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La redazione di Ondacinema inaugura un nuovo speciale. Traiettorie offre un mosaico di interventi eterogenei su un film specifico, frammenti critici che approfondiscono la lettura, moltiplicano i punti di vista e mettono in discussione i temi che lo compongono

In alcuni film, la ramificazione di riferimenti e contenuti rende necessaria la scelta di un itinerario critico, in cerca dell'alberatura delle sue maglie. La redazione di Ondacinema inaugura il nuovo speciale, Traiettorie, con "Midsommar" di Ari Aster. Da leggersi, preferibilmente, dopo la sua visione.


Note per una lettura politica di "Midsommar"




Come puntualmente osserva Mirko Salvini, il senso di "Midsommar" non è da ricercare nella sua letteralità, quanto piuttosto nella lucida ambiguità del testo filmico che sdipana davanti allo spettatore plurimi sentieri interpretativi – nessuno dei quali, tuttavia, rappresenta una sicura via d’uscita. Di particolare interesse appare in questo senso la lettura antropologica: ben due personaggi sono impegnati nella stesura di una tesi in antropologia culturale, la narrazione insiste poi sui temi del relativismo etico, dei legami familiari, del rapporto tra riti e religione, società e natura.

L’opposizione fra mondo naturale e cosmo sociale viene persino inscenata in apertura (panorami invernali incontaminati sotto la neve/stacco netto sul trillo insistito di un telefono e paesaggio urbano), ma costituisce soltanto la prima di una lunga serie di polarità contrastanti fra le quali spiccano sessualità/repressione e isolamento/aggregazione, che riflettono nel primo caso la persistenza in un primitivo stato di natura e dall’altro il conato alla consociazione in una comunità regolata da leggi e rituali. A Hårga, proprio l’ortodossia rituale determina le possibilità di sopravvivenza, e chi si rivela incapace di uniformarsi all’ideologia dominante viene gradualmente eliminato per l’ostinato attaccamento a una prospettiva incompatibile: intellettualismo (Josh), cinismo (Mark) o moralismo (Simon e Connie). Sembra dunque che il villaggio riesca soltanto nei più deboli, la fragile Dani e l’ignavo Christian, a inoculare le tossine ideologiche di una comunità che giustifica l’endogamia con il pretesto della divinazione, l’omicidio con il pretesto della purificazione.

Plasmata da risentimento e solitudine, Dani simboleggia l’individuo malleabile di fronte alle ideologie forti (fondamentalismo, terrorismo, fascismo e vari –ismi), e dunque capace, qualora gli si attribuisca un ruolo di potere (May Queen) di qualunque nefandezza quando opportunamente sostenuto da un contesto ideologico. Non la consanguineità, come in "Hereditary", bensì la società stessa fornisce gli strumenti pratici per la trasmissione del male e la sua giustificazione ideologica.

Rudi Capra

Le forme femminili la mettono a disagio, signor Lebowski?



"Perché le donne svedesi sono tanto belle?" chiede uno spaesato Mark appena arrivato nel paese. "Midsommar" assorbe il luogo comune sulla Svezia terra di bionde affascinanti e disinibite e lo trasforma in un incubo (per i maschi), in cui uomini riottosi sono costretti a fare sesso dalla comunità femminile. La gestione della riproduzione e degli appetiti sessuali è centrale in una piccola comunità che si pone quindi regole che vanno dall’età del consenso all’endogamia controllata per un’anti-eugenetica che generi bambini "dalla vista non offuscata dalla ragione".

Nella luce abbacinante del giorno perenne della mezza estate scandinava si stagliano pali della fertilità attorno ai quali le donne danzano fino a svenire e antri triangolari in cui è vietato entrare (in teoria). Uno degli aspetti interessanti del film è la densità di informazioni sullo sfondo – così come gli inquietanti quadri in casa di Dani, le rappresentazioni sulle pareti della camera da letto comune non vengono inquadrate direttamente ma come dice Mark si vedono dappertutto “cazzi e fiche fiammeggianti” (non a caso) e accoppiamenti che creano un certo turbamento nello spettatore con radici cristiane, contribuendo a rendere malsana l’atmosfera.

Per finire, tra i tanti effetti speciali lisergici (non tutti azzeccati, onestamente), non si possono non citare i petali rosa pulsanti nella corona della regina di maggio appena incoronata. Nella comunità gli uomini sono isolati e dementi (non riescono neanche a suicidarsi) mentre sono le donne a costruire i rituali di condivisione collettiva di estasi, di canto o di pianto che siano. Dopo aver sfiorato lo stereotipo della donna di mezza età isterica in "Hereditary", Ari Aster ci racconta di come ci sia da tremare, perché le streghe son tornate.

Alberto Mazzoni

Scelte di regia e ambiguità



La contrapposizione fra prologo urbano e notturno e corpo del film, agreste e diurno, è segnata da un’inquadratura montata al rovescio che avverte lo spettatore (ma non i ragazzi ignari) che l’universo in cui si sta per entrare ha regole tutte proprie. Nel resto del film, l’uso insistito e fascinoso della plongée è idoneo a farci assumere ripetutamente un punto di vista alieno e distanziante.

Se le plongée sono esibite, Aster lavora in modo consapevole anche sul fuoricampo, dove cose e fenomeni si manifestano in modo antinaturalistico. Ad esempio, l'arrivo della carrozza su cui sale Dani. Prima che faccia la sua comparsa, nessun movimento o rumore la anticipa: poi, con un controcampo, improvvisamente è lì, immobile. La narrazione è portata avanti spesso in questo modo: elementi diegetici nuovi fanno la loro comparsa in modo innaturale, il che legittima l’ipotesi che vada sospeso ogni giudizio sul grado di verosimiglianza di quanto vediamo (potremmo spingerci ad affermare che la sola cosa verosimile siano i trip allucinogeni). Siamo invitati esplicitamente a dubitare di ciò cui assistiamo senza che ci venga fornita una chiave per penetrare nei misteri del profilmico.

Le scelte di Aster sono funzionali al lavoro sull’ambiguità, che diventa fondamento del film. Qualsiasi interpretazione resta soggettiva, e limita la portata dell'opera. Gli interrogativi che si aprono non hanno risposte univoche; "Midsommar" non propone soluzioni per liberarci dalle angosce che solleva. Prima di cedere alla tentazione di addentrarsi nel terreno impervio dell’interpretazione, occorre riconoscere che è il lavoro sull’ambiguità a fornire spessore a un film che si chiude su un sorriso indecifrabile.

Stefano Santoli

Riti fallimentari



Nel frattale contenutistico di Ari Aster, perfettamente in linea con la tendenza mistificante di un certo tipo di orrore cinematografico recente, emerge il gesto rituale. La performance collettiva di Hårga abbraccia i nuovi arrivati e li comprende fino all'esplosione finale apotropaica/espiatoria. Un meccanismo perfetto, fondativo e secolare a cui non è concesso altro che la riuscita. In questa ottundente rappresentazione della ritualità Aster non vede alcun orrore né fattore di sgomento. Tutto è limpido, alla luce del sole. Eppure impermeabile a letture univoche e definitive.

Se in "Hereditary" la stratificazione allusiva si costruiva a partire dal dramma intrafamigliare - il costante dentro e fuori la miniatura - mentre il genere si palesava compiuto e dato, "Midsommar" capovolge la formula: il gruppo di amici agisce volutamente attraverso i cliché mentre l'horror, rappresentato dai villeggianti, si ammanta di irrazionalità. Ecco perché i gesti dell'agire comune come un compleanno, una relazione lunga quattro anni o scrivere una tesi appaiono rituali spezzati, sghembi, imperfetti. Dani, Christian, Josh falliscono irrimediabilmente, soverchiati dalla precisione con cui Hårga mette in atto ciò che in potenza si legge sulle decorazioni incise.

A fallire, per Aster, è la consuetudine dell'uomo che, pur provandosi a spiegare con sguardo scientifico la realtà fattuale, cede e finisce per accettare l'inspiegabile. E questa accettazione è uno dei tanti sorrisi di Dani.

Diego Testa





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