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recensione di Diego Testa
6.0/10

1917 sam mendes

Sam Mendes è un professionista incredibile nel sapersi sbilanciare senza cadere, nell'addentrarsi nel trasgressivo modaiolo e uscirne pulito, sano, intoccato. Caratteristica il più delle volte positiva se ti chiamano a infiocchettare un nuovo capitolo della saga dell'agente inglese 007. Lo stesso "American Beauty", salutato come gioiellino alla fine del secolo scorso, oggi sembra un'edulcorata critica alla borghesia americana, a un passo dal mostrarne il baratro ma attenta a rimanere nel reticolato sicuro del gusto popolare, fruibile poiché già dato, leggibile a ogni livello testuale senza sfumature nell'etica del personaggio mendesiano.
Dove si colloca questo roboante "1917" nella filmografia ormai matura di Mendes? Cerchiamo di capirlo partendo dall'intenzione con cui l'avventura bellica registra il punto di vista partendo da una tecnica cinematografica, il piano-sequenza. 

Spettacolarismi e spettatorialismi

Banalmente ma necessario a dirsi, dall'esordio del 1999 al film "American Life" (2009), le sceneggiature mendesiane hanno sempre tratteggiato gli aspetti interiori delle vicende, scegliendo un approccio statico, rinchiuso in interni specifici anche laddove si profila un deserto ("Jarhead") o un viaggio in auto ("American Life", appunto). La particolare parentesi col progetto su commissione di 007 permette al cinema dell'inglese di allargarsi, confrontarsi, seppur conscio di doversi fermare al concetto reboot riformista di un franchise cominciato da "Casino Royale" che, per quanto nuovo voglia apparire, si porterà dietro una autoreferenzialità imprescindibile. Però cinema di movimento, espressione di un'azione apparentemente avulsa ai film precedenti. Proprio sul set di "Spectre" nasce la necessità di esprimere un cinema fisico[1], d'azione, sia per contenuti che per intenti stilistico-tecnici: cinema di guerra raccontato col piano-sequenza.

"1917" richiede una naturale essenzialità e asciuttezza in fase di sceneggiatura per fare ciò che deve. Non c'è spazio, dunque, per l'approccio storicistico e occorre calarsi direttamente nelle trincee inglesi: due soldati e la missione di consegnare un messaggio passando attraverso il territorio tedesco per evitare un attacco suicida per 1.600 commilitoni.
Formalmente, "1917" è costruito con due macro piani-sequenza distinti, finendo il primo con uno stacco nero derivante dallo svenimento del protagonista. I due piani sequenza sono frutto di vari tagli montati con l'ausilio del digitale. Dunque, essendoci del montaggio, non siamo di fronte alla tecnica propriamente detta. Riflettere sui confini di tale approccio potrebbe essere interessante quanto ormai inutile. Come giudicare oggi sul piano semantico una tecnica che nel medium audiovisivo tutto è frutto di una rivoluzione tecnologica[2]? Discorso complesso che al momento non cambia, parere personale, la sostanza del risultato. Difatti la fisicità reale o meno dell'avvenuta ripresa in PS non cambia l'obiettivo della comunicazione testuale: il significato veicolato.

Senza addentrarci oltre in un terreno complesso, basta guardare come "1917" utilizza il PS. Viene spontaneo chiedersi se la tecnica sia espressione di un bisogno oppure si tratti di autorialità veemente, esercizio ludico. Entrambe le cose, se accettiamo la natura chimerica del risultato finale. Difatti, se la frequente camera a mano suggerisce un'immersione esperienziale della realtà, la formula action muscolare da blockbuster preme in senso opposto allontanandosi dal realistico. Primario sembra per Mendes sospendere lo sguardo sulla realtà, fingendo uno sguardo umanista per poi ricollocarsi consciamente nel solco del cinema spettacolare di hollywoodiana memoria. Volutamente Mendes compie una estrema sintesi di tematiche e forma espressiva.
Sam Mendes sclerotizza in una versione spettacolare e spettatoriale, cioè gradevolissima in termini d'intrattenimento e d'immediata identificazione, noti momenti del cinema di guerra: Kubrick, Spielberg, Nolan e tutti i papabili che non è necessario citare.
Amabile proprio per l'asciuttezza che diventa semplicismo, richiede una dose abbondante di sospensione dell'incredulità, dosata anzitempo da ritmiche assuefacenti e visivamente strabilianti. Prestigio e condanna di un movimento orizzontale.

Muoversi in orizzontale

One-shot-illusion dunque[3], ma perché in orizzontale? Chiaramente non si fa riferimento ai movimenti di macchina i quali concorrono alla fuga da una definizione realistica dell'avventura bellica pur mescolandosi a un certo "verismo": la camera è quasi sempre ancorata a terra e non attraversa gli elementi di scena, eppure i movimenti e la velocità d'azione ne sovradimensionano la portata.
"1917" si muove da un punto A a un punto B, uno schematismo pianificato nel quale non c'è nulla di sbagliato, eppure qui cancella qualsiasi ariosità testuale: le brutture della guerra a senso unico, violenta ma in maniera quasi pudica, didascalica, le quali facilitano una digestione di senso incredibilmente limitato, brutalmente conciso e scevro da sfumature. Insomma, "1917" dialoga poco con lo spettatore, pur raccontandogli molto, e anche in fase di montaggio interno, centrale in questo tipo di operazione, facilita la fruizione: il focus che risalta scolasticamente i soggetti principali dell'evento in scena, mai cercando lo scarto, il disturbo. Dialoghi, fotografia, musiche e sound design, idealmente, seguono questo schema didattico a effetto. Impossibile attendersi un ribaltamento in senso etico né politico. Di qualità eccellente, ma digeribili fino al riempimento.

Spazio all'avventura umanista che sottintende costantemente il parallelismo uomo-topo e castra la profondità verticale che recenti film basati sul movimento A-B, pur didascalici, esprimevano nel sostrato tematico. Mi vengono in mente due titoli recenti: "Mad Max" e in particolare "Ad Astra" con un concetto di spazio "a corridoio", limite da intendersi come obliterante e soffocante in quanto qualità espressive del film.

Rischiando di banalizzare la rappresentazione voluta dal regista, qui criticata ma oggettivamente quadrata, coerente con sé stessa, "1917" si avvicina al videogioco da cui trae spunti per il point of view. Non in senso dispregiativo, sia chiaro: camera legata al suo protagonista, Schofield, a seguire o anticipare il movimento, qualche volta falsando la soggettiva; lo stacco al termine del primo piano-sequenza suggerisce che noi vediamo perché Schofield guarda, suggerendo una compartecipazione totale in due macro unità di tempo e spazio[4]. Proprio il POV totalizzante impedisce libertà espressiva, chiudendosi intorno a questo cardine trascinato e gettato in ogni luogo che sottolinei sempre e solamente lo stesso intento didattico. La mano di Schofield che tocca ciò di cui la violenza della guerra si compone (il filo spinato, il cadavere, il fango) e ciò in cui deve dissolversi e spegnersi (il latte, il neonato, la foto ricordo) sentenzia su una logica già digerita e dunque di prefigurata assimilazione.
Pietra tombale di questo processo orizzontale è la chiusa che rinvia all'apertura sul campo d'erba, segno che forse Mendes da quel cinema nucleico e fatto di azione interiore non voleva veramente uscirne.
Il risultato è dunque un potentissimo film d'azione che comprime insieme momenti epici riuscitissimi (il palazzo in fiamme nella città francese, il fiume di cadaveri) e frammenti b-moviesh (il topo che aziona l'esplosivo, l'aereo sulla fattoria), cozzando con l'intento di incollargli sopra un sentimentalismo riflessivo autoriale.

Vincitore miglior film e regia ai Golden Globe 2020.
Dieci candidature agli Oscar 2020.

[1] Dall'intervista su Gamesradar

[2] Si pensi all'utilizzo del PS non soltanto nei film che fanno uso di computer grafica ma anche al videogioco "God of War" (2019): un intero piano-sequenza in game dentro codici e poligoni.

[3] Per chiarire: i tagli sono ravvisabili o nei movimenti di macchina veloci e fuori fuoco, o quando degli elementi di scena impallano parzialmente o completamente la mdp.

[4] Per una brillante critica sul tempo con cui il film comunica rimando all'articolo di Leonardo Strano.


24/01/2020

Cast e credits

cast:
Benedict Cumberbatch, Mark Strong, Andrew Scott, Richard Madden, Dean-Charles Chapman, George MacKay


regia:
Sam Mendes


titolo originale:
1917


distribuzione:
01 Distribution


durata:
119'


produzione:
Amblin Partners, DreamWorks Pictures, Neal Street Productions, New Republic Pictures


sceneggiatura:
Sam Mendes, Krysty Wilson-Cairns


fotografia:
Roger Deakins


scenografie:
Dennis Gassner


montaggio:
Lee Smith


costumi:
David Crossman, Jacqueline Durran


musiche:
Thomas Newman


Trama
Durante il primo conflitto mondiale due soldati inglesi, stanziati nel nord della Francia, devono consegnare a costo della vita un dispaccio che avvisa di ritirarsi prima dell'attacco tedesco. Per salvare più di mille commilitoni si getteranno tra le fila del nemico.
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