Ondacinema

recensione di Alessio Cossu
7.5/10

Tra i testi più interessanti di registi che affrontano i nodi della propria professione vi è quel "Lezioni di regia" di Sergej Michailovič Eizenštein, in cui il problema della giusta collocazione della macchina da presa assume un'importanza cruciale. Orbene, il regista de "L’Arminuta" pare aver assimilato molto bene questo concetto, tanta è la perizia con la quale sceglie di volta in volta il punto di vista da cui narrare l'intreccio: mai un'inquadratura sopra le righe, fine a se stessa, o un dettaglio fuori luogo; che si tratti di primi piani o di campi medi e lunghi, Giuseppe Bonito dimostra di sapere il fatto suo. Da questo punto di vista il suo lavoro è accostabile a quello di Michelangelo Frammartino per "Il buco". Scendendo nel dettaglio, le sequenze in interni sono quelle più riuscite: ad esempio, il piano sequenza che mostra il totale della famiglia che pranza silente mentre il padre picchia il figlio nell'altra stanza è un pezzo di bravura.

"L'arminuta"  è una voce dialettale abruzzese che significa semplicemente "la ritornata". La scelta del titolo del film di Giuseppe Bonito è legato, ovviamente, alla protagonista, che per ragioni economiche viene prima affidata dalla famiglia d'origine a quella dei parenti e, alle soglie dell'adolescenza, viene forzosamente riportata ai propri genitori naturali. Alla bambina protagonista di "Pulce non c’è", opera prima del regista, subentra ne "L’Arminuta" un'adolescente. Dunque ancora una pellicola sull'infanzia, sulla crescita. Ma non solo. Il film si apre proprio con la sequenza nella quale la giovane viene accompagnata dallo zio adottivo di città in un borgo isolato tra gli stazzi alle falde dell'Appennino abruzzese. Tutta la vita precedente dell'Arminuta viene efficacemente condensata in brevi e taciti flashback, nei quali spiccano i colori sgargianti del suo abbigliamento ed emerge l'atmosfera edenica contrappuntata dai sorrisi amorevolmente complici, soprattutto della madre. Il tutto grazie a una fotografia curatissima, che evidenzia  vividamente il contrasto rispetto al microcosmo della famiglia d'origine, nella quale i colori più tenui, ma soprattutto le vesti monocrome parlano di una realtà dimessa e priva di aspirazioni. Da una parte, dunque, il rassicurante (almeno all'apparenza) nido familiare all'interno della città ricca di opportunità, dallìaltra un'ambientazione bucolica che esalta la ruvidità e l'anaffettività, soprattutto del padre (un sempre valido Fabrizio Ferracane). Considerati i suoi modi, la sua indole, oltre al contesto nel quale si ambienta la diegesi, si sarebbe tentati di equipararlo all'Omero Antonutti de "Padre e Padrone" (1977).

Tuttavia, ad essere messo sub iudice, nell'economia del film, è un po' tutto l'universo maschile: lo zio adottivo non sembra dover lottare più di tanto con la propria coscienza nel momento in cui accompagna la nipote dai suoi veri genitori; quanto poi al nuovo compagno della zia adottiva, è un personaggio che, nell'ossequio all'etichetta e nel vuoto morale, pare venuto fuori dal "Tartufo" di Molière; anche il fratello, che pure nutre dell'affetto per la protagonista, sembra uscire di scena tragicamente, come per la punizione di un occhio divino che dall'alto e in lontananza contempla i suoi ultimi istanti di vita. Le vite dei protagonisti del film sono fatte di grevi silenzi, di una ritualità (ad es. il consumo dei pasti) che nulla sembra poter scalfire. Solo l'Arminuta porta un raggio di luce in quella realtà, con il candore della sua pelle, con il suo ottimismo e la sua tenacia, nonostante tutto. Si sente infatti un'estranea, equiparandosi al protagonista di un racconto di fantascienza, da lei scritto, cui dà appunto un titolo emblematico: "L'alieno".

"L'Arminuta" è un film che a dispetto della conclusione, pur senza scavare nel dettaglio del vissuto genitoriale, attualizza impietosamente la massima eschilea secondo cui le colpe dei padri ricadono sui figli: per quanto non venga verbalmente esplicitato, le insicurezze della madre adottiva, che si traducono nella passività nei confronti del nuovo compagno, hanno la medesima radice delle fragilità della madre naturale. Sono in entrambi i casi il risultato di traumi infantili che hanno sedimentato l'abitudine a figure maschili oppressive e castranti. Si badi bene che la madre adottiva è abile nel nascondere tali traumi, ma non riesce a cancellarne integralmente gli effetti. Sulla scorta del soggetto del film, il regista induce dunque a riflettere sul tema della colpa, della responsabilità genitoriale, senza sconti giustificati da semplicistici assiomi: il teorema secondo cui la costruzione armonica del sé è l'inevitabile portato di una privilegiata condizione socioeconomica, per il film di Bonito non vale. A contare è invece il primato degli affetti: quando infatti riceve il sostanzioso premio per il suo racconto, preludio a una indipendenza economica, l'Arminuta è sì contenta, ma il suo volto si accende di un sorriso che dice di attendere migliori occasioni per illuminarsi in tutta la sua pienezza.


01/11/2021

Cast e credits

cast:
Sofia Fiore, Carlotta De Leonardis, Fabrizio Ferracane, Aurora Barulli, Andrea Fuorto, Elena Lietti, Vanessa Scalera


regia:
Giuseppe Bonito


titolo originale:
L'Arminuta


distribuzione:
Lucky Red


durata:
110'


produzione:
Maro Film, Baires, Kaf, Rai Cinema, Lucky Red


sceneggiatura:
Donatella Di Pietrantonio, Monica Zapelli


fotografia:
Alfredo Betrò


scenografie:
Marcello Di Carlo


montaggio:
Roberto Missiroli


costumi:
Fiorenza Cipollone


musiche:
Giuliano Taviani, Carmelo Travia


Trama

Dopo un’infanzia spensierata, un’adolescente viene catapultata nella difficile realtà della famiglia d’origine, presso la quale saprà farsi valere grazie alla propria intelligenza e tenacia.