Ondacinema

recensione di Diego Testa
4.0/10

L’eccesso cinematografico fa bene a tutti, a chi lo fruisce e in primis a chi lo innesca, in quel del cinema americano. Lo ha sempre saputo Michael Bay che su questo concetto, spesso deleterio, ci confezionò un film, "Pain & Gain", per informarci della società/produttività bulimica americana. Benissimo lo ha letto e riprodotto Peter Berg nelle dinamiche action di "Red Zone", b-movie di fuoco. E di certo lo aveva esportato a Hong Kong, attraverso "Skyscraper", Rawson Marshall Thurber con un Dwayne Johnson depauperato di un arto ma artificialmente ripristinato per consentirgli di rimuovere la minaccia e ricostruire.
Dalla ricostruzione appunto il blockbuster americano spesso riedifica le basi interne dei suoi franchise: si pensi allo schiocco di Thanos che ha portato alle versioni altre nelle serie "Loki"/"WandaVision", si pensi alla polimorfismo autoriale in casa DC dopo il disastroso inizio. Ma ricostruire non è soltanto riprogrammare il già noto, quanto piuttosto dotare standard classici di nuove letture. Ecco, "Red Notice" non ci prova neanche a farsi interessante, preferendo un’abusata copertina alla risma di fogli bianchi di cui si compone.

Di divismo si tratta quando due attori e un’attrice coi cachets stimati tra i più alti di Hollywood si dividono il minutaggio. Da quanto si sarà intuito nel preambolo, "Red Notice" è dunque un contenitore vuoto al servizio di chi lo possiede, interessante proprio perché esemplificativo di una tendenza produttiva esso stesso. Il film di Johnson-Reynolds-Gadot cos’è allora?
Parlando di generi, siamo in un heist movie in viaggio per il mondo in cui tre personaggi si contendono tre uova dorate antichissime, preziose; e tra una location e l’altra "Red Notice" esplora altri lidi famosi quali il prison movie, lo spionaggio, l’avventura esotica.
Parlando di genere, invece, "Red Notice" è il solito prodotto de-sessualizzato le cui componenti esplosive sono costantemente, inspiegabilemente, sotto morfina. Lo stesso Johnson, le cui migliori caratterizzazioni sono quelle di declinazione disaster ("San Andreas") e muscolare ("Hobbs & Shaw"), è una statuina al centro dell’immagine, fossilizzazione di qualsivoglia tentativo di rendere veramente dinamico un film che dovrebbe esserlo.

"Red Notice" è una rassicurazione in calce alle correnti carriere dei protagonisti, una statica fotografia di ciò che è noto, piuttosto che un tentativo di rilettura delle diramazioni dell’industria o quanto meno copia delle prove migliori.
Siamo nel cinema del divismo socializzato, quello per cui si fondono ruolo imprenditoriale e vita privata, riconoscendo nei volti degli attori sempre i medesimi valori. In particolare, siamo nel cinema di Ryan Reynolds, prezzemolo indigesto che condisce il cinema ogni pubblico possibile, dal r-rated pleonastico di "Deadpool" (2016) ai superficialismi consumer dell’npc di "Free Guy" (2021). Mentre Johnson si autoproduce con la Seven Bucks Entertainment di cui è CEO.
"Red Notice" è assorbito dunque dai valori dei loro beniamini, lasciando al racconto audiovisivo il ruolo ancillare di mezzo inerte, mortifero, come fu per il caso nostrano "Chiara Ferragni - Unposted" (2019). Accostamento volutamente all’eccesso, ma la cui condivisa visione può far pensare a operazioni simili in contesti geografici differenti, USA e Italia che si fanno mondo.
Con questo non si vuole intendere che laddove il cinema fa da ponte al divismo, esso sia da intendersi per commutazione scialbo.  È ben ravvisabile quanto il film sia povero d’inventiva, asettico e volutamente denso di stereotipizzazioni, le quali per definizione sono opinioni già generalizzate e condivise, riflettendosi in un omogeneizzato testuale. Il vertice di questa schematizzazione è quel toro in CGI con cui "Red Notice" si autoinfligge il senso del ridicolo ma lo spettatore quasi non se ne accorge, trastullato in un mare di segni molto simili (il latino focoso, le famiglie principesche egiziane, sporadici riferimenti nonsense all’italiano).

Mentre la regia elefantiaca di Thurber fa gioco alle star, tra velocissimi droni e strumenti di ripresa ad altissima densità di pixel, "Red Notice" si premura di instaurare un dialogo aggiornato al presente. Sullo sfondo i brand si affastellano, ma fanno capolino dalla sceneggiatura anche elementi della vita digitale contemporanea. Il vocabolario di personaggi ironizza su Instagram, Etsy, utilizza la pratica del deepfake (termine coniato su Reddit) per finalizzare un colpo. Il dialogo, tuttavia, si ferma alle cose, alla loro elencazione, guardandosi bene dall’usarle per parlarci di altro. Questa è forse la pratica maggiormente deleteria della sceneggiatura di "Red Notice", evidentemente pensato per un pubblico giovane vista la caratura della commedia.

"Red Notice" è una di quelle produzioni che sa esattamente dove andare, come successo con "Venom" e "Star Wars: L'ascesa di Skywalker", con cui condivide una progettualità commerciale in evidenza rispetto al resto dei propositi, nonostante la voluta tenerezza imbarazzante che premanano (risuona familiare, vista la caratura del prodotto, il termine cringe, ma privo della capacità di suscitare ironia). Il film centra il bersaglio, l’unico possibile, quello del contenuto al servizio della confezione.


17/11/2021

Cast e credits

cast:
Dwayne Johnson, Gal Gadot, Ryan Reynolds, Ritu Arya, Chris Diamantopoulos, Vincenzo Amato


regia:
Rawson Marshall Thurber


titolo originale:
Red Notice


distribuzione:
Netflix


durata:
125'


produzione:
Flynn Picture Company, Legendary Entertainment, Netflix, Seven Bucks Productions


sceneggiatura:
Rawson Marshall Thurber


fotografia:
Markus Förderer


scenografie:
Andy Nicholson


montaggio:
Michael L. Sale


costumi:
Mary E. Vogt


musiche:
Steve Jablonsky


Trama
L'Alfiere, noto ladro d'arte imprendibile, ha avvisato i servizi segreti americani di un possibile furto di tre antiche e preziose uova d'orate. Inizia una caccia serrata in giro per il mondo.