La serie scritta e prodotta da Matteo Rovere risulta un connubio vincente di logiche mainstream e adattamento di genere. "Romulus" stilizza personaggi e semplifica gli eventi di trama, ricorrendo all'epica e alla sollennità dialogica per restaurare un quadro realistico e al contempo fatuo
La fiction seriale al servizio della storiografia
All’interno del problematico e strutturato concetto di quality television ricade indubbiamente l’approccio più o meno d’autore all’utilizzo del genere e la sempre maggiore frammentazione del pubblico di riferimento di tali produzioni audiovisive. Se difatti è possibile rilevare un numero considerevole di approcci seriali alla rappresentazione storica (e presunta tale), questi sono a loro volta frammentabili per commistione di generi e modelli di scrittura. Per farne un esempio, quanto differiscono tra loro le seguenti coppie prodotti calate nella storia come "I Tudors" e "Spartacus"; "Vikings" e "Roma"; o ancora "Downton Abbey" e "Peaky Blinders"?
La voluta dissonanza tra i titoli di serie tv qui elencate inquadra la differenziazione tra i modi di raccontare e soprattutto di rappresentare l’aspetto storico. Sia ben chiaro che nessuna di queste serie ha veramente intenzione di sostituirsi a un approccio documentaristico-storico, esse tentano piuttosto di fidelizzare la percezione della fattualità in seno ai singoli approcci: che siano tentativi smaccatamente parossistici ("Spartacus") o pomposamente verosimiglianti ("Roma"), a ognuno di essi si può ascrivere un sotto-genere del filone della serie in costume e dunque trovarne un modello di scrittura e messa in scena di riferimento collaudati e conosciuti.
La parola storiografia a titolo di questa riflessione deve essere intesa come una provocazione poiché, come sostenuto, la volontà delle serie tv di farsi prodotto di indagine storica è, per essere riduttivi, superficiale e subordinata alla logica della finzione e della narratività. Però è indubbio il tentativo della quality television, probabilmente a cominciare proprio dai primi prodotti HBO (si rimanda alla spiegazione dettagliata di Matteo Zucchi su "Il Trono di Spade"), di contaminare di realismo le serie tv; e, laddove si produce un rapporto privilegiato con i fatti storici, ecco che l’apparenza di molti di essi è quasi storiografica, di ricerca specialistica e puntuale che presuppone, talvolta, conoscenze implicite da parte degli spettatori che li visionano. Per realismo si intenda non soltanto la messa in scena di dinamiche con un certo grado di realtà, ma anche la capacità di sfuggire alla preponderante cornice metaforica attribuibile a un ambiente o a un personaggio.
"Romulus" è difatti il connubio ibrido di un certo modello di narrazione televisiva corrente imperniato sulla rappresentazione realistica e ricostruzione possibile dell’ethos dell’epoca, a prescindere dalle fonti da cui attinge e dai soggetti rappresentati (in questo caso il soggetto è mitologico). E ciò non dipende soltanto dalla fedeltà all’epoca storica (elementi che non competono a questa sede), quanto piuttosto dall’approccio del mezzo audiovisivo con cui si convince e si ammalia lo spettatore con una tale rappresentazione in costume.
"Romulus" e le sue origini
I nomi da tenere a mente prima di approfondire "Romulus" sono due: Grøenlandia Group e Matteo Rovere.
Nel 2014 Matteo Rovere e Sydney Sibilia fondarono Grøenlandia facendosi notare nell’ambito dell’audiovisivo dell’intrattenimento con "The Pills - La serie" da cui nascerà la prima quasi omonima produzione ("Sempre meglio che lavorare"). Fin dagli inizi il collettivo di artisti di Rovere e Sibilia si è distinto per un approccio nuovo alla commedia, il cui minimo comun denominatore può essere trovato nella città di Roma. Tuttavia la matrice del successo non sta nell’ennesimo approccio localista dei film di Grøenlandia, quanto quello di essere divenuta una fucina di sperimentalismo studiato a puntino: una formula vincente che porta al cinema un apparente rinnovamento linguistico e produttivo (la trilogia di "Smetto quando voglio") e la solidità di un puntuale e sempre chiaro riferimento di genere: la commedia; poi il coming of age in "Il campione"; e per ultimi gli esperimenti horror, biografici, action (rispettivamente "The Shadows", "Il cattivo poeta", "La belva").
"Il primo re", uscito nelle sale agli inizi del 2019 per la regia di Rovere, come si scriveva in recensione, è sembrato fin da subito uno straniante unicum di genere nel panorama cinematografico corrente. Non soltanto per l’investimento di circa 8 milioni di euro[1] ma per aver generato un inusitato interesse mediatico e di pubblico che ha guardato a questo oggetto filmico come la rivalsa di un cinema che, oggi, non saprebbe internazionalizzarsi. A prescindere dal giudizio critico, "Il primo re" è stata una scommessa totalmente avulsa ai canoni in sicurezza dei film di Grøenlandia; scommessa in parte rifiutata da quel pubblico che lo ha osannato a fronte un incasso di circa 2 milioni di euro: un buon risultato per il nostro territorio, ma da rivedere e rivalutare sulla base di quello internazionale.
Perché e come farne una serie?
"Romulus" sembrerebbe dunque una seconda scommessa, un prodotto marcato e "verticale", dedicato al pubblico che cerca nella serialità televisiva un approccio realistico, una scrittura matura unita all’intrattenimento dell’epica in costume. La serie in realtà è giocata, a livello produttivo, su un già collaudato e felice riutilizzo proprio della medialità contemporanea. Si pensi alle germinazioni seriali che sono nate dai film "Suburra" e "Gomorra". "Romulus", proprio come queste, non diviene (soltanto) prosecuzione cronologica o preludio di "Il primo re", quanto piuttosto rielaborazione di elementi già noti (non è poi tanto dissimile da quanto Disney fa con i reboot dei classici animati o della Star Wars saga).
Una narrazione trans-mediale in cui far confluire anche i romanzi e che sorprende per la vicinanza temporale, in termini produttivi, tra film e serie; e per la decisione di proseguire con un progetto figlio di un film amato, ma non pienamente ripagato, almeno sul mercato nazionale.
"Romulus" ha però una nuova e inusuale caratteristica, cioè quella di nascere primariamente dall’idea di un autore, Matteo Rovere appunto, che in veste di showrunner calibra la serie sull’attuale modello televisivo: fedeltà al contesto storico culminante nell’utilizzo del latino quale lingua originale, trama con molteplici punti di vista, commistione di generi, grammatica cinematografica declinata con chiarezza. Questa schematicità collaudata applicata all'ambientazione storica tipica di altri prodotti high concept - come "Vikings" di cui "Romulus" si fa emulo in alcuni aspetti - riporta la serie di Rovere al concerto produttivo tanto caro a Grøenlandia: commistioni tra i linguaggi di genere mainstream, principalmente saccheggiati dal Nord America, incanalati in rintracciabili ed espliciti modelli dell’audiovisivo contemporaneo.
Stagione 1
"Tu regere imperio populos, Romane, memento: [...] parcere subiectis et debellare superbos." - Anchise al figlio Enea.
Eneide, VI 847-853, Virgilio
Per debellare l’interminabile periodo di siccità, un segno divino impone al re Numitor di Alba di abbandonare il trono e cedere la guida delle 30 città della Lega ai discendenti suoi nipoti. Il fratello del re, Amulius, si convince di dover prendere la guida della Lega al posto dei giovani ragazzi, ordendo un assassinio ai loro danni.
L’impianto mitologico, tracciato dagli storici del periodo augusteo per giustificare la fondazione di Roma, è ampiamente richiamato e conservato in "Romulus", seppur mescolato all’intreccio drammatico che riadatta ruoli e personaggi. Il risultato è un high concept che espone in chiaroscuro ruoli e tematiche, evoluzioni caratteriali e dispiegamenti drammaturgici.
Due sono gli elementi evidenti che differenziano "Romulus" da "Il primo re": gli eventi narrati antecedenti alla venuta di Romolo e Remo; la fotografia saturata in post-produzione contro la luce naturale del film.
Il formato immagine da 2,39:1 (widescreen) finalizzato alla restituzione di un’ambientazione dispiegata orizzontalmente, accoglie i colori accesi e pastosi che donano caratteristiche ben precise agli ambienti e ai soggetti, prevedendone il profilmico: il ceruleo anticipa le mattine da cui si innalzano fuochi arancioni, il blu cupo prevede notti di pioggia e infine gialli-grigi-verdi descrivono boschi marcescenti e i loro pericoli. Una palette cromatica che partecipa di un didascalismo narrativo asservito alla descrizione di ogni scena, finemente studiata e semplificata, tanto da farsi meravigliosa e prevedibile. In questa confezione, che qualcuno direbbe cinematografica, il formato comunica il desiderio di parlare attraverso la vastità naturale (grotte, campi, boschi, fiumi), la caratteristica di pregio di una produzione che fa del set il plusvalore della serie. Un’ambientazione, come si diceva in apertura, realistica: il bosco non soltanto quale metafora del perdersi e dei pericoli ma anche concreto luogo di scontro tra culture e civiltà; o anche le grotte quali luoghi umidi o protettivi, per esemplificare.
Eppure al centro di "Romulus" ci sono le storie dei personaggi. La scrittura di Rovere-Gravino-Iuculano si dedica alle consuete biforcazioni seriali di tre gruppi nucleici: Amulius e Gala che cospirano per prendere con la forza il comando delle trenta città; Yemos ricercato per aver assassinato il fratello Emitos e in fuga con lo schiavo Wiros, conosciuto in occasione dei Lupercalia; Ilia, ex-vestale figlia di Amulius, in cerca di giustizia vendicativa per l’assassinio del suo amato Emitos. Le tematiche ricalcano in parte quelle di "Il primo re": il rapporto col divino e la conseguente disillusione da parte di Ilia, sancita nell’atto di spegnere il fuoco sacro, investe tutte le storie, seppur con sfumature diverse. L’aspetto sacrale diventa per la serie un elemento magico fatuo ed evanescente traducendosi in una fuorviante deriva fantastica. Ancor meno che in "Vikings", l’aspetto fantasy corrobora al grado minimo l’inclinazione realistica, ricorrendo negli aspetti di trama con parsimonia visiva e talvolta lasciando dubbioso lo spettatore sul funzionamento dell’elemento magico stesso. Dunque, l’aura metafisica che circonda il mondo di "Romulus" è difatto intangibile, ma presente e soppesato dai personaggi in ogni dialogo.
L’altro tema cardine è il potere: violento e negativo quello di Amulius, corrotto dal controllo sessuale di Gala; giusto e sofferto quello di Yemos in lotta contro la disperazione del suo lutto. Un potere gerarchico che promana da scelte dinastiche o di potere, potendo decidere con esso chi è libero e chi schiavo.
Apparentemente "Romulus" rinuncia allo sfumato tra protagonismi e antagonismi a cui un certo tipo di scrittura seriale è abituata. Difatti di Amulius non traspare mai la volontà di agire per il bene del popolo, seppur lui stesso se ne convinca, quanto di bramare il potere per sé; a esso si contrappone Yemitos le cui scelte ricadono in una sfera di valori positivi e giusti. Un’operazione di scrittura voluta per sostanziare il tono epico e grave del prodotto, in cui si possano riconoscere ruoli e caratteri principali in cui i personaggi sono bilanciati tra manicheismo e didascalia. Maggiormente "grigi" invece altri personaggi come Wiros e Cneus, il contorno di maggiore interesse rispetto alle vicende principali.
"Romulus" si appropria finemente di tutti gli stratagemmi della serialità recente (ritmo, cliffhanger, complessità narrativa) e incede come una slow burning story. In realtà di questa lentezza sembra soffrire, soprattutto i primi 4 episodi, la cui più evidente mancanza è il personaggio forte. Le linee principali del racconto hanno un’equivalenza molto marcata tra loro, restituendo allo spettatore momenti di vuoto o ripetizione di concetti.
La qualità con cui "Romulus" è stato girato e post-prodotto traspare da ogni sua componente: scelte di regia e montaggio, la CGI e i VFX, le musiche originali, infine l’accuratezza di scenografie, costumi e trucco prostetico. Fuori dai teatri di posa, a sottolineare ancora una volta la spregiudicatezza produttiva.
Tutto concorre alla confezione di un prodotto eccellente, fin troppo ordinato e dunque prevedibile. Rovere-Alhaique-Artale, alternandosi alla regia, divengono quasi indistinguibili se non per minime e ininfluenti scelte personali. Linearità della storia, campi-controcampi e scelte di montaggio (interno ed esterno) sono elementi sempre uguali a sé stesse. La regia opta per un linguaggio chiarificatore: primi piani privi di profondità di campo, punti di vista con il soggetto che osserva all’interno del quadro, posizionamento dei personaggi nel quadro a favore della loro descrizione spaziale.
Rare le occasioni di maggiore dinamicità come il montaggio parallelo in chiusura della puntata 1x02 o alcune scelte nella gestione dei campi lunghi di Alhaique (nella 1x03 Gala in campo lunghissimo che osserva il tumulo aperto e vuoto è uno di quei casi in cui è l’immagine a concorrere alla descrizione emotiva degli eventi).
"Romulus" si dipana come un’unica storia i cui episodi sono tappe, rischiando di farsi eccessivamente story-driven e lasciando all’immagine un apporto ancillare: prima da ammirarsi e quasi mai da interrogare. In sostanza si nota la struttura seriale così ordinata e così abbellita che depotenzia accenni di personalità, sbocchi di innovazione o momenti di stupore. Proprio nella linearità e schematicità si nota l’obiettivo di "Romulus" di sfrondare la rappresentazione, farne un documento riconoscibile e al contempo magico, fondendo la gravitas dei dialoghi alla presentazione primigenia, selvaggia dei popoli italici, la cui rappresentazione è primariamente di genere horror in un efficace quanto stereotipica vestizione di ossa e una ritualistica filo-cannibalistica. Un tipo di scrittura che mostra dolenti difficoltà a restituire l’evoluzione caratteriale dei personaggi la quale finisce per essere accettata quale calco rigido piuttosto che flusso concreto e naturale (vedasi la trasformazione di Ilia da vestale a guerriera).
Interessante l’utilizzo della lingua usca per i popoli dei boschi, contrapposto al latino delle città: fedeltà rappresentativa ed elemento narrativo che sottende al tema principe del racconto, ossia l’appartenenza. Appartenere a una civiltà, suggerisce "Romulus", significa anteporne i precetti di fede elevati a legge e, successivamente, concretizzare gli stessi in forma cittadina, due elementi a cui Wiros (lo schiavo) aspira mentre Yemos (re caduto) ambisce a riottenere.
La seconda parte della serie invece si attesta su un ritmo maggiore, preparandosi a una gestione dinamica degli eventi (si passa con continuità da battaglie all’arma bianca a duelli verbali) e una conduzione del ritmo senza addurre suspense repentina a ogni finale, pratica tanto abusata da risultare spesso consumata. Il finale, tuttavia, disattende quest’ultima dinamica, preferendo una conclusione aperta quanto stonata, ennesima dimostrazione della tendenza di "Romulus" a mostrare tutto allo spettatore (laddove il dettaglio di un "dente" sarebbe stato sufficiente senza farsi smaccatamente eloquente).
Di questa restaurata arcaicità dell’VIII secolo a.C partecipa anche il commento sonoro di Mokadelic, tappeto elettronico e sinfonico, non molto dissimile dalle composizioni originali di "Britannia", attenti in entrambe le serie a non evocare pedissequamente elementi del periodo storico (si provi ad ascoltare la ridondanza musicale di "Roma").
"Romulus" appare a fuoco e centrato, in maggior misura rispetto a quanto fatto con "Il primo re". In coda alla recensione del film si ipotizzava che Matteo Rovere potesse ripartire proprio dalla restaurata tensione tra logiche mainstream e d’autore, e così "Romulus" diviene una ridefinita e perfezionata opera seriale. Un lavoro oggetto di riflessioni produttive ancor prima che artistiche: Matteo Rovere e i professionisti chiamati a completare "Romulus" fanno del produttore una figura chiave, autore tout court che interpreta ciò che il pubblico e il mercato richiedono.
[1] Fonte: Variety.com
titolo:
Romulus
titolo originale:
Romulus
canale originale:
Sky Cinema
canale italiano:
Sky Cinema
creatore:
Matteo Rovere
produttori esecutivi:
Nils Hartmann, Sonia Rovai
cast:
Andrea Arcangeli, Francesco Di Napoli, Marianna Fontana, Sergio Romano, Ivana Lotito, Vanessa Scalera, Giovanni Buscelli, Massimiliano Rossi, Yorgo Voyagis, Gabriel Montesi, Emilio De Marchi, Marlon Joubert, Silvia Calderoni
anni:
2020