Ondacinema

recensione di Carlo Cerofolini
6.5/10
Diventata il termometro di una crisi che in Europa non accenna a diminuire, la Grecia almeno sul piano culturale sembra invertire i sintomi della decadenza grazie a una manciata di registi capaci d'accendere la passione dei cinefili, con le visioni di una comune apocalisse indagata con la precisione di uno sguardo da entomologo. Parliamo innanzitutto dell'artefice di questo risveglio, quel Giorgos Lanthimos impostosi all'attenzione generale con un film come "Dogtooth" in grado di rielaborare il concetto di famiglia alla luce di rapporti regolati su fattori di sudditanza e manipolazione. Un principio degeneratore che il ventisettenne Alexandros Avranas conferma con altrettanta virulenza nel suo "Miss Violence", opera seconda gratificata con il Leone d'argento per la miglior regia, e vincitrice del premio per il miglior attore, andato a Themis Panou.

Il punto di partenza è lo stesso di Lanthimos, e cioè il consesso famigliare e le sue liturgie, ma a differenza del predecessore, Avranos si preoccupa di inserire i protagonisti del film in un contesto domestico e consuetudinario, con la festa per il compleanno di Angeliki celebrato con ampio sfoggio di allegria, auguri e tavole imbandite. A rovinare la letizia il gesto autodistruttivo della festeggiata, che si toglie la vita saltando dalla finestra della propria abitazione non prima di averci regalato un sorriso da Gioconda. Un'azione sconcertante eppure motivata dalle ragioni che a poco a poco emergeranno dai comportamenti del capo famiglia (Panou), un distinto signore che dietro le maniere educate nasconde sembianze da orco delle favole.

Per raccontare l'orrore del quotidiano, Avranas parte da una trama esile e lineare, trasformandola in una ragnatela di reazioni emotive raggelate da un lavoro che procede in due direzioni: da una parte prosciuga gli attori del loro bagaglio espressivo, conferendo ai loro corpi una fisicità compressa da una fissità e da un immobilismo del tutto innaturale; dall'altra imbastisce una messinscena in cui lo spazio, scandagliato con precisione geometrica e scarti violenti della macchina da presa - come la carrellata in avanti che isola la madre dei bambini dal resto del contesto per sottolineare l'origine di una maledizione che a partire da lei è ricaduta sulla sua progenie sotto forma degli abusi perpetrati dal maturo patriarca - diventa il simbolo di una prigione, reale e figurata, che Avranos enfatizza filmando i personaggi in spazi limitati (stipiti e rientranze sembrano stringersi sui capannelli familiari riducendo l'ospitalità degli ambienti) e continuamente ostacolati dall'architettura della casa che in alcuni casi li sottrae a una perfetta visuale.

Alla pari del suo protagonista, o forse per restituire la percezione degli abusi di cui l'aguzzino si rende artefice, Avranos incombe sui corpi delle vittime con una regia che sembra schiacciarle sotto il peso della loro afflizione (basterebbe la ripresa dall'alto del corpo senza vita della bambina poi riproposta nella locandina) stabilendo una dittatura della immagini che si riflette nel primato del regista pronto a raccogliere il disagio di volti messi a nudo da primi piani di insistita inquisizione. Se il film è inscindibile dal contesto che lo produce - con la Grecia ridotta allo stremo da una gestione economica e politica a dir poco fallimentare - è vero anche che la metafora della caduta proposta da Avranas mediante il disfacimento, morale e materiale, della famiglia di Angeliki non grava sulle finalità di una vicenda avulsa tanto dalla retorica del film a tesi, quanto dalle sanatorie di soluzioni riparatrici. Più che indicare una strada, "Miss Violence" rappresenta la pietra tombale sui valori di una tradizione che proprio il culto della vita familiare, modellata sui fasti di un passato glorioso ma lontano, era riuscito a salvaguardare, e che ora invece ne certifica la dipartita nella mancanza di solidarietà che accomuna i comportamenti dell'umanità presa in esame. Se il mondo di "Miss Violence" si alimenta delle proprie ossessioni, Avranas non manca di dialogare con la contemporaneità, evitando qualsiasi concessione al voyeurismo imperante (molte sequenze finiscono con una porta che si chiude) e anzi stimolando nello spettatore pulsioni di segno contrario, come capita quando imploriamo di toglierci dalla vista la faccia del bambino ripetutamente schiaffeggiato, o allorché, presi in contropiede da una violenza (uno stupro collettivo avallato e organizzato nei minimi dettagli) non più suggerita ma eccezionalmente manifesta, aspettiamo impazienti di liberarci da quel supplizio.

Un'opera seconda potente e importante, quella del regista greco, a cui però fa riscontro un eccesso di zelo che lo spinge a ribadire in qualunque circostanza la padronanza del meccanismo cinematografico. La conseguenza più immediata è una narrazione a tratti rigida, in cui la componente teorica prevale in certi casi su quella squisitamente drammaturgica. Difetti che non spostano di una virgola i pronostici di un futuro che si annuncia luminoso.
31/10/2013

Cast e credits

cast:
Themis Panou,, Eleni Roussinou, Rena Pittaki, Sissy Toumasi


regia:
Alexandros Avranas


distribuzione:
EyeMoon Pictures


durata:
99'


produzione:
Faliro House Productions, Plays2place Productions


sceneggiatura:
Alexandros Avranas, Kostas Peroulis


fotografia:
Olybia Mytilinaiou


scenografie:
Thanassis Demiris, Eva Manidaki


montaggio:
Nikos Helidonidis


costumi:
Despina Chimona


Trama
La normalità di una famiglia greca si sgretola sotto il peso del suicidio di uno dei suoi componenti