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La recente uscita nelle sale dell’"Antigone" di Sophie Deraspe, a due anni dalla presentazione in anteprima alla Festa del Cinema di Roma, ha rilanciato la discussione sull’adattamento per il grande schermo di classici dell’antichità, con più o meno forzate contestualizzazioni contemporanee. 

A maggior ragione visto che l’opera in questione è l’Antigone di Sofocle, quella che è stata definita "la tragedia sublime per eccellenza e, sotto ogni punto di vista, l’opera d’arte più perfetta che lo spirito umano abbia mai prodotto" (parola di Hegel).

Un’opera adattata per il grande schermo svariate volte, la maggior parte delle quali in versioni classiche in costumi d’epoca. Meno frequenti gli adattamenti con ambientazione contemporanea, il più celebre dei quali, prima di questi ultimi anni, era sicuramente "I cannibali", film del 1970 di Liliana Cavani. Nel 2018 si era confrontata con la tragedia di Sofocle – sempre con ambientazione contemporanea – anche una produzione italo-francese, diretta da Julien Paolini e ambientata in Sicilia, "Amare amaro". Si trattava, tuttavia, di un film minore, con una ridotta circolazione festivaliera e una distribuzione limitata esclusivamente al territorio francese. Già ampiamente discussa su queste pagine è stata un’altra versione di taglio contemporaneo - e post-moderno - della tragedia di Sofocle, "Antigone, How Dare We!", del regista sloveno Jani Sever, presentato al Trieste Film Festival 2021 e tratto da un'opera di Slavoj Žižek. Anch’esso un film di nicchia, che difficilmente uscirà dal perimetro festivaliero ove sinora è rimasto confinato. E poi, appunto, troviamo l'"Antigone" di Sophie Deraspe, miglior film canadese al TIFF 2019 e opera scelta per rappresentare il Canada agli Oscar 2020.

Più numerosi, invece, gli adattamenti di stampo classico: tra di essi vanno ricordati i due film per la televisione di Vittorio Cottafavi (andati in onda nel 1958 e nel 1971), quello greco di Yorgos Javellas del 1962 (con Irene Papas protagonista), nonché il rigorosissimo (almeno quanto alla forma) "Antigone" di Jean-Marie Straub e Danièle Huillet, di taglio brechtiano. Opere che tuttavia non saranno oggetto di questo approfondimento, le cui riflessioni sono incentrate su quelle versioni che hanno tentato di adattare al mondo contemporaneo (e a una visione contemporanea) il mito di Antigone. In particolare, ci si focalizzerà sui due lungometraggi più celebri (tralasciando dunque le opere minori): quelli, già citati, di Liliana Cavani e di Sophie Deraspe.

Antigone oggi: dagli anni di piombo al Black Lives Matter

Va detto, innanzitutto, che non è di certo elencando le differenze tra il testo sofocleo e le opere cinematografiche che a esso si ispirano che si possono fondare giudizi di valore su queste ultime. Le differenze, anzi, sono sacrosante, nonché implicite nello stesso richiamo a un libero adattamento dell’opera di Sofocle. E lo scostamento è pressoché inevitabile se si adotta la scelta di portare la tragedia sofoclea in uno scenario totalmente diverso da quello di partenza: non la città-stato retta da un despota (la Tebe di Creonte), bensì, nel caso dell’"Antigone" di Deraspe, una moderna democrazia - e una delle più efficienti, peraltro (il Canada) - con un contesto influenzato dalle recenti vicende legate agli abusi della polizia negli Stati Uniti e al movimento del Black Lives Matter che a essi si contrappone. Oppure, come nel caso de "I cannibali", la Milano del 1970, all’inizio degli anni di piombo (o al crepuscolo dell’utopia sessantottina, se si preferisce). Una Milano che nelle intenzioni di Liliana Cavani si trasforma in una generica e anonima metropoli di un futuro distopico, vagamente ispirato al clima instauratosi in Grecia a seguito del colpo di stato dei colonnelli.

Elencare differenze è dunque inutile, oltre che potenzialmente fuorviante. E d’altronde bastano alcuni brevi cenni sinottici per verificare se e quanto le due opere filmiche in esame convergano con la tragedia di Sofocle.
Ne "I cannibali" assistiamo alle vicende che coinvolgono la giovane Antigone, che, in una metropoli invasa dai corpi dei ribelli lasciati a marcire sulle strade, affronta la minaccia esplicita del regime - che ha decretato la condanna a morte per chiunque tocchi quei cadaveri - rimuovendo la salma del fratello Polinice dal marciapiede in cui si trova, per prestargli gli onori funebri.
Nel film di Deraspe, Antigone, sua sorella Ismene e i suoi due fratelli Eteocle e Polinice sono emigrati in Québec dall’Algeria, assieme alla nonna Menecea, dopo la morte dei genitori. In Canada i due ragazzi sono entrati in un brutto giro di gang minorili e Polinice viene arrestato dalla polizia sotto gli occhi di Eteocle. Mentre sta estraendo dalla tasca il cellulare per filmare l’arresto del fratello e documentare eventuali abusi, Eteocle viene colpito da uno sparo esploso da uno degli agenti, che fraintende il gesto del ragazzo. Eteocle muore e Polinice viene portato in carcere con l’accusa di resistenza a pubblico ufficiale e violazione della libertà condizionale. Rischia l'espulsione dal paese, visto che già aveva piccoli precedenti. Per evitare il ritorno al paese d’origine, Antigone pianifica una fuga rocambolesca che prevede uno scambio di persona tra lei e suo fratello.

Se, come detto, le eventuali differenze con la tragedia sofoclea (numerose nel film di Deraspe, meno accentuate in quello di Liliana Cavani) non costituiscono di per sé un problema, un problema invece non può non palesarsi se a venir travisato è lo stesso spirito del testo originale. Un problema sicuramente non grave per un’opera che all’Antigone si ispiri soltanto, ma che lo diventa se si compie quella scelta di radicale immedesimazione che prevede l’utilizzo dello stesso titolo della tragedia (come fa la Deraspe) e degli stessi nomi dei personaggi mitologici del ciclo tebano (come fanno sia Deraspe che Liliana Cavani). Una scelta che non può passare indenne da critiche se non intercetta, appunto, ciò che quelle figure e quel testo incarnano.

Ma qual è lo spirito dell’Antigone? Cercare di evidenziarne i caratteri diventa a questo punto fondamentale, pur con la consapevolezza dell’estrema difficoltà insita in tale operazione. L’Antigone di Sofocle, infatti, è stata interpretata in decine di modi diversi, spesso contrastanti, e ha dato adito a una molteplicità di opere (oltre a quelle filmiche già citate, quelle letterarie e teatrali) ove le variazioni sul tema sono state numerose. Il dibattito sull’Antigone, in realtà, trova un radicamento già a monte – e dunque ancor prima della sua interpretazione e della trasposizione in opere derivate –, in particolare in sede di traduzione dal greco antico, che ha decretato la coesistenza di una serie di versioni, alcune delle quali controverse, a partire da quella di Hölderlin di inizio Ottocento. In un tale contesto, identificare i termini del dibattito sulla figura di Antigone è sicuramente un esercizio complesso, ma allo stesso tempo stimolante.

Lo spirito dell’Antigone

Il dibattito sulla figura dell'eroina tebana è vecchio di millenni, ma è anche straordinariamente e costantemente attuale, come dimostra il fatto che lo si potrebbe benissimo adattare (in maniera strumentale, ma tant’è) alle recenti proteste di piazza contro le restrizioni pandemiche.
Antigone è stata spesso etichettata come la paladina della lotta contro le ingiustizie, con una visione probabilmente troppo sbrigativa e semplicistica. Perché Antigone è in realtà l’eroina del giusnaturalismo, è la paladina del diritto naturale, della legge di giustizia che si scontra contro la legge emanata da un legislatore. È la paladina di coloro che si oppongono al (presunto) arbitrio del potere in forma di diritto positivo. Come detto, si tratta di un dibattito epocale, su cui sono stati scritti fiumi d’inchiostro e che non può essere banalizzato in poche righe. Ma è comunque un dibattito dai termini di partenza ben precisi e ben identificabili, almeno sotto il profilo teorico: la legge naturale di Antigone contro la legge imposta di Creonte; la giustizia delle leggi divine e delle tradizioni contro l’editto del sovrano.

Le vicende che accadono ai Polinice ed Eteocle di Sophie Deraspe rivelano, innanzitutto, qualche approssimazione in fase di scrittura: Polinice viene arrestato non si sa bene per cosa, ma evidentemente per i suoi trascorsi nella gang criminale degli Habibi. Dopo la morte di Eteocle, le imputazioni a carico di Polinice, comunicate dall’ufficiale di polizia alle sorelle Ismene e Antigone, sono quelle di violazione della libertà condizionale e di aggressione a pubblico ufficiale. Un’aggressione che non è mostrata nel film, se non nelle forme di una "normale" resistenza all’arresto, ma che viene riferito essere stata successiva all'uccisione del fratello. Quella dell’aggressione sembrerebbe, dunque, una contestazione apparentemente marginale, secondaria e, soprattutto, sopravvenuta all’arresto. Eppure, Antigone si focalizza contro l’ingiustizia di quella specifica imputazione, contro la sua manifestazione concreta: in altre parole, non ci si domanda se sia giusta o meno la norma che punisce l’aggressione a pubblico ufficiale o quella che dispone l’espulsione dal paese in presenza di una fedina penale non particolarmente limpida, o ancora, più in generale, quella che prevede l’arresto delle persone a cui viene imputata la violazione di norme penali. Ciò che è messo in discussione da Antigone (e da Ismene e da tutta l’opinione pubblica) è la contestazione specifica in rapporto alla situazione concreta, ossia l’aggressione a un pubblico ufficiale conseguente a un grave evento come il colpo di pistola esploso verso il fratello che voleva soltanto documentare un arresto con lo smartphone. Eppure, quel tragico sparo è un'azione che deriva non dal diritto che abusa, semmai dall’abuso del diritto. È un’azione che - se come abuso verrà giudicata - porterà probabilmente (almeno in Canada, meno probabilmente se fossimo nel Texas) alla responsabilità di chi l’ha commessa, in quanto si pone contra legem, non in osservanza di essa.

Il fatto che una persona venga arrestata e sottoposta a un processo in presenza di presunte violazioni di norme penali non può considerarsi un’ingiustizia di per sé, ovviamente. Eppure, l’infrazione della legge da parte di Antigone (che si concretizza tecnicamente nel reato di procurata evasione) è di fatto volta a evitare (a) un processo che prevede, potenzialmente, (b) la comminazione di un’espulsione a causa di (c) un reato che si ritiene commesso a seguito di un’ingiustizia. Siamo ben lontani, dunque, dal costrutto sofocleo della ribellione a una legge ingiusta e il raffronto che segue può aiutare a comprendere tutto ciò in maniera schematica:

[legenda: (i) in Sofocle; (ii) in "Antigone" di Sophie Deraspe]

La ribellione di Antigone: l’azione ribelle in fatto
(i) rendere gli onori funebri al cadavere del fratello Polinice
(ii) aiutare il fratello Polinice ad evadere di prigione

La ribellione di Antigone: l’azione ribelle in diritto
(i) la violazione di un editto proclamato dal sovrano
(ii) la violazione di leggi penali che prevedono il reato di procurata evasione

Cosa vuole evitare l’azione ribelle
(i) che un cadavere venga esposto al pubblico ludibrio e lasciato a marcire senza che gli vengano tributati gli onori funebri
(ii) la sottoposizione a un processo penale, l’eventuale condanna e la conseguente possibile espulsione del fratello

L’evento che si vuole evitare è
(i) certo e attuale
(ii) incerto e futuro, in quanto legato all’esito di un processo penale

In quale contesto ci troviamo
(i) in una città-stato retta da un despota
(ii) in una moderna democrazia retta dallo stato di diritto e da un sistema processuale garantista

Dove risiede l’ingiustizia
(i) nella stessa legge che vieta di seppellire un cadavere (ingiustizia in diritto)
(ii) a monte, nel fatto da cui consegue l’azione incriminata (ingiustizia in fatto)

Su cosa si fonda la presunta ingiustizia
(i) sulle leggi divine, che secondo Antigone sovrastano la legge imposta dal sovrano
(ii) sulle ragioni del cuore, che secondo Antigone autorizzano a infrangere la legge imposta (senza necessariamente porsi su una scala di superiorità rispetto a essa), e sui legami familiari.

Decisamente più semplice il discorso per il film di Liliana Cavani, grazie al provvidenziale ricorso alla distopia, che consente di calare nell’intreccio elementi fondamentali ma altrimenti improbabili: in primis, ovviamente, la legge che vieta di toccare le spoglie dei ribelli, enunciata in manifesti affissi ai muri delle strade, che è di fatto analoga all’editto di Creonte della tragedia di Sofocle. Anche la violazione che commette Antigone è sostanzialmente la medesima e pure il contesto autoritario rispecchia quello della Tebe di Creonte. Nel film di Liliana Cavani, insomma, si assiste a una vera e propria trasposizione del testo sofocleo in un’ambientazione distopica contemporanea, senza che ciò tramuti i termini essenziali – fattuali e giuridici – della questione.
La scelta della regista italiana di scostarsi dall’attualità (o, per lo meno, di farlo mantenendo con essa un aggancio soltanto simbolico ed evocativo), intraprendendo la via del distopico, si rivela dunque efficace, se non nel risultato complessivo, quanto meno sotto il profilo dell’aderenza allo spirito del testo sofocleo, con la sola eccezione – non secondaria, ma attenuata da una vaghezza di fondo apparentemente ricercata – rappresentata dal movente della ribellione di Antigone, che sembra non riportare a un ideale giusnaturalistico, bensì a un più vago slancio umanista.

Le ragioni del cuore

Avendovi fatto cenno, va ora approfondito il tema, fondamentale, delle ragioni della protesta e della ribellione nelle due opere in esame. Nel film canadese è evidente come l’impostazione che assume la protesta di Antigone sia fondata su un sentimento chiaramente moderno, in cui l’immanente prevale sul trascendente. L’Antigone di Deraspe agisce, infatti, assecondando le ragioni del cuore. "Mon coeur me dit", la frase da lei pronunciata in tribunale, diventerà lo slogan della protesta contro le istituzioni.
Ebbene. È evidente come ci sia una differenza fondamentale tra le ragioni del cuore dell’Antigone di Deraspe e la legge degli dei che l’Antigone di Sofocle sentiva di seguire violando l’editto di Creonte. La legge del cuore (soggettiva) non può essere legge naturale, a differenza invece della legge degli dei citata da Sofocle, che ha un fondamento collettivo, radicato nelle tradizioni.

Il forte appello dell’Antigone canadese alle istanze e ai legami familiari è parimenti insufficiente, per quanto traspaia anche in Sofocle e per quanto sia invocato pure da Hegel nella sua interpretazione che contrappone il diritto dello stato al diritto privato, volto a regolare le vicende dell’ambito familiare. L’Antigone di Sofocle, infatti, avrebbe potuto idealmente commettere le azioni che la portarono alla condanna capitale (la sepoltura di un cadavere cui per legge non potevano essere tributati gli onori funebri) per altri che non fossero i suoi più stretti familiari. O almeno: l’eroina tebana adotta un principio di surrogabilità (se così possiamo definirlo) affermando esplicitamente che l’azione ribelle da lei compiuta per la salma di Polinice non l’avrebbe invece compiuta per un figlio o per un marito, perché rispettivamente sostituibili, in linea di principio, con un altro figlio o un altro marito (è uno dei punti meno limpidi della tragedia sofoclea, che lascia trasparire un’Antigone ancora poco matura su certe questioni – una madre non potrebbe mai parlare in quel modo, ci viene banalmente da pensare). Non c’entrano dunque i legami familiari (come fa intuire la prospettiva – come detto, poco comprensibile – di sacrificarsi per un fratello, ma non per un figlio), bensì più trascendenti ragioni legate alla replicabilità della vita.

Nell’Antigone di Deraspe, invece, il sentimento sororale ha un fondamento esclusivamente legato ai legami parentali, con il forte riferimento alla famiglia che potrebbe potenzialmente dare adito a pericolose argomentazioni in cui i rapporti di sangue si ergerebbero a scriminante (etica e soggettiva) del delitto. Il che riporta alle tradizioni malavitose più che a quelle tout court comunitarie, dato che – così giustificandosi – qualsiasi aggressione alla propria sfera familiare giustificherebbe il ricorso al delitto come strumento di tutela.

Come detto, anche ne "I cannibali" le ragioni della ribellione di Antigone non sono così limpide e vengono spesso celate dietro il silenzio in cui la protagonista si chiude per buona parte del film (il che è molto cinematografico, ma molto poco sofocleo). Nei pochi passaggi in cui il tema viene affrontato, sebbene appunto in via indiretta e velata, si avverte come dietro l’agire di Antigone vi sia un appiglio a generiche ragioni di giustizia, nonché – come in Deraspe – ai legami familiari. Eppure, l’appello alle "ragioni del sangue" viene meno quando l’Antigone "milanese", dopo aver recuperato e onorato il corpo del fratello, mette in atto la medesima azione anche nei confronti di altre salme di non meglio identificati ribelli (e in realtà lo aveva fatto sin dall’inizio, nella scena ambientata nel vagone della metropolitana). Un aspetto non secondario, che mostra come Liliana Cavani abbia – lei sì – compreso e assecondato lo spirito sofocleo della ribellione a una legge ingiusta per assecondare più elevate leggi di giustizia. Leggi naturali che vanno oltre i meri affetti familiari, pur innegabilmente importanti, ma che fungono più che altro da motore della ribellione.

Delitto e sacrificio

Un altro tema fondamentale nell’analisi di qualunque opera che tenti di confrontarsi con l’Antigone di Sofocle è inevitabilmente quello del sacrificio. L’Antigone tebana va consapevolmente incontro alla morte fin dal primo momento in cui decide di opporsi all’editto di Creonte. Lo stesso fa l’Antigone di Liliana Cavani (del resto, ne "I cannibali" la legge parla chiaro), con un’immedesimazione pressoché totale, su questo punto, con lo spirito del testo sofocleo. I connotati del sacrificio verso cui si immola l’Antigone di Deraspe, invece, sono decisamente più incerti e dipendono sostanzialmente dall’esito di vicende giudiziarie che occupano una buona parte del film. Essendosi sostituita al fratello con uno scambio di persona, l’Antigone algerino-canadese va incontro a una condanna che infine verrà ridotta grazie a una serie di attenuanti (in parte anche dovute all’indulgenza degli organi giudicanti, pur bistrattati dalla ragazza) e, soprattutto, grazie alle pressioni dell’opinione pubblica, in particolar modo giovanile, che sostiene le già citate "ragioni del cuore" della sorella di Polinice. A un certo punto, dunque, il sacrificio dell’Antigone canadese viene ad assumere dimensioni del tutto incongrue rispetto a quelle dell’Antigone tebana. Dimensioni che peraltro la stessa Antigone dimostra di conoscere quando progetta il suo piano, consapevole che la sua minore età e l’assenza di precedenti penali a suo carico la porteranno molto probabilmente a una condanna minore.

Anche in questo caso siamo diametralmente distanti dall’Antigone di Sofocle e da quella di Liliana Cavani. Entrambe, infatti, accettano un sacrificio enorme (la condanna a morte) per un’azione apparentemente minore (onorare un defunto – peraltro, in Sofocle, mediante il semplice spargimento di una manciata di polvere sopra le spoglie di Polinice, gesto simbolico che non integra una effettiva sepoltura e che sicuramente non impedisce che il cadavere rimanga alla mercé delle bestie saprofaghe).
L’Antigone di Deraspe va invece incontro (consapevolmente) a una condanna minore, per un beneficio importante (la libertà personale del fratello). Ed è paradossalmente proprio l’azione ribelle di Antigone (ossia la procurata evasione) a farlo diventare un beneficio importante, perché se prima vigeva l’incertezza dovuta all’esito del processo, non v’è dubbio che dopo l’evasione dal carcere Polinice non abbia più alcuna possibilità di salvarsi dall’espulsione, qualora venga riacciuffato (come regolarmente poi avviene). L’azione dell’Antigone canadese, dunque, contribuisce essa stessa a un circolo vizioso totalmente assente dal costrutto sofocleo.

Va inoltre precisato che il sacrificio di Antigone è strutturalmente configurato in maniera duplice: nella specie, in Sofocle, come l’accettazione (a) della condanna a morte e (b) della morte, che Antigone infine si auto-infligge, nonostante le sia stata formalmente risparmiata l’esecuzione, per evitare di trascorrere il resto dei suoi giorni chiusa in una caverna. Ne "I cannibali" tutto è più sfumato e i due sacrifici si fondono, con una messa in scena che peraltro ricalca la celebre scena della morte della Magnani in "Roma città aperta". Nel film di Deraspe, invece, tale duplicità è resa tramite un sacrificio finale, quello vero e inatteso, che è frutto di una scelta personale della giovane donna (in ciò avvicinandosi alla teorizzazione sofoclea): Antigone torna al paese d’origine con il fratello, nei confronti del quale è stata decretata l’espulsione coatta.

Eppure, anche questo ultimo aspetto rappresenta un elemento non secondario di criticità. L’eroina tebana accetta la morte pur di ribellarsi a un contesto che non riteneva essere retto da leggi di giustizia. L’Antigone di Liliana Cavani è anch’essa imbrigliata nelle nefandezze di un regime autoritario. L'Antigone canadese, invece, sembra dirci che l'ascolto delle ragioni del cuore può portare a infrangere leggi di per sé giuste e ad abbandonare una nazione democratica, in virtù di un singolo episodio nefasto indipendente dal potere normativo, per fare ritorno in un’Ade rappresentato dal paese, pericoloso e in cui non si rispettano i diritti umani, da cui era fuggita con la famiglia. Siamo sicuri che Antigone sia questo?





L'Antigone al cinema, da Liliana Cavani a Sophie Deraspe