi anni 30.  Il problema rimane uno solo: chi finanzia? Alcuni produttori non si fidano di un passo così azzardato, altri sono semplicemente a corto di denaro, gli stessi familiari nella figura del fratello Roy lo pregano di arrendersi a un potenziale rischio che potrebbe fargli chiudere la baracca dopo un inizio così folgorante. Neanche per sogno, Walt è disposto ad ipotecare la casa pur di avviare la lavorazione di "Biancaneve e i sette nani".
Dopo tre anni di lavorazione, finalmente il progetto vede la luce. Disney investe l'ingente somma di un milione e mezzo di dollari al fine di sfondare un record dietro l'altro: non solo il primo lungometraggio d'animazione della storia del cinema, come già sottolineato, ma anche il primo prodotto in America, il primo a colori, anzi in Technicolor. E come se non bastasse la prima opera cinematografica a includere un album a parte per la colonna sonora. Diretto da ben cinque animatori supervisionati da David Hand (anche se, in realtà, nel corso dei tre anni di lavorazione se ne avvicenderanno più di trenta), quello che diverrà il primo classico Disney subisce significative trasformazioni in mano al genio del cineasta nativo di Chicago rispetto al racconto dei Grimm. La narrazione asciutta ed essenziale evita infatti di anteporre la morte della madre e il nuovo matrimonio del padre lasciando che siano le didascalie del prologo a introdurci nel racconto. Disney rinuncia a una larga fetta dei crudeli tratti peculiari dei Grimm come la vendetta finale (o "sanzione", come direbbe il linguista Algirdas Greimas), l'atto cannibale e i molteplici tentativi di avvelenamento della vecchia strega (eliminando gli oggetti magici del pettine e della cintura) senza tuttavia abbandonare parentesi lugubri come la corsa notturna nel bosco popolato da gufi minacciosi e da alberi dal terrificante aspetto umano, di chiara influenza espressionista (si pensi alle geometrie plastiche delle scenografie in "Il gabinetto del dottor Caligari" e all'oscurità degli ambienti in "Nosferatu"). Soprattutto, Walt Disney disegna una nuova formulazione dell'eroe. Se, infatti, nell'opera originale il risveglio della fanciulla è da ricondurre esclusivamente alla caduta del feretro di vetro che provoca l'espulsione del pezzo di mela mangiato (gli eroi sono esclusivamente i nani), nel film è il principe a svegliarla attraverso un bacio d'amore in grado di donarle di nuovo la vita. Per dirla con le parole di Propp, l'eroe ottiene l'oggetto del desiderio poiché senza il suo intervento la fanciulla rimarrebbe in un sonno eterno. Disney aveva in tal senso avvalorato la tesi del linguista russo giocando a sua volta proprio con gli stati e le trasformazioni della fiaba popolare, manipolandone a proprio piacimento il tessuto narrativo senza invalidare gli schemi chiave propri della favola.
Dunque Disney non lavora solo di sottrazione rispetto all'opera originaria. Perché allora "Biancaneve" è oggi quasi universalmente riconosciuta per mezzo dell'opera disneyana? Quali sono state le mosse vincenti del cineasta americano?


Il lavoro sui personaggi e la nuova frontiera dell'immagine-suono

La sostanziale intuizione di Disney è quella di puntare quasi del tutto sulla caratterizzazione dei personaggi e in particolar modo sui sette nani, prova ne sia che originariamente il film doveva essere incentrato su di loro e avere una connotazione ancora più comica. L'idea è quella di infarcire costantemente il livello narrativo con gag e momenti esilaranti realizzabili proprio attraverso le ilari e vivaci rappresentazioni degli aiutanti di Biancaneve. Non a caso Cucciolo e Brontolo sono quelli che ancora oggi ottengono un successo più riconosciuto, non tanto per la minore caratterizzazione degli altri cinque, ma proprio perché nel film sono i due che meglio si apprestano a ricevere le attenzioni degli animatori mediante scherzi, battute, slapstick.
La matita che tratteggia Biancaneve ("ha la bocca di rosa e ha d'ebano i capelli, come neve è bianca") appare, per contro, superficiale e sterile perché in realtà la sua figura rappresenta un mezzo, un canale in grado di far luce su due argomenti imprescindibili della pellicola, l'estetica e la natura degli animali. Riguardo al primo punto, al di fuori del livello narrativo che già conosciamo (bellezza di Biancaneve vs gelosia/invidia della matrigna), a fare la differenza è allora la geniale intuizione della catottromanzia, della lettura dello specchio magico ("specchio, servo delle mie brame, chi è la più bella del reame?") assente nel racconto dei Grimm. Sono attraverso gli elementi dello specchio e della trasformazione della matrigna in strega cattiva in stile dottor Jekyll che il tema della bellezza assume un significato fondamentale poiché assurge a performanza della narrazione. In altre parole, se non ci fosse lotta o competizione per quello che l'antagonista vuole ottenere, non ci sarebbe nessuna trasformazione e quindi nessuna narratività in senso stretto. Insieme alla bellezza, Biancaneve ricopre un'altra dote basilare, comprende i sentimenti degli animali e comunica con loro. La protagonista è attorniata dall'intera fauna che popola il bosco, in essi ella riconosce la medesima purezza e bontà (e viceversa). L'umanizzazione degli animali in Disney raggiunge la più alta carica emozionale, caratteristica questa che farà la fortuna dei suoi classici futuri, da "Dumbo" a "Bambi", dagli "Aristogatti" alla "Carica dei 101".
"Biancaneve e i sette nani" riveste altresì un ruolo fondamentale nell'ambito dell'evoluzione del binomio immagine-suono. Il film d'animazione è imbevuto di assonanze e allitterazioni (si pensi ai dialoghi di Dotto), da canti, dalla musica. Se la chiusura del cerchio de "Il mio amore un dì verrà" (cantata in apertura da Biancaneve e nelle battute finali dal Principe) sottolinea il desiderio di amore e felicità ricercato dalla fanciulla, "Ehi-Ho!" è il refrain che ha reso celebri le figure dei sette nani in tutto il mondo. L'immagine e il suono si sublimano dunque in un'esperienza sensoriale che richiama l'elegia del panismo, esperienza in grado di amplificare il livello narrativo anche per merito della lodevole caratterizzazione dei personaggi disegnati.


E vissero felici e contenti...

Walt Disney si accorge il 21 dicembre 1937, giorno dell'anteprima mondiale al Carthay Circle Theatre di Los Angeles, di essere riuscito nell'impresa tanto bramata. L'accoglienza è stupefacente, gli incassi altrettanto. A fronte del sacrificio che portò Disney a sborsare un milione e mezzo di dollari per completare il film (un'enormità a quei tempi), "Biancaneve e i sette nani" fu capace di raccogliere più di otto milioni in tutto il mondo alla sua prima uscita, 416 con le future riedizioni. Fino alla venuta di "Via col vento" due anni più tardi, il primo lungometraggio disneyano segnerà il più grande successo dall'avvento del sonoro. Le imitazioni e le parodie nel corso dei decenni così come le rivisitazioni recenti testimoniano come il primo classico disneyano rappresenti ancora oggi una fonte inesauribile dell'immaginario collettivo fiabesco oltre che una delle pagine più felicemente colorate e rivoluzionarie della cinematografia americana.
Nel mezzo del film, a un certo punto, i nani chiedono a Biancaneve di raccontare loro una "favola vera". La bella principessa avrebbe potuto esporre la "favola vera" di Walt Disney, di quel magico momento vissuto quella sera di dicembre al Carthay Circle Theatre, dove realizza finalmente di essere riuscito ad avverare i sogni di quando era bambino proprio mentre i suoi occhi sbalorditi si posano su un signore che, in piedi, applaude come un forsennato tra la standing ovation generale del pubblico. Quel signore è un certo Charlie Chaplin, il suo idolo dell'infanzia.
Fu così che il piccolo Walt divenne un giorno il pioniere dell'animazione. La sua favola potrebbe concludersi qua, con un eroe "felice e contento". In realtà, l'avventura è solo agli inizi...


Bibliografia

Oreste De Fornari, "Walt Disney", Editrice Il Castoro, 1995
Algirdas Julien Greimas, "Semantica strutturale", Meltemi Editore, 2000
Vladimir Propp, "Morfologia della fiaba", Einaudi Editore, 2000


22/09/2014

Cast e credits

cast:
Adriana Caselotti, Lucille La Verne, Harry Stockwell, Pinto Colvig, Roy Atwell


regia:
David Hand, Perce Pearce, William Cottrell, Larry Morey


titolo originale:
Snow White and the Seven Dwarfs


distribuzione:
RKO Radio Pictures


durata:
83'


produzione:
Walt Disney Productions


sceneggiatura:
Dorothy Ann Blank, Richard Creedon, Merrill De Maris, Otto Englander, Earl Hurd, Dick Richard, Ted Sears, Webb Smith


scenografie:
Samuel Armstrong, Mique Nelson, Phil Dike, Merle Cox, Ray Lockrem, Claude Coats, Maurice Noble


musiche:
Frank Churchill, Leigh Harline, Paul J. Smith


Trama
Biancaneve è una principessa dall'animo puro che vive con la matrigna, una Regina malvagia e ossessionata dal suo aspetto fisico. Temendo che la bellezza di Biancaneve possa superare la sua, la regina la costringe a lavorare come sguattera, interrogando ogni giorno il suo Specchio Magico su "chi sia la più bella del reame"...