drammatico, sentimentale, coming of age | Cina/Singapore (2023)
"No one taking pictures
Everybody still
And then the water sought its course again
The way that waters will"
The Mountain Goats, "Tianchi Mountain"
"No future, only flow."[1]
Anna Kornbluh
Nel saggio "Immediacy, or The Style of Too Late Capitalism" la mediologa e critica culturale Anna Kornbluh riflette sulle modalità con cui l’estetica e la logica dell’immediatezza si son diffuse nel panorama mediale e culturale contemporaneo, articolandosi nel cinema, ad esempio, nella forma di un’estremizzazione stilistica (di rappresentazione, di durata, di montaggio) che "blocca la comprensione e pretende un diverso tipo di partecipazione spettatoriale al posto della visione per [seguire] la trama: cavalcare le onde"[2]. Il focus sull’immanentizzazione dell’angolo di ripresa come una delle strategie per perseguire questa riconfigurazione del medium audiovisivo, fissando la prospettiva degli spettatori all’interno di ciò che avviene, sui corpi dei personaggi, o addirittura dentro i loro ragionamenti, giustifica il perché il testo di Kornbluh sia stato citato nel recentemente discusso articolo di Namwali Serpell sul "nuovo letteralismo". Nella sua individuazione di vari esempi di film che "riaffermano l’estremamente ovvio fa[cendo] una sorta di violenza all’arte"[3], Serpell finisce per mettere probabilmente troppa carne al fuoco, da "Anora" a "Io sono ancora qui", rischiando di depotenziare la sua interessante analisi sulla recente "aspettativa […] che ci sia una cosa come la conoscenza definitiva di ciò che un’opera d’arte significa"[4] nel cinema contemporaneo.
"The Breaking Ice", terzo lungometraggio dell’apprezzato regista singaporiano Anthony Chen, sarebbe facilmente analizzabile alla luce delle interpretazioni di ambedue le autrici: con la macchina da presa che sta continuamente appreso ai corpi dei suoi protagonisti la sua ricerca di immediatezza è ben evidente, mentre pare conclamato il letteralismo del film per via dell’abbondanza di metafore fin troppo chiare. D’altronde si tratta di una pellicola che inizia con uno dei tre protagonisti, Haofeng, che letteralmente rompe il ghiaccio, non nell’accezione figurata di "superare il distacco iniziale", anche alla luce delle sue evidenti ansie sociali, ma masticandolo, nella maniera più fisica e sonora possibile. Anche gli altri due personaggi principali introdotti in seguito, l’enigmatica Nana e l’incostante Xiao, romperanno presto il ghiaccio in modi quasi altrettanto letterali (oltre che qui anche figurati), saltando sulla superficie congelata di un fiume o pattinandoci sopra in una sequenza onirica.
Il film di Chen articola però le sue metafore glaciali anche in modalità meno marchiane, proponendo una narrazione che mette in scena un frammento congelato nel flusso della vita dei suoi protagonisti, un momento di separatezza in cui il trio al centro della pellicola si abbandona a una sorta di vacanza (letteralmente, un vuoto) congelata nel tempo, destinata però a scongelarsi col mutare della stagione. L’atemporalità di questa sorta di gita sfuggita di mano che il cosmopolita Haofeng intraprende coi due giovani locali (ma in realtà neppure Xiao è nato lì e Nana aveva un glorioso avvenire fuori dalla coreanofona città di confine Yanji) è rimarcata dalla rottura del costoso orologio da polso del protagonista, la quale segnala l’inizio della parte centrale della pellicola, quella in cui il carattere metaforico di ciò che viene messo in scena si fa più evidente. Fra sequenze surreali della cui verosimiglianza si può comunque discutere e incontri con animali dall’elevata carica simbolica, "The Breaking Ice" inizia ad allontanarsi dal reame dell’immediatezza e del letteralismo e a farsi più vago e indistinto, come il panorama durante la tempesta di neve in cui i protagonisti mai si perderanno (a sfregio di uno dei cliché del cinema etnologico di ambientazione montana).
Fluido e indefinito come la relazione fra i tre giovani, uniti da multiformi spinte attrattive e ripulsive, il blocco centrale del film si rivela un accumulo di situazioni che mettono in scena il male di vivere dei personaggi principali, stringendo progressivamente il focus su di loro, d’altronde gli unici ad avere effettivamente un nome. Ponendosi come una sorta di racconto della generazione dei "tǎng píng", "gli sdraiati", per dirla all’italiana, "The Breaking Ice" slega Haofeng, Nana e Xiao dal contesto sociale con cui sono in rotta per mostrarli solo nella (o meglio, nelle) loro traiettoria(e) ondivaga(he) nella vita (si consiglia al riguardo la lettura di quest’intervista a Anthony Chen), cui giova sicuramente la ripetizione di situazioni, dialoghi e riflessioni della sezione centrale dell’opera. La regia, poco pudica per gli standard di una pellicola cinese contemporanea, non può quindi che concentrarsi sui corpi dei protagonisti (si pensi solo all’enfasi sulle loro diverse fisicità, dalle sagome sempre ben distinte), dal momento che, per il breve periodo della loro vacanza, il mondo esterno quasi non esiste per i tre.
Ma presto la realtà inizia a fare capolino nelle loro vite, a partire dall’ex-compagna di allenamento che decide di far visita a Nana, e arriva infine il momento di andare avanti, di ritornare nel flusso, anche senza sapere precisamente quale sarà il proprio futuro. A questo punto le metafore ricominciano a farsi palesi (l’orologio rotto come pegno da lasciarsi indietro per andare avanti, ora che si ha imparato, forse, a guardare alla vita da una diversa prospettiva) e la narrazione ricomincia a farsi lineare, con i personaggi che agiscono con un fine, invece di farsi semplicemente trascinare dagli stimoli o dalle intuizioni del momento. Restano sfocate (letteralmente) le immagini del disertore nordcoreano, la cui fuga a Yanji intervalla il vagare rapsodico di Haofeng, Xiao e Nana, divenendo a un certo punto una pistola di Cechov destinata però a non sparare mai, una parentesi narrativa che non sarà mai percorsa lungo la vacanza dei protagonisti. La sua corsa lungo i binari, e verso l’avvenire (cioè nel verso opposto rispetto alla camera), si interrompe per intervento delle guardie di frontiera, e cosa ne sarà di lui possiamo immaginarlo, a differenza dei personaggi principali, ognuno alla ricerca di una nuova vita, in qualche modo. Se non fosse abbastanza chiaro, "la fine è l’inizio"[5], per citare nuovamente Kornbluh.
[1] Anna Kornbluh, Immediacy, or The Style of Too Late Capitalism, London/New York, Verso, 2023, p. 92 (edizione digitale)
[2] Ivi, p. 114 (traduzione mia)
[3] Namwali Serpell, "The New Literalism Plaguing Today’s Biggest Movies", The New Yorker, 8/03/2025 (trad. mia)
[4] Ivi (trad. mia)
[5] A. Kornbluh, op. cit., p. 92 (trad. mia)
cast:
Zhou Dongyu, Liu Haoran, Qu Chuxiao
regia:
Anthony Chen
titolo originale:
Rán dōng
distribuzione:
Tucker Film
durata:
97'
produzione:
Canopy Pictures, Huace Pictures
sceneggiatura:
Anthony Chen
fotografia:
Jing-Pin Yu
scenografie:
Luxi Du
montaggio:
Hoping Chen, Mun Thye Soo
costumi:
Li Hua
musiche:
Kin Leonn