Ondacinema

recensione di Alessio Cossu
7.0/10

Il tema della guerra in Bosnia è stato affrontato più volte dalla cinematografia con approcci via via differenti, ma che hanno avuto i migliori esiti privilegiando una ambientazione al presente che mettesse a frutto ex post le conseguenze di quella terribile congiuntura storica, come in "Il segreto di Esma" (2006) o "Il sentiero" (2010), entrambi di Jasmila Zbanić, o "Buon anno Sarajevo" (2012) di Aida Begic, anziché optare per una narrazione della guerra tout court, come per "No Man’s Land" (2001) di Danis Tanović, o "Perfect Day" (2015) di Fernando León de Aranoa.

Anche Massimo D’Orzi, per il quale i Balcani costituiscono da tempo il centro del suo interesse, ha preferito questo taglio per il suo documentario "Bosnia Express". Infatti, sulla scia di due film precedenti (La rosa più bella del nostro giardino, Adisa o la storia dei mille), il regista costruisce il terzo anello di una trilogia incentrata stavolta sulla Bosnia contemporanea, su ciò che resta di città come Sarajevo o Mostar, crogioli etnici, religiosi e culturali sfigurati dalla guerra nella ex Jugoslavia. Bosnia Express prima di diventare un film era un libro, scritto da Luca Leone, in cui si racconta di un viaggio a bordo del treno che collegava Belgrado alla capitale bosniaca. Mentre il libro però è un itinerario fisico per tappe geograficamente prevedibili, scandito da fermate e stazioni, la pellicola di D’Orzi vuole essere un peregrinare dell’anima e nell’anima, intimo dunque, privo di un disegno teleologico, e volto piuttosto a cogliere lo stupore, lo smarrimento di chi osserva e interroga i volti, le vite, le testimonianze del passato, ma soprattutto del presente. Bosnia Express è la risultante di ciò che il regista vede, sente e pensa.

Il documentario si avvale della voce fuori campo per il minimo indispensabile, in modo da superare la barriera, propria del documentario, tra chi gira e chi viene inquadrato. Arricchito dalle preziose immagini dell’Istituto Luce, il film non si appiattisce sui luoghi delle distruzioni e degli eccidi, ma in un continuo dialogo tra passato e presente offre una chiave di lettura della guerra in Bosnia attraverso il suo presente, mantenendo una focalizzazione che costituisce la vera chiave interpretativa e di raccordo di questo interessante documentario: quella femminile. Il sagace montaggio parallelo di Paola Traverso è il segreto del film. Nella prima parte le tessere del puzzle balcanico rimangono distanti tra loro quanto distante è per lo spettatore la risposta all’interrogativo di fondo sul perché e sul come si sia arrivati a una guerra tanto devastante. Nella seconda parte le tessere aumentano, ma la sensazione che le risposte di fondo non arrivino rimane. Il documentario ha infatti lo scopo di sollevare interrogativi piuttosto che dare risposte univoche.

La macchina da presa di D’Orzi, dunque, non è quella dello storico, del saggista o, peggio, del giudice, bensì quella di chi ha stabilito un sottile ma vitale filo comunicativo con le popolazioni locali, che gli permetta di riannodare il senso dell’umanità. È una macchina da presa che mantiene anche una distanza dettata dal pudore e dal rispetto, non solo fisico. Bosnia Express ha i piedi ben piantati nel passato (le immagini di repertorio dell’eccidio di Srebrenica, la distruzione del ponte di Mostar), ma la testa rivolta al presente. Un presente che ha una voce prevalentemente femminile. Che a parlare siano le testimonianze delle studentesse universitarie musulmane, o le evoluzioni delle ginnaste o il fraseggio musicale delle giovani ortodosse, emerge che guerra e violenza hanno danneggiato soprattutto le donne, facendo perdere loro un secolo di conquiste. Si potrebbe inoltre dire che Bosnia Express non è un film sulla guerra nei Balcani, ma un film sulla guerra: mette in guardia sul fatto che i governi autocratici agitino la religione come unico nefasto vessillo dietro al quale si abdica a ogni forma di umanità. La musica, altro elemento importante del film, e dal punto di vista del testo filmico sovente vera interlocutrice e modulo espressivo dei vari personaggi, insieme al teatro e all’arte in generale, costituiscono per la popolazione bosniaca gli strumenti per vivere appieno il presente cercando di liberarsi dalla prigionia del passato.

A tale proposito, per quanto riguarda le inquadrature, decisamente forti quelle che mostrano le donne silenti sotto la doccia: esse tentano di lavare via ogni traccia, non solo fisica, ma anche psichica della violenza subita. L’acqua come metafora ottimistica della purezza. Senza nominarla – ecco il pudore del regista – D’Orzi ci parla di qualcosa di molto simile alla sindrome di Stoccolma, della sensazione di colpa che può albergare nell’animo delle vittime, un po’ come accade, insomma, in "Portiere di notte" (1974) di Liliana Cavani.

Al termine della proiezione, si ha la sensazione che il documentario, per quanto di durata limitata, abbia detto tutto ciò che si poteva dire su realtà come Sarajevo, Tuzla, Srebrenica, Mostar o Konic. Ovvero che escludendo dall’inquadratura le immagini delle distruzioni non per questo si minimizza la violenza o l’orrore, e che dando invece voce alla forza d’animo delle donne bosniache di oggi si possa, al netto del giudizio storiografico, valutare la guerra e soprattutto le sue conseguenze in una prospettiva molto più profonda del resoconto ragionieristico di un freddo burocrate o di un compassato giornalista d’inchiesta. Tra gli altri meriti del film, anche quello di adombrare, nelle sequenze in cui si parla della vita delle comunità bosniache anteriore allo scoppio del conflitto, non poche pagine del celebre romanzo di Ivo Andric "Il ponte sulla Drina". Bosnia Express, infine, è stato il film selezionato per la celebrazione del trentennale dell’indipendenza del paese balcanico.


16/04/2022

Cast e credits

cast:
Sara Lazar, Konita Focak, Nikolina Vujic, Senad Alihodzic, Amina Mocevic, Eva Tomat, Clio Bosiglav


regia:
Massimo Dorzi


titolo originale:
Bosnia Express


distribuzione:
Istituto Luce


durata:
70'


produzione:
Loups Groux Produzioni, Il Gigante, Luce Cinecittà


sceneggiatura:
Massimo D'Orzi


fotografia:
Armin Karalic


montaggio:
Paola Traverso


Trama
Le donne in Bosnia parlano della loro vita quotidiana a Sarajevo, Mostar, Tuzla, Srebrenica: aree dell’Europa ancora cariche di tensione, ma ricche di speranza e creatività. Due risorse tipiche dell’universo femminile.
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