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Il nuovo saggio di Antonio Pettierre, "Il cinema di frontiera di Sam Peckinpah" è un piacevole e interessante viaggio attraverso la filmografia di uno degli autori più importanti del cinema moderno americano, finalizzato a ricercare quegli elementi "di frontiera" presenti nella tecnica, nelle tematiche e nelle storie del grande regista californiano e a offrire al lettore una completa esposizione della sua opera

La frontiera di Sam Peckinpah

Ci sono diverse ragioni per considerare il cinema di Peckinpah come un cinema di frontiera.
Il primo - e se volete più banale - motivo è che la metà delle sue produzioni per il grande schermo (alle quali si aggiungono anche diversi lavori televisivi) sono pellicole western, nelle quali l’ambiente primitivo e inesplorato del selvaggio Ovest, i primi insediamenti dei pionieri, gli accampamenti di minatori, i deserti, i piccoli villaggi messicani, i torrenti, i boschi e le cime identificano lo spazio d’azione dei protagonisti e ne rappresentano sovente il contraltare psicologico, lo specchio dell’intima natura. Com’era stato per il cinema classico di Ford, di Mann e di Aldrich, anche per il cineasta californiano la frontiera diventa dunque lo spazio nel quale inscenare lo scontro tra tame e wild, tra civiltà e barbarie, tra società e ribelli.    
E tuttavia la frontiera, nella filmografia di Peckinpah, non è soltanto scenografica, ma anche e soprattutto tematica, stilistica, cinematografica. Ed è questo l’aspetto più interessante.         

Il saggio di Antonio Pettierre, intitolato per l’appunto “Il cinema di frontiera di Sam Peckinpah” ha il merito, tra gli altri, di far chiarezza e di sottolineare questa seconda connotazione del termine. La frontiera è qui più che altro una questione metacinematografica: si identifica con la capacità di porsi come autore in uno spazio limite, capace di condurre il genere verso una nuova identità e una nuova coscienza critica.       
Pettierre nota come a ciò si arrivi tramite la contaminazione del genere con elementi postmoderni quali l’eliminazione di una distinzione tra cultura alta e bassa, l’isterismo e la frammentarietà dell’individuo, la destrutturazione della società e l’omogeneizzazione dello spazio.       
Ma nel passaggio tra il western classico e quello moderno importante per Peckinpah è anche il rovesciamento dei topoi narrativi. Il cinema non è più lo strumento con il quale edificare un mito e una letteratura nazionale, ma il bisturi con il quale rilevare la malattia sociale, la sete di violenza propria di ogni individuo, una violenza che diviene “raffigurazione intrinseca dell’animo umano, imprinting nelle azioni di ogni singolo individuo fin dai giochi infantili, testimonianza di una società dove i soprusi e le coercizioni sono alla base della quotidianità”.
Se la società, nella concezione classica, aveva rappresentato un sicuro rifugio dai pericoli della wilderness, il luogo accogliente e caldo della famiglia, ora - ci insegna Pettierre - la comunità diventa lo spazio del male, il luogo dal quale è necessario fuggire. Gli eroi e gli sconfitti si confondono in un “mucchio selvaggio” in cui tutto ciò che conta è sentirsi vivi e in cui l’unico valore che sembra sopravvivere è quello dell’onore individuale.      
A questo capovolgimento valoriale si accompagna chiaramente la necessità di un rinnovamento formale - che il saggio non manca di evidenziare e di enfatizzare dimostrando un’ottima conoscenza in materia - dove all’utilizzo della slow motion da un lato si contrappone dall’altro lato un montaggio velocissimo e sincopato, che pian piano si consolida divenendo il marchio stilistico peckinpahiano, utilizzato in capolavori come “Il mucchio selvaggio” e “Voglio la testa di Garcia”.
Sono questi alcuni degli elementi che il testo in questione ci aiuta a focalizzare, invitandoci a un approccio più cosciente e critico ai singoli film del regista americano.    

“Il cinema di frontiera di Sam Peckinpah” è un viaggio alla (ri)scoperta di un autore fondamentale per la storia della Settima Arte, le cui tappe sono rappresentate dalle opere che ne puntellano la filmografia, dalle più celebri alle meno riuscite. Pettierre analizza in maniera analitica la produzione peckinpahiana, alla ricerca degli elementi che hanno reso l’autore uno dei primi cineasti moderni. Il libro si sofferma su alcune sequenze, che affronta con una certosina analisi stilistica, indugiando sui piani, sui movimenti di macchina e su altri aspetti tecnici, ma a questa analisi più propriamente cinematografica si uniscono elementi biografici volti a contestualizzare il tutto: il passato televisivo, il perenne scontro con i produttori, le amicizie e le collaborazioni, fino al baratro dell’alcolismo, della droga e all’autodistruzione.

La passione di Pettierre per Peckinpah nasce proprio qui su Ondacinema, dove nel 2015 scrive una ricca monografia sull’autore. Da lì i suoi studi proseguono fino a sfociare oggi in questo testo, che ci pregiamo consigliare a tutti i nostri lettori per l’accuratezza e la passione che ne accompagnano la scrittura.            
Pettierre riesce ad appassionare il lettore senza tediarlo con tecnicismi, firmando un saggio di ampio respiro rivolto non soltanto agli addetti ai lavori, ma anche al grande pubblico: a tutti coloro che vogliono scoprire per la prima volta o che vogliono approfondire uno dei nomi centrali del cinema americano a cui molti degli autori contemporanei si sono ispirati e che ancora oggi è in grado di insegnarci qualcosa su di noi e sul presente.


Per ulteriori informazioni riguardo al saggio:

Antonio Pettierre, "Il cinema di frontiera di Sam Peckinpah", Arcoiris, Salerno 2019
Numero di pagine: 152
Prezzo: 12€
Link alla pagina dell'editore: https://www.edizioniarcoiris.it/nastri-dargento/160-il-cinema-di-frontiera-di-sam-peckinpah.html