drammatico | Iran/Germania/Francia (2024)
Mohammad Rasoulof ha fatto di necessità virtù: impossibilitato a girare il proprio film a causa della censura e dei processi a suo carico per i lungometraggi precedenti, ha scelto di realizzare "Il seme del fico sacro" di nascosto, clandestinamente, optando per una storia che si svolge in interni e scegliendo di fare delle dinamiche familiari il centro della propria storia e, insieme, l'allegoria dell'intera società iraniana. Al contempo, l'atto di accusa verso il regime degli ayatollah viene veicolato non solo dal racconto, ma anche dalla scelta di innestare in quest'ultimo brandelli di realtà violenta e cruda nella forma di video realizzati tramite cellulari dai partecipanti alle proteste del 2022 tramite telefoni cellulari e censurati dalla repubblica islamica perché contrari alla propaganda ufficiale. Il racconto allegorico e l'atto del mostrare, del riproporre visioni diverse della realtà vietate dal regime, sono i due piani su cui si costituisce il film di Rasoulof e che si uniscono nel rapporto fra esterno e interno, fra Stato iraniano nel suo complesso, dilaniato dalle proteste antiregime, e il microcosmo familiare quale specchio delle dinamiche sociali proprie dell'intera nazione.
Denuncia in forma di allegoria
La forma allegorica del film è chiara sin dal titolo: i semi del fico sacro, come viene spiegato dalle didascalie su campo nero precedenti l'inizio della trama, germogliano e crescono sul corpo di una pianta morente fino a sostituirsi ad essa: si tratta di un'immagine metaforica che si riferisce alle nuove generazioni, nuovi semi che nascono nel regime degli ayatollah e che, forse, si sostituiranno ad esso cancellandolo e rimpiazzandolo.
Le costrizioni obbligano il regista a girare in ambienti protetti e lontani dal controllo altrui: dunque la maggior parte del film si situa fra le mura della casa, mentre il finale è collocato in una casa isolata in campagna e fra le rovine di un villaggio abbandonato. Si tratta di un racconto ambientato soprattutto in interni e avente la famiglia come centro della narrazione: grazie a una sceneggiatura di prim'ordine, il film tratteggia in modo approfondito e mai banale sia le dinamiche interne al nucleo familiare sia le personalità che la costituiscono, divisa fra i genitori (il padre, il cui nome, Iman, significa per l'appunto "fede", e la madre, completamente identificata nel suo ruolo di angelo del focolare e di supporto del marito) e le due figlie, una ventenne e l'altra adolescente, desiderose di maggiore libertà e simpatizzanti con gli autori delle proteste antiregime. La famiglia diventa quindi l'allegoria dell'Iran: lo Stato teocratico e le sue strutture sociali si replicano nelle relazioni patriarcali interne alla famiglia. In particolare, il padre è il centro delle dinamiche domestiche, sia perché unico detentore di un lavoro e quindi di reddito, sia in quanto colui che stabilisce le regole di comportamento delle figlie. Inoltre, Iman, a causa delle rivolte, delle responsabilità collegate all'avanzamento di carriera e alla perdita della pistola di ordinanza, incrinerà pian piano i rapporti con la moglie e le figlie, sostituendo sempre più i normali rapporti famigliari e sociali con metodi di coercizione e di controllo violenti, divenendo così il perfetto doppio dello Stato teocratico, nazione in cui la religione si è tramutata da fede in ideologia politica e, infine, in repressione violenta.
Il privato è il politico: l'esterno collassa verso l'interno
Se il film si concentra sulla famiglia, la società preme su quest'ultima in tanti modi: dalle pressioni che vengono fatte al marito sul posto di lavoro, alle urla della folla in rivolta che entrano nella casa tramite le finestre e i diversi media. La società e le dinamiche politiche che la riguardano, cioè l'esterno, premono in modo sempre più forte e distruttivo sull'interno, sulle mura domestiche e sul nucleo familiare, già (come visto poco sopra) impossibilitato a distinguere il privato dal politico, dunque coincidente con l'identificazione di questi ambiti.
Il film presenta lo scarto fra la propaganda ufficiale del regime, trasmessa e diffusa dai canali televisivi, e le riprese tramite videocamera delle proteste effettuate dagli stessi partecipanti a queste ultime, poi rese virali attraverso la diffusione nei social network. Questo scarto viene sia presentato nel linguaggio filmico, sia tematizzato nel racconto: in quest'ultimo caso assume la forma del conflitto generazionale, dato che i genitori si fidano della versione offerta dalla tv, mentre le figlie credono a ciò che guardano sul proprio telefonino. Al contempo, le riprese tratte dai social vengono montate nel film: si tratta di video degli sconti registrate dal cellulare, testimoniate dal formato verticale dell'inquadratura e dalla concitazione delle scene, frutto di riprese realizzate durante la partecipazione alle proteste. Queste scene diventano sempre più macabre man mano che la trama procede: mostrano violenze di ogni genere sui partecipanti ad opera dell'esercito e della polizia e culminano con un uomo in divisa che spara verso la telecamera di un cellulare. In particolare, quest'ultima scena simboleggia non solo la crudeltà di un regime che pratica impunemente la violenza, ma anche l'irruzione della realtà cruenta, dell'esterno, nell'ambito familiare: dopo questa piccola scena, infatti, il comportamento del padre si farà sempre più disumano e violento, finendo con l'applicare alle figlie e alla moglie le pratiche riservate ai dissidenti politici. I rapporti familiari giungono così a un punto di non ritorno rompendosi e venendo sostituiti da dinamiche più simili a quelle che si troverebbero in un carcere: vige un'atmosfera di sospetto e di controllo, culminante con la lotta di tutti contro tutti.
Racconto
Escludendo i filmati dei cellulari, Mohammad Rasoulof decide di veicolare il proprio j'accuse tramite un racconto di finzione, caratterizzato tuttavia dalla stessa duplicità riscontrabile nella struttura del film. Da una parte, si affida a un racconto lineare, costituito dal thriller incentrato sulla ricerca della pistola e culminante con le scene di azione del finale che sfociano nel western, in particolare per via dell'ambientazione polverosa e desertica, oltre che per il cliché della sparatoria conclusiva. Dall'altra parte, il lungometraggio presenta vari nuclei narrativi: all'inizio viene accennato il problema etico che attanaglia Iman alle prese con il suo nuovo incarico, poi vengono affrontate le proteste e il dramma dell'amica delle figlie, in seguito subentra la perdita della pistola e le progressive reazioni scomposte del padre. Se l'ambientazione in interni e la scelta obbligata di concentrarsi sulla famiglia, insieme al male che in modo strisciante la avvelena, assicurano unità a questa molteplicità di nuclei narrativi altrimenti irrisolti, è anche vero che questi ultimi contribuiscono a dividere e a frazionare le relazioni fra i quattro protagonisti disponendoli secondo cerchi concentrici: dall'esterno all'interno troviamo il padre alle prese con il nuovo incarico e con i problemi che questo comporta, poi la madre, punto di congiunzione fra Iman e le figlie, infine queste ultime, intente a relazionarsi al modo esterno simboleggiato dall'amica e dalle proteste.
Forse è proprio questa caratteristica narrativa, insieme alla denuncia politica, ciò che permette di collegare "Il seme del fico sacro" al grande cinema iraniano d'autore: l'apparente semplicità del racconto perseguita anche tramite la somma di micro-episodi in grado di mostrare vari e diversi aspetti della società che si vuole rappresentare, come accade, fra i tanti esempi che si potrebbero fare, in "Dov'è la casa del mio amico?" ("Khane-ye doust kojast?", 1987) di Abbas Kiarostami o in "La bambina segreta" ("Until Tomorrow", 2022) di Ali Asgari.
cast:
Misagh Zare, Soheila Golestani, Mahsa Rostami, Setareh Maleki
regia:
Mohammad Rasoulof
titolo originale:
The Seed of the Sacred Fig
distribuzione:
BiM Distribuzione, Lucky Red
durata:
168'
produzione:
Run Way Pictures, Parallel45
sceneggiatura:
Mohammad Rasoulof
fotografia:
Pooyan Aghababaei
scenografie:
Amir Panahifar
montaggio:
Andrew Bird
musiche:
Karzan Mahmood