Ondacinema

recensione di Diego Capuano
8.0/10
Se l'idea di bellezza è sempre più assoggettata alla vistosità dell'oggetto che ci troviamo davanti, ecco spiegato il perché della bellezza paesaggistica come corrispettivo della grande e imponente città e l'abolizione di archetipi in via d'estinzione.
L'occhio si lascia crogiolare da una pigrizia incapace di scavare a fondo, di cogliere la bellezza nella complessità della vita quotidiana. Lasciando al proprio flusso arcaico i luoghi nascosti che ancora conducono una esistenza fuori dal tempo. Da una parte lo sguardo continua a catturare soltanto ciò che gli è immediato, trascurando l'essenzialità delle cose, dall'altro il luogo incontaminato, non sottomesso alle esigenze inquinanti della moderna società dei consumi, conserva la propria connotazione primitiva.
Ma l'ignavia dell'occhio riguarda anche la visione cinematografica, disabituata alla pazienza del saper vedere, preferendo subire l'immediatezza di ciò che ci viene scaraventato addosso.

"Le quattro volte" si situa in un territorio "marginale" della Calabria. Un microcosmo che pare fuori dal mondo e che, invece, conserva il contatto più stretto con l'essenza stessa della natura. Che crea una parabola sul tempo dove il tempo sembra invece essersi fermato da decenni.

Il milanese Frammartino aveva già ambientato il suo precedente e già interessante primo film, "Il dono", in Calabria, luogo di nascita dei suoi genitori. Sondando il terreno per questa sua opera seconda si è imbattuto in quattro possibili personaggi, quattro entità vicine e lontane: il vecchio pastore, il capretto bianco, un grande abete, il carbone.
Suggerendo la possibilità di rendere protagonista di un film un animale o un qualsiasi elemento naturale, contemplando la natura e la natura delle cose, il film può essere suddiviso in quattro storie a sé stanti. Con dei lunghi piani sequenza che nella loro quiete colgono l'imprevedibilità della vita (non mancano i momenti ironici), Frammartino ci ricorda tradizioni e luoghi dimenticati, offrendoci una visione poetica sui cicli della vita. Ma a ben vedere il film non si ferma qui: vuole andare oltre, chiedendo complicità a spettatori attenti, disposti ad unire i tasselli ed erigere un'architettura che possa essere al contempo antropologica e filosofica.

Partendo da una frase attribuita a Pitagora, secondo la quale in ogni essere ci sarebbero quattro vite distinte ma incastrate l'una dentro l'altra (minerale, vegetale, animale e razionale), i quattro stadi del film vivono di una sola anima, destinata a passare ciclicamente da entità a entità, reincarnandosi, consumandosi e rinascendo.
Senza l'utilizzo di parole né di musica, ma con un fondamentale tappeto sonoro che cattura il respiro della natura, è un'opera metafisica e antropologica, concreta e fantascientifica. Offrendo allo spettatore il compito di decifrare, comporre e riempire il suo cammino, "Le quattro volte", ideale incrocio tra Franco Piavoli e Bèla Tarr, è un cinema geometrico ma spontaneo.
Assemblando e rispettando le sue idee, Michelangelo Frammartino vola alto.


30/05/2010

Cast e credits

regia:
Michelangelo Frammartino


distribuzione:
Cinecittà Luce


durata:
88'


produzione:
Vivo film, Essential Filmproduktion, Invisibile Film, ventura film


sceneggiatura:
Michelangelo Frammartino


fotografia:
Andrea Locatelli


scenografie:
Matthew Broussard


montaggio:
Benni Atria, Maurizio Grillo


costumi:
Gabriella Maiolo


musiche:
Paolo Benvenuti (suono), Simone Paolo Olivero (suono)


Trama
Un paese calabrese situato su alte colline da cui si scorge in lontananza il Mar Ionio. Un vecchio pastore malato muore mentre una delle sue bestie sta per partorire; il capretto si perde il giorno della sua prima uscita al seguito di un gregge al pascolo. Un abete viene utilizzato per una festa pagana e poi trasformato in carbone
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