Ondacinema

recensione di Eugenio Radin
7.5/10

“… Cosa alla fine sarebbe potuto accadere a una natura come quella, andata a cadere in un mondo non esente da alcune trappole e contro le cui sottigliezze il puro e semplice coraggio sprovvisto d’esperienza e di destrezza, e senza la minima traccia di sgradevolezza nel difendersi, è di poco vantaggio, e dove l’innocenza di cui un uomo è quantunque capace in caso d’emergenza morale non sempre affina le facoltà o illumina la volontà.”
(Hermann Melville, “Billy Budd”)


La fenomenologia dell’eroe eastwoodiano continua nella propria ridefinizione e arricchisce la propria ricerca con un nuovo exemplum che, come i suoi predecessori, anche stavolta è pescato dalla cronaca contemporanea e tra la gente comune, in linea con l’ideale repubblicano del “We the people” su cui, nel tempo, si sono affermate la storia e la cultura americana. Non un super-eroe dunque, ma un eroe-uomo, con cui lo spettatore possa empatizzare, non privo dei difetti e dei vizi propri di ognuno di noi: Richard Jewell non paga le tasse, è sovrappeso, ingenuo (verrebbe da dire ignorante), morbosamente dipendente dalla madre, incapace di tenere la bocca chiusa quando dovrebbe e – forse qui sta il difetto più grande – estremamente fiducioso nel funzionamento della giustizia.       
Seppur privo dei tratti di bellezza e di fascino che avvolgevano, quasi in un alone di santità, il protagonista del romanzo postumo di Melville, Jewell è in un certo senso un novello Billy Budd: simbolo anch’egli della contrapposizione tra la purezza e la corruzione, tra la schiettezza e l’artificiosità; l’archetipo dell’innocenza perennemente schiacciata dall’ottusa convenzionalità.             
L’ultima fatica di Clint Eastwood – che, sulla soglia dei novant’anni, sembra in realtà tutt’altro che affaticato – si pone così in linea con alcuni dei suoi ultimi lavori: dall’insuperabile “Gran Torino”, fino al meno fortunato “Attacco al treno”, passando per “Invictus”, “American Sniper” e “Sully” (probabilmente il titolo che si avvicina maggiormente, per la tematica del salvatore condannato dall’autorità, all’opera in questione). Se i personaggi dei precedenti titoli si ergevano ad apologia dell’eroe-uomo, del campione nascosto tra gli umili, qui all’elaborazione del modello si aggiunge il predicato dell’innocenza, della spontaneità incorreggibile che lo rende incapace di difendersi, di reagire, di scindere la giustizia dai suoi rappresentanti. 

Lo sguardo di Eastwood fotografa una società in cui la narrazione prevale sulla realtà, in cui la costruzione di una sofisticata storia finisce per mettere in secondo piano l’importanza dell’aderenza ai fatti, in cui il tribunale mediatico ha la meglio su quello giuridico e non si preoccupa nel far cadere la propria ghigliottina sulla testa del primo malcapitato, pur di consegnare al pubblico un nuovo scoop sensazionalistico.
È dunque proprio sul pericolo subdolo dello storytelling che il film trova il proprio centro. Anche il ritrovamento dell’ordigno esplosivo, di fatto, è per Richard il frutto di una casualità e non di un’attenta ricerca e l’evacuazione del parco è più che altro il risultato di un volersi cocciutamente attenere a un protocollo di sicurezza che ai più, in quel momento, sembra esagerato. Come egli stesso dichiara in un’intervista, Richard diventa eroe per caso, per essersi trovato “nel posto giusto al momento giusto”. È lontano, in questo, dal modello dal capitano Sully, per il quale l’ammaraggio nell’Hudson era stato frutto di una manovra sensazionale e unica, risultato di una scelta deliberata e rischiosa. Sono i giornalisti e gli editori che scelgono di fare di Richard Jewell un eroe: prima che della sua condanna, lo storytelling è dunque il motivo della sua ascesa, in una società che sembra avere più che mai bisogno di nuovi miti.

Repubblicano sui generis, il regista di San Francisco non risparmia né i mass-media né i servizi segreti, ligi ai protocolli e ai profili criminali standardizzati e ridotti a sequestrare aspirapolveri e indumenti intimi di anziane signore. Il bureau di “J. Edgar” è qui rappresentato dall’agente Shaw (Jon Hamm), per il quale la colpevolezza di Jewell è una convinzione personale, prima che un’indagine portata avanti con perizia, come ha da dichiarare al protagonista sul finale. Al suo fianco c’è la giornalista di cronaca nera Kathy Scruggs, pronta a sfruttare il proprio corpo per ottenere informazioni segrete e a gonfiarle, per gonfiare, al contempo, la propria fama.
Tutto ciò è messo in scena nell’eleganza del decoupage classico, con un’istanza narrante asservita all’immedesimazione e capace di sostenere efficacemente il ritmo della vicenda. L’utilizzo della camera a mano nelle sequenze più action - come quella dello scoppio della bomba - è bilanciato da alcuni intensi primi piani sugli attori, in particolare sul protagonista, che puntano a sottolinearne le emozioni.
  
Lontana anni luce dal ghigno feroce che ha reso celebre Eastwood, la fisionomia pingue e inoffensiva di Paul Walter Hauser, che riempie lo schermo e le inquadrature, porta sul proprio volto, per buona parte dell’opera, un’espressione apatica, che tradisce un’incapacità di giudizio e una mancanza sostanziale di acutezza: a evidenziare, una volta ancora, la totale ingenuità del protagonista. Da questo punto di partenza la caratterizzazione del personaggio può evolvere, grazie allo straordinario talento che l’ex-“spietato” dimostra nella direzione attoriale, capace di farci provare compassione anche per un personaggio sempliciotto e testardo, senza grandi qualità. Se per tutta la prima parte del film il protagonista si limita per lo più a rispondere, in modo insicuro e balbettante, alle domande poste dai colleghi, dai servizi segreti, dalla madre e dall’avvocato, o a cercare di avere la meglio su gente che non lo ascolta (si veda la scena dei ragazzini ubriachi al parco), nel finale riesce a prendere in mano la situazione e a diventare protagonista.   

È emblematico l’ultimo interrogatorio svolto dall’Fbi. Eastwood inquadra, sul muro alle spalle degli attori, un quadro con una bandiera confederata, probabilmente un residuato bellico della guerra civile, che però qui è difficile non leggere come un indizio, come un’accusa rivolta preventivamente agli agenti che stanno per interrogare Jewell. L’investigatore Shaw inizia poi a porre delle domande vaghe, che si fanno via via sempre più acute, man mano che la mpd stringe sul volto del protagonista, chiudendolo in una morsa. Poi, finalmente, arriva la domanda diretta: gli agenti domandano a Richard se abbia o meno piazzato la bomba al Centennial Park. Un primo piano ne inquadra l’espressione. Richard chiude gli occhi e deglutisce. Non risponde a quell’interrogativo tendenzioso. Poi, goffamente e timidamente come sempre, chiede agli agenti se può fare lui una domanda. In quel momento l’indagine si capovolge e la trappola mediatica, di cui le forze dell’ordine risultano complici, si svela e di lì a poco Richard è salvo. La giustizia è un’altra cosa dunque: più simile a una presa di coscienza, alla capacità di rispondere alle accuse ingiuste che ci vengono rivolte. Quando diventa difficile credere nella giustizia, sembra dirci Eastwood, possiamo però ancora credere nell’innocenza, nella purezza, nell’ingenuità e nella bontà che è in ognuno di noi.


16/01/2020

Cast e credits

cast:
Paul Walter Hauser, Sam Rockwell, Kathy Bates, Jon Hamm, Olivia Wilde, Nina Arianda


regia:
Clint Eastwood


distribuzione:
Warner Bros. Pictures


durata:
129'


produzione:
Malpaso Productions, Appian Way Productions, Misher Films, 75 Year Plan Productions


sceneggiatura:
Billy Ray


fotografia:
Yves Bélanger


scenografie:
Kevin Ishioka


montaggio:
Joel Cox


musiche:
Arturo Sandoval


Trama
Dopo aver sventato un attacco terroristico e aver salvato molte vite individuando una bomba piazzata ad un concerto ad Atlanta, Richard Jewell, guardia di sicurezza ingenua e sempliciotta, diviene il sospettato numero uno dell'FBI che, con la complicità dei media e dei giornali locali, finisce presto per dipingere l'eroe come un pericoloso criminale e per rendergli la vita impossibile. Sarà l'avvocato e amico Watson Bryant a difendere Richard nei confronti degli agenti investigativi e, soprattutto, di un'opinione pubblica pronta a gridare allo scandalo senza preoccuparsi di cercare le prove.