Ondacinema

Ondacinema torna a Venezia!

La 70a edizione della Mostra del Cinema di Venezia arriva al capitolo conclusivo: Leone d'oro al documentario di Gianfranco Rosi "Sacro Gra". Leone d'Argento al greco "Miss Violence" e Gran Premio della Giuria al commiato di Tsai Ming-liang

 I premiati della 70a edizione della Mostra del Cinema di Venezia:

Leone d'Oro per il miglior film
Sacro GRA di Gianfranco Rosi

Leone d'Argento per la migliore regia
Miss Violence di Alexandros Avranas

Gran Premio della Giuria (nuovo riconoscimento)
Stray Dogs - Jiaoyou
di Tsai Ming-liang

Premio Speciale della Giuria
La moglie del poliziotto
di Philip Gröning

Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile
Themis Panou per Miss Violence di Alexandros Avranas

Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile
Elena Cotta per Via Castellana Bandiera di Emma Dante

Premio Marcello Mastroianni
Tye Sheridan
per Joe di David Gordon Green

Premio per la migliore sceneggiatura
Philomena
di Stephen Frears (sceneggiatori Steve Coogan, Jeff Pope)

Premio Venezia Opera Prima "Luigi De Laurentiis"
White Shadow
di Noaz Deshe (Settimana della Critica)

Premio Orizzonti per il miglior film
Eastern Boys di Robin Campillo

Premio Orizzonti per la migliore regia (nuovo riconoscimento)
Still Life di Uberto Pasolini

Premio Speciale della Giuria Orizzonti
Ruin di Michael Cody, Amiel Courtin-Wilson

Premio Speciale Orizzonti per il contenuto innovativo (nuovo riconoscimento)
Fish& Cat di Mahi va gorbeh

Premio Orizzonti per il migliore cortometraggio
Kush di Shubhashish Bhutiani

 

Sabato 7 Settembre

In concorso
Les terrasses di Merzak Allouache

allouachevenezia70Una giornata ad Algeri, vista da quattro terrazze. Tre brutti ceffi provano a costringere, con le cattive, un malcapitato a firmare un documento; un vecchio pazzo è tenuto in gabbia; una band fa la prove per un concerto; una ragazza vuole girare un doumentario; uno sheikh fa da guaritore a un'avvenente signora velata dal niqab; una famiglia reagisce in maniera brutale a uno sfratto; un amore lesbo ha vita brevissima... Costantemente innervata da un'ironia talvolta scoperta, talvolta sottilissima, una riuscita commedia corale a sfondo tragico su una società in cui vigono violenza e sopraffazione endemiche. Allouache, nome storico del cinema algerino, suddivide con sarcasmo il narrato in cinque capitoli corrispondenti alle preghiere quotidiane dell'Islam, mentre il peccato si insinua in ogni anfratto e l'imam predica il jihad ma sembra più interessato ad affari loschi. E intanto un commissario comunista copre un omicidio, un'agnizione svela la natura fratricida dei conflitti, le nuove generazioni rompono gli schemi e aspirano a un cambiamento, ahiloro pressoché impossibile. Un intelligente prodotto medio, merce rara di questi tempi. Voto: 6.5 (CZ

In concorso
Stray Dogs di Tsai Ming-liang

Piove sempre. E il povero signor Lee "deve" lavorare come cartello pubblicitario umano (come tanti altri: occhio ai margini dell'inquadratura) per mantenere i figli che, probabilmente abbandonati dalla madre, sono accuditi da una donna che dà anche da mangiare ai cani selvatici. Piangono tutti, anche le case. Il parallelo tra randagismo animale e umano è vecchio come il cucco. E passi. La maestria del regista nel comporre il quadro è altresì innegabile. Il problema è che, dato il congedo al cinema con questo film e non avendo più nulla da perdere, è ormai egli stesso troppo consapevole del fatto che ci sono frotte di critici, nicchie di pubblico e magari giurati della Mostra pronti ad andare in brodo di giuggiole per scelte discutibili quali: un cavolo dipinto come un emoticon mangiato compulsivamente dal protagonista, che poi versa lacrime di coccodrillo; la donna che osserva inebetita un murale e intanto ne approfitta per pisciare; le ultime due inquadrature che durano in totale venticinque minuti e che avrebbero mantenuto il medesimo senso di sospensione con venti minuti in meno. Video arte di medio livello scambiata per cinema sublime; eppure Tsai, sempre senza compromessi stilistici, in passato ha realizzato anche grandi film... Voto: 5.5 (CZ


Venerdì 6 Settembre

In concorso
La Jalousie di Philippe Garrel

garrelvenezia70La vita privata di un attore teatrale trentenne che lascia moglie e figlia per vivere con un'altra donna. Quando verrà a sua volta abbandonato, non sarà in grado di reggere il dolore. Come del resto aveva annunciato. il regista opta per una storia fortemente autobiografica, facendo interpretare a suo figlio quello che fece suo padre. Da un lato assolve colui che lascia, mostrandone la profonda sofferenza, dall'altro ne evidenzia l'inaffidabilità e l'inclinazione al tradimento. Consegnata alla visione del pubblico, tuttavia, l'autoanalisi dell'autore risulta l'ennesima riproposizione di temi usurati da cinquant'anni di cinema francese e dallo stesso Garrel. Non mancano i tocchi di classe (il protagonista che dice alla vivacissima figlia che continueranno a frequentarsi poiché ha ancora le chiavi "di questo posto", non di casa), ma per lo più il regista si arrangia col mestiere, avvolgendo il racconto in un elegante bianco e nero, ma trascurando contesto e comprimari. Così le idee si esauriscono presto, come anche il film, di durata eccessivamente breve. Voto: 5 (CZ)

In concorso

Sacro GRA di Gianfranco Rosi

Orson Welles diceva che gli italiani sono attori nati e che basta mettere una macchina da presa davanti a loro per farli recitare in maniera impeccabile. È quello che fa Gianfranco Rosi, immortalando l'umanità che popola i dintorni del Grande Raccordo Anulare, immensa cintura autostradale che circonda Roma come gli anelli Saturno. Prostitute, pescatori d'anguille, anacronistici interpreti di fotoromanzi e altri pittoreschi personaggi danno prova di sé innanzi allo sguardo impassibile del regista, che dà loro occasione d'esprimersi ottenendo siparietti a tratti esilaranti: si ride di più in questo documentario d'osservazione che in tutti gli altri film del concorso messi insieme. L'autore è bravo a deludere le aspettative più facili - non si sofferma sugli interminabili, proverbiali incolonnamenti d'auto - e fortunato nell'aver potuto filmare anche una rara nevicata. Non ancora profeta in patria Rosi, documentarista italo-americano già affermato a livello internazionale, ha l'occasione giusta per farsi conoscere anche da noi. Voto: 7 (CZ)


Giovedì 5 Settembre

In concorso
L'intrepido di Gianni Amelio

ameliovenezia70Milano, ai giorni nostri. Antonio Pane, quarantottenne inguaribilmente ottimista, si guadagna da vivere, a fatica, sostituendo i lavoratori nelle mansioni più disparate e disperate. Lo circondano un figlio grande, sassofonista, una ragazza conosciuta a un concorso pubblico, la cui difficile situazione Antonio prende subito a cuore, l'ex moglie che adesso si accompagna a un facoltoso affarista. Dopo qualche prova balbettante il maestro Amelio torna grande scandagliando i costi umani della crisi economica. "L'intrepido", apparentemente tenero e sornione, cela un commosso urlo di dolore di una generazione che vede preclusa ogni speranza di un futuro roseo per se stessa e per i propri figli, in una realtà in cui l'atomizzazione del lavoro è assoluta e si riflette sull'istituzione famiglia - altrettanto disgregata - e sulla solidarietà di classe, e in cui ad emergere sono solo i furbi. Citando ripetutamnte Chaplin (in particolare "Tempi moderni"), il film abbandona mano a mano i toni da commedia in favore di situazioni sempre più cupe, per approdare a un ironico ribaltamento de "Lamerica", con l'emigrazione di Antonio in Albania. E pur scivolando su qualche dialogo ("io tifo per i tifosi, gente che sa dare un senso alla propria giornata"), e risolvendo in maniera troppo tranchant la vicenda dell'amica, ritrova una capacità di narrare catturando lo spettatore con pochi eguali nel cinema contemporaneo. Voto: 7.5 (CZ)

In concorso
The Unknown Know di Errol Morris

Nell'impossibilità di vedere Donald Rumsfeld a processo per crimini contro l'umanità davanti a un tribunale internazionale, ci dobbiamo accontentare della lunga intervista qui rilasciata. Nonostante Nixon gli avesse predetto una carriera breve, Rumsfeld sarà tra i piedi di tutti gli inquilini della Casa Bianca di fede repubblicana. Segretario della Difesa per Gerald Ford (quanti sapevano dell'attentato da questi subito?), raggiungerà l'apoteosi ricoprendo lo stesso ruolo sotto Bush jr. La capacità di Errol Morris di incalzare l'interlocutore è sempre stata sopravvalutata. E anche in questo caso, come nel documentario su McNamara, il botta e risposta, anche a causa dell' ferma volontà dell'autore di non risultare invadente, che non è necessariamente un bene, assomiglia più a una fluviale arringa difensiva condotta dall'imputato, che ha stampato in faccia il ghigno beffardo di chi sa che la farà franca. Certo, sull'Iraq Morris ha gioco facile a smascherare panzane di dimensioni astronomiche, dalle armi di distruzione di massa ai legami con al-Qaeda, dai crimini di Guantanámo a quelli di Abu-Grahib, tuttavia non si aggiunge nulla a quanto già ampiamente risaputo. E anche la capacità del regista di dirigere documentari spettacolari senza gli artifici di un Michael Moore (qui un ringraziamento particolare va alle musiche di Danny Elfman) resta intatta quanto già nota a chi conosce il suo cinema. Per gli altri, il concorso a Venezia, meritata vetrina, può fare da viatico. Voto: 6 (CZ)


Mercoledì 4 Settembre

In concorso
Under the Skin
di Jonathan Glazer

venezia70johanssonUn'aliena assume le sembianze di un'umana (Johansson) e gira per la Scozia adescando gli uomini per ucciderli, siano essi immigrati, nuotatori eroici, deformi. Gradualmente le esperienze del sangue, del cibo, del freddo, dell'affetto e del sesso la renderanno empatica col genere umano, fino alla tragica delusione finale. Gli Ufo esistono e questo film ne è la prova. Un soggetto fantascientifico che sembra girato da un operatore del National Geographic, per come predilige filmare i paesaggi. Trama di difficile comprensione (dunque fischi in sala assicurati) poiché nulla è spiegato e tanti sono i momenti senza dialoghi (ad esempio tutto il primo quarto d'ora). Se il senso ultimo sfugge (una riflessione sulla corporalità?) lo stile è però avanzato, l'apporto di tecniche da videoclip (da cui proviene il regista) fecondo, e "Under the skin" potrebbe avere un impatto paragonabile a quello di "Holy Motors" e contribuire inoltre a innovare il genere. Che Scarlett sia parecchio cinegenica, invece, non è una novità. Voto 6: (CZ)

In concorso
Ana Arabia di Amos Gitai

Yael, giovane giornalista israeliana, si reca in un quartiere arabo a Jaffa sulle tracce di una donna ebrea - deceduta da qualche tempo - sopravvissuta ad Auschwitz e in seguito convertita all'Islam. L'idea di filmare il tutto in un unico piano-film, per adattarsi ai ritmi blandi del villaggio, non era stupida. La realizzazione però lascia molto a desiderare; i movimenti di macchina, anziché restituire un'impressione di semplicità, risultano d'ingombro (come i dolly in apertura e in chiusura), mentre la scelta di attori professionisti toglie ulteriore credibilità a quello che voleva essere un semi-documentario. Nessuna delle storie raccolte, tra amici e conoscenti della donna, risulta poi di particolare interesse, e l'idealizzazione di un passato idilliaco e di un futuro di convivenza pacifica è sempre dietro l'angolo. Un film vuoto e, in ultima istanza, girato male, lo sfoggio narcisistico di un autore (per altro a disagio in un contesto di povertà e umiltà diffuse) che ha da tempo smarrito la vena migliore. Voto: 4 (CZ)


Martedì 3 Settembre

In concorso
Tom à la ferme
di Xavier Dolan

xavierdolanveneziaTom, giovane pubblicitario di Montreal, si reca in campagna per il funerale del suo compagno Guillaume, morto in un incidente d'auto. Scoprirà che la madre non è al corrente dell'omosessualità del defunto e che il fratello Francis, violento, drogato e fuori di testa, utilizza ogni metodo per occultarla. Nonostante le continue intimidazioni e l'iniziale parere contrario di Francis, i due saranno d'accordo che Tom debba rimanere a lavorare nella fattoria di famiglia. A Dolan, anche attore protagonista, non interessa tanto la contrapposizione tra mentalità contadina e campagnola, quanto l'introspezione della mutevole psicologia dei personaggi, chi affetto da complesso d'Edipo, chi da sindrome di Stoccolma, tutti in bilico tra attrazione e repulsione reciproche, e sottoposti a continui ribaltamenti di ruolo. Non è per tutti i gusti: bisogna stare al gioco, ed è un gioco al massacro (diventa a quattro con l'arrivo di Sarah, chiamata a recitare la parte della fidanzata da Guillaume). Ma il regista ha senso del cinema: basti vedere come lavora sul sonoro, negli spazi aperti (e il film è tratto da una pièce...), sulla tensione, che raggiunge livelli insostenibili. Sottofinale che si presta a più interpretazioni. Voto: 7.5 (CZ)

In concorso
The Zero Theorem
di Terry Gilliam

L'hacker Qohen Leth, sociopatico che si sente costantemente in punto di morte, chiede di potere lavorare da casa. Management, così si chiama il suo capo, lo accontenta assegnandogli l'impossibile risoluzione del teorema zero, che spiegherebbe il significato dell'universo. Pur con l'ossessione di creare un personaggio memorabile (Qohen parla col plurale maiestatico e deve correggere continuamente le storpiature del suo nome) Gilliam sembra inizialmente ottenere una messa in scena (un po') meno sovraccarica e più elegante di altre sue prove e inanella una serie di trovate azzeccate: l'ufficio è una sala giochi, il protagonista vive in una chiesa adibita ad appartamento ecc. Peccato che, dopo avere saccheggiato se stesso più trent'anni di cinema distopico da "Blade Runner" in poi (con qualche ironico aggiornamento alla storia recente: Occupy Mall Street), non sappia direzionare la storia se non verso gli approdi più risaputi: dalla forza motrice dell'amore vero - in contrapposizione al sesso virtuale-, alla rivolta contro un sistema totalizzante come ribellione a Dio. Alla fine, la sensazione di essere al cospetto di un contenitore vuoto, per quanto riccamente addobbato, è assai vivida. Voto: 5 (CZ)

In concorso

Kaze Tachinu (The Wind Rises) di Hayao Miyazaki

Giovane ingegnere aeronautico, con forte etica del lavoro e talento per la professione, che progetta aerei militari ma sogna di rinnovare l'aviazione civile, sulla scorta delle intuizioni del pioniere Gianni Caproni, Jiro attraversa la prima metà del '900, drammi collettivi compresi. Per quello che ha annunciato essere il suo ultimo film, il maestro Miyazaki ripropone la tematica del volo, una costante della sua carriera. Il congedo è degno, "The Wind Rises" è un film adulto, colto (citato anche il Mann de "La montagna incantata"), ambizioso. Sconta tuttavia una certa vischiosità narrativa, qualche volo pindarico un po' scontato (all'interno di un impianto sostanzialmente realista), un'eccessiva verbosità. L'afflato pacifista e la riflessione sulla Storia sono sullo sfondo, ma si percepiscono in maniera costante nell'arco delle due ore della pellicola. Tuttavia i momenti migliori li ritroviamo nei rapporti tra Jiro e i bei comprimari che lo accompagnano: la sorella minore, che studia da medico e che gli rimprovera di trascurare la famiglia d'origine; il capo Kurokawa, apparentemente inflessibile ma dotato di senso della giustizia e capace di gesti di umanità anche al di fuori del contesto lavorativo; il collega Honjo, che cresce professionalmente insieme a lui; l'amata Naoko, malata di tubercolosi cui anni prima Jiro ha salvato la vita da un incendio. Lungi dal firmare la sua opera migliore, con la sua classe Miyazaki dà comunque una bella lezione a tanti pivellini in concorso. Voto 6.5 (CZ)

Lunedì 2 Settembre

In concorso
Child of God di James Franco

jamesfrancoveneziaSiamo tutti figli di dio? Davvero tutti? Il film in concorso di James Franco, tratto dall’omonimo romanzo di Cormac McCarthy (autore insieme a Franco e Vince Jolivette della sceneggiatura) divide letteralmente la Sala Grande, fra coloro che abbandonano la proiezione (compreso Virzì) e quelli che invece rimangono e alla fine applaudono.
Il film è costruito in capitoli, in un crescendo di tensione priva di morale che non lascia scampo. La camera è spesso instabile, le immagini sono forti e impietose, assemblate in un montaggio sincopato, con stacchi improvvisi e accelerazioni accompagnate da pezzi country, in un contrasto che aumenta ulteriormente il disagio dello spettatore.
Lester Ballard è un povero pazzo, con un terribile passato alle spalle, che vaga per i boschi assecondando i suoi istinti più bestiali. Grande interpretazione di Scott Haze che caratterizza il personaggio fin nei minimi particolari e segna la sua candidatura alla Coppa Volpi.
Un film sconsigliato agli stomaci più deboli, per la violenza reiterata di alcune scene, ma dotato pure di una tenerezza che strazia in egual misura, e induce a sospendere ogni facile condanna e a chiedersi perché un essere umano, pur capace di tanto, non dovrebbe considerarsi figlio di dio. Da vedere. Voto: 7 (LT)

In concorso
Miss Violence di Alexandros Avranas

Una ragazzina si suicida durante la festa in famiglia del suo undicesimo compleanno. Che la serenità della casa sia fasulla ce lo dice anche lo stile, apertamente antinaturalistico, di questa prima sequenza. E infatti, tra autolesionismi, menzogne, e violenze assortite, scopriremo che il patriarca, giovane nonno della suicida, che vive di sussidi e non riesce a mantenere neanche il lavoretto precario che ha trovato, è una sorta di Jekyll e Hyde. E ne combina di tutti i colori agli altri membri della combriccola. Si dirà che è il tipico film da festival. Ma in verità Avranas, all'opera seconda, osa di più rispetto a un normale prodotto analogo, tra attori in posa, sguardi in macchina, stacchi in controtempo. Se ciò gli consente di svelare per gradi una realtà agghiacciante (quanto tutt'altro che inedita), molti virtuosismi sono però fini a se stessi, come il discutibile, lunghissimo piano-sequenza (con apparente cambio di punto di vista: all'inizio sembra una soggettiva) con cui racconta la visita degli ispettori dei servizi sociali. E più il regista tenta di colpire lo spettatore alle parti basse, più la storia diventa prevedibile. Scena stracult (per noi): la ragazza incinta che vomita sulle note de "L'italiano" di Cutugno. Voto: 5 (CZ)

In Concorso
Parkland di Peter Landesman

L'omicidio Kennedy e i giorni immediatamente successivi raccontati da punti di vista inediti: il reporter che riprende la scena e ne rimane sconvolto, i medici dell'ospedale Parkland che prestano l'estremo soccorso sia al presidente sia, successivamente, al presunto assassino Oswald (a sua volta vittima di attentato mentre è nelle mani delle forze dell'ordine), il fratello e la madre dello stesso Oswald, una stazione di polizia, i vertici delle forze di sicurezza. Il debuttante Landesman rischia di aggiungere un tassello all'agiografia di un presidente immeritatamente beatificato. Tuttavia trova una prospettiva singolare per una vicenda usurata, mostrando come cambia la vita di persone più o meno comuni al cospetto di un evento più grande di loro, e la cui volontà di rimanerne fuori può essere d'ostacolo alla ricerca della verità e alla base di piste alternative, più o meno complottiste, a quella ufficiale (il finale in montaggio alternato con la sepoltura del presunto assassino e la distruzione delle prove dei suoi precedenti con la giustizia). Una piccola idea non banale per un film corale ben recitato, che innesta il turbo alla prima sequenza e lo mantiene per novanta minuti. Voto: 6.5 (CZ) 

Orizzonti
Il terzo tempo di Enrico Maria Artale

Visto e rivisto. Bastano pochi minuti per intuire gli sviluppi e anche come andrà a finire, persino l’ultimissima scena, siamo tutti lì ad aspettarla. La trama è presto detta: Samuel (Lorenzo Richelmy) esce dal riformatorio in semi-libertà, affidato a Vincenzo (Stefano Cassetti) un assistente sociale allenatore della squadra locale di rugby. Entrambi i protagonisti, grazie ai loro errori e a una certa costanza nel commetterli, riescono infine a imboccare la strada giusta. Il rugby (il "terzo tempo" è il "dopo gara" in cui si festeggia, senza pensare più al risultato) diventa quindi un’opportunità di riscatto, che il protagonista, malgrado svariate reticenze, non si lascerà sfuggire. Come del resto non gli sfuggirà la figlia dell’allenatore. E vengono subito in mente Aristoteles e la figlia del mister Oronzo Canà, per quanto calcio e rubgy siano due sport completamente diversi, come anche Artale non si dimentica di ribadire. Presentato nella sezione Orizzonti e in quanto opera prima in corsa anche per il premio Luigi De Laurentiis, "Il terzo tempo" è tutto sommato un film piacevole, ma come una partita già vista, di cui si conoscono sia il risultato, che le azioni salienti. Voto: 5.5 (LT) 


Domenica 1 Settembre 

In concorso
Philomena di Stephen Frears

judydenchveneziaUn giornalista e consulente del governo Blair, in crisi perché ha perso ingiustamente il lavoro, deve reinventarsi una vita. Trova nuovi stimoli nella storia di Philomena, da cinquant'anni alla ricerca del figlio, strappatole dalle suore in quanto frutto di un amore peccaminoso. Perfettamente raccontata senza sbavature, questa storia semplice, intensa e ironica (riuscite le punzecchiature anticlericali) si muove come un funambolo, in punta di piedi, in costante equilibrio tra la necessità di essere pubblicamente divulgata e il rispetto per quello che è principalmente un dramma privato. Evitando la trappola delle sottotrame più scontate (come un possibile rapporto filiale tra i due protagonisti, in sostituzione di quello che Philomena non ha vissuto), e con l'accortezza di svelare presto il mistero del figlio scomparso, il veterano Frears ha il tempo per affrontare, senza banalizzarli, temi importanti come fede e ragione, ignoranza e cultura. E vantando inoltre la presenza di una Judy Dench straordinaria... difficile che "Philomena" torni da Venezia a mani vuote. Voto 7 (CZ)

In concorso
Night Moves di Kelly Reichardt

La regista e fotografa statunitense Kelly Reichardt aveva colpito nel segno due anni fa, sempre in concorso a Venezia, con "Meek’s Cutoff", western anomalo girato senza panorami e tramonti ma tutto interiore. Con "Night Moves" ritornano alcune tematiche come il rapporto con la natura o il desiderio di rivalsa della generazione più giovane . Questa volta ritroviamo tre ambientalisti radicali che progettano un motoscafo infarcito di esplosivo per far saltare una diga. Le conseguenze dell’iniziativa saranno però inaspettate e drammatiche. Da qui salteranno i nervi a due di loro e la più debole (Dakota Fanning) ne pagherà le conseguenze più estreme. Lo spunto di indagare l’impossibilità di gestire e controllare le conseguenze dei propri atti da parte di questi ragazzi era indubbiamente stimolante: il film non riesce però a portare a fondo il tutto in quanto rimane troppo ermetico senza mai decollare davvero. Allo spettatore rimangono troppi dubbi e i protagonisti risultano poco finiti e un po' piatti. Peccato, una bella occasione sprecata. Voto: 5 (AC) 

Fuori concorso
The Canyons di Paul Schrader

Lo sposalizio tra uno dei più corrosivi scrittori della letteratua americana, Bret Easton Ellis, e uno dei padri fondatori della New Hollywood, Paul Schrader, prometteva davvero tanto. Il risultato, purtroppo, è ben al di sotto della mera delusione. Ancora un American Psycho dal volto inespressivo di James Deen che cova rabbia e gelosia appena scopre che la sua ragazza (una Lindsay Lohan gonfia di botox) lo tradisce con una sua vecchia fiamma. Da qui una vendetta che porterà dritto ad un delitto senza castigo. La pretesa del film è quella di denunciare il vuoto di questi figli di papà sempre connessi on line col cellulare e privi di ogni morale. Ne vien fuori invece un pasticcio infarcito di luoghi comuni e scene ridicole. La gravità dell'operazione è voler fare anche una lezione sul cinema che non esiste più, dato ormai per morto, scandendo i titoli di testa con immagini di cinema chiusi o in abbandono. Lo scandalo poi annunciato è tutto in una orgia che non provoca nulla se non risate involontarie in sala. Pretenzioso, dozzinale e pure fotografato peggio dell'ispettore Derrick: davvero uno scivolone. Voto: 3 (AC)


Sabato 31 Agosto

In concorso
Joe di David Gordon Green

nicolascageveneziaLa violenza ai margini della più profonda provincia americana: è questo il tema dominante di "Joe" di David Gordon Green, primo film statunitense in gara. Interpretato con insolita moderazione da un Nicholas Cage con barba, Joe è il classico duro e gestisce con bonaria autorevolezza una squadra di taglialegna che lo ammira per il suo coraggio e capacità di farsi rispettare. Le persone che gli stanno intorno e che lo amano lo invitano spesso a crescere ma lui continua a vivere a modo suo, libero da regole, a volte violento sempre attaccato al bicchiere o alla sigaretta, in un inesorabile percorso autodistruttivo. Intorno un mondo di squallore e miseria, popolato da figure spinte da istinti primordiali; un barlume di speranza arriva con un ragazzo che porterà Joe ad un tragico riscatto. Atmosfere cupe che rievocano quelle dei romanzi di Corman McCarthy. L'eclettico Gordon Green racconta tutto con estrema libertà sia nella progressione narrativa (dove le azioni spesso sono prive di causa) sia nel rappresentare le più sordide bassezze. Notevole colonna sonora ambient di Jeff Mcllwan. Film potente, con un finale forse scontato e didascalico. Voto: 7 (AC)

Settimana della critica
L'arte della felicità di Alessandro Rak

Il film che non t'aspetti. La scuola di animazione napoletana si conferma all’altezza delle aspettative, anzi le supera. Il cartone per adulti di Alessandro Rak apre a Venezia la 28° Settimana Internazionale della Critica, ricevendo una grande accoglienza dal pubblico. Il produttore e sceneggiatore (insieme a Rak) Luciano Stella riprende il titolo dal festival che da trent’anni lui stesso organizza a Napoli, invitando artisti, filosofi e sociologi da tutto il mondo, da Umberto Galimberti a Robert Thurman (padre di Uma, in un cameo del film).
La storia si svolge in mezzo al traffico di una Napoli caotica e sommersa dai rifiuti, insolitamente battuta da una pioggia continua. Sergio è un musicista, ma dopo l’improvvisa separazione dal fratello Alfredo, abbandona il pianoforte e trova nel taxi ereditato dallo zio il proprio compromesso per rinunciare al suo sogno. Vive e dorme nel taxi, chiuso in se stesso e intrappolato nel passato. Il presente è un posacenere zeppo e il futuro ancor più grigio. Sul cruscotto una lettera di Alfredo, mai aperta.
Il film attraversa gli ostacoli che si frappongono tra l’uomo e la sua felicità. E afferma che la felicità è semplice tanto quanto la tristezza. Suggerisce che l’arte sta nella capacità di lasciar andare il passato per vivere nel e del presente. E’ una questione di scelta.
"L'arte della felicità" è anche una trasmissione radiofonica che accompagna il protagonista nel recupero della sua identità e nell’elaborazione dei suoi tormenti. La voce del deejay è una sorta di guida spirituale che si alterna agli incontri di Sergio con altri personaggi (su tutti Antonia e lo zio Luciano). La sceneggiatura del film è ricca e potente e allo stesso tempo diretta e coinvolgente, anche grazie a una colonna sonora davvero sopra le righe. Notevole l’espediente narrativo della "automobilina a carica", le cui manovre anticipano gli eventi di capitolo in capitolo, fino a chiudere il cerchio con commovente semplicità. Voto: 8 (LT) 


Venerdì 30 Agosto

In concorso
Via Castellana Bandiera di Emma Dante

emmadanteveneziaEmigrante torna a Palermo con la sua compagna. Un'auto le blocca la strada. Nessuno dei due lascia spazio all'altro. All'affare si interessa l'intero quartiere. Episodio realmente accaduto (la Dante ne parlava già ai tempi di "Cani di bancata") che l'autrice porta alle estreme conseguenze (nella realtà lasciò strada), regredendo ai livelli dell' "avversario". L'allegoria dell'intellettuale "di mondo" incapace di capire e cambiare una mentalità ottusa, arrogante e para-mafiosa è acuta, ma è resa con un secchezza realista solo intermittente e un crescendo grottesco che stenta a prendere quota (se non nell'impattante finale coreografico). Complici della non riuscita: scarsa padronanza del mezzo-cinema, sceneggiatura che non regge la durata del lungometraggio, budget inadeguato. Al primo assalto, la regina del teatro non conquista il regno del grande schermo. Voto: 5 (CZ)

In concorso
La moglie del poliziotto di Philip Gröning

Vita familiare, con riverberi sul lavoro, per un giovane poliziotto con moglie e figlia. Violenza domestica svelata gradualmente, a partire da un quadro in apparenza idilliaco. Si possono apprezzare il rigore stilistico e l'originalità di un film che assomiglia a tanti come a nessun altro. Ma sono altrettanto legittime le seguenti reazioni opposte. Freddezza per la scelta di osservare i protagonisti con sguardo oggettivo, come per i tanti animali che li circondano; senza giudizi. Irritazione per la mancanza di spiegazioni (perché la moglie non si ribella ai soprusi?) e la sospetta gratuità dei comportamenti del marito. Spossatezza per la struttura a spezzatino con alcuni episodi di estrema, beffarda brevità, e per la durata fluviale. Philip Gröning con "Il grande silenzio" a sorpresa aveva riempito le sale. Con questo film rischia seriamente di svuotarle. Voto 6 (CZ)

In concorso
Tracks di John Curran

Con Tracks di John Curran, la Mostra apre i battenti del concorso e ci porta dritto nell'outback australiano, nel cuore rosso dei deserti. Il film si ispira al viaggio a piedi di circa 2700 km che nel 1977 fece davvero la giovane Robyn Davidson nel Red Centre da Alice Springs all'oceano indiano grazie al contributo del National Geographic. Viaggio epico di 6 mesi tra tempeste di sabbia e caldo insopportabile, divenne libro best seller. Le tracce del titolo sono molteplici e il film cerca di rappresentarne il piu' possibile: non solo quelle lasciate lungo il deserto, ma soprattutto quelle che ognuno lascia dietro alle proprie azioni, quelle delle spedizioni dei coloni nel secolo precedente, quelle degli aborigeni lungo i luoghi sacri. John Curran cerca di spiegare fin ad un certo punto le motivazioni che spingono Robyn a questa impresa suicida, gli interessa il viaggio ovvero l'eterna sfida tra uomo e natura. Qui rappresentata da poche insidie vere, la sfida sembra maggiormente interiore. Tutto ripreso in modo classico con fotografia da National Geographic, molti flash back, colonna sonora a volte troppo massiccia. Mia Wasikowska interpreta la Davidson com ombrosa inquietudine in modo grandioso ed estremo. Si candida alla Coppa Volpi dove non sfigurerebbe. Un finale purtroppo troppo frettoloso, il film rimane intenso e regala diverse emozioni. In futuro diventera un classico nel suo genere. Voto: 6.5 (AC)


Giovedì 29 Agosto

Fuori concorso
Future reloaded di AA.VV

Apre la 70° Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia - in contemporanea a "Gravity" di Alfonso Cuaron - "Future Reloaded" progetto speciale curato da Alberto Barbera e Stefano Francia di Celle per celebrare l'anniversario del Festival. Settanta registi da tutto il mondo per settanta cortometraggi a "tema libero", unica consegna la durata, fra i 60 e i 90 secondi, anche se molti sforano (uno su tutti Todd Solondz col suo futuristico "3013"). Le opere si concentrano sulla rivoluzione culturale in atto con le nuove tecnologie e sulla crescente (non)comunicazione che ne deriva (vedi "Thursday" di Milcho Manchevski, "Matrimonio" di Nicolas Pereda o "Transumanza" di Salvatore Mereu). Non mancano derive oniriche e visionarie (i corti di Antonio Capuano e James Franco o lo splendido "The End" di Samuel Maoz) o corti che guardano al futuro con un occhio - anche due - ai tempi e al cinema che furono (Catherine Breillat, Peter Ho-sun Chan, Davide Ferrario). Da segnalare il corto di Kiarostami ispirato all'innaffiatoio dei fratelli Lumiere (che a sua volta ispirò la sigla del Festival negli ultimi anni di Muller), l'ironico "Ang Camera" di Brillante Mendoza e il dolcissimo "My Mother" di Kim Ki-duk; i virtuosismi nel montaggio de "La moviola" di Ermanno Olmi, nello split screen di Alexej Fedorchenko in "Atavism" e nelle riprese di Pablo Larrain. Una menzione anche per "Scarpette rosse" di Bertolucci, un'intelligente denuncia dei sanpietrini e dell'ignoranza che Roma oppone ai disabili. Deludenti i corti di Amos Gitai, Amir Naderi e Semih Kaplanoglu. Ma niente al confronto di Michele Placido, ostinato narcisista che si autointervista e propone per il futuro del cinema un'originalissima chiave di volta: il talento dei giovani. Se non fosse che ai giovani - dice Placido - mancano gli attributi. A lui invece obnubilano la mente. (LT)

Orizzonti
Wolfskinder di Rick Ostermann

Presentato nella sezione Orizzonti, il primo lungometraggio il tedesco Rick Ostermann, narra le vicende di due fratelli in fuga dai territori tedeschi occupati dai sovietici, durante la seconda guerra mondiale. La madre morente prega i figli Hans e Fritz di raggiungere una fattoria in Lituania, dove sarebbero stati accolti. Orfani e affamati, i due vagano per i boschi lottando per la sopravvivenza, ma durante una fuga dai soldati Hans perde il fratellino e dunque il compito di proteggerlo. Il destino di Hans passa per l'incontro con altri "bambini-lupo" e con uomini che di lupo non hanno l'istinto ma la ferocia. Il film si concentra su uno spaccato di realtà di cui si è occupato poco sia Dio che la Storia. Un popolo di orfani che si riunisce in branchi di disperazione, bambini privi di ogni riferimento e abbandonati a se stessi, che tentano di fuggire nella speranza di ritrovare un calore che hanno appena potuto conoscere. Rinunciando o meno al proprio nome. Voto: 6.5 (LT)





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